Forme e modelli dell’intrattenimento videoludico in età informatica
Fra il XIX e il XX secolo si impongono nuove forme di intrattenimento popolare e non, come il cinema e, molti decenni dopo, la televisione, inaugurando così l’era delle comunicazioni di massa. La diffusione e la pervasività dei mass-media nel Novecento è stata tale da aver modificato i meccanismi, i contenuti e il senso delle comunicazioni e di aver realizzato una pesante egemonia sull’informazione e sulla formazione delle abitudini e della cultura popolare. Per molti versi e per gli strati intellettualmente più modesti della popolazione, questi strumenti hanno cannibalizzato ogni altra forma di comunicazione e di manifestazione artistica, sostituendosi spesso al rapporto diretto con le arti tradizionali e alla stessa lettura. Nonostante la dinamicità narrativa, che ha rappresentato uno dei motivi del loro enorme successo, cinema e televisione sono sempre rimasti forme di intrattenimento passivi.
Con l’era informatica e con l’imporsi, alla fine del XX secolo e nel primo decennio del nostro, di internet, le comunicazioni di massa si sono arricchite di un nuovo raffinato strumento, che, pur presupponendo delle minime capacità tecniche per essere utilizzato e non avendo quindi raggiunto tutta la popolazione come la televisione, ha eroso molti degli spazi prima occupati da altre fonti di comunicazione. A differenza dei precedenti mass-media, internet consente sia una fruizione passiva dei contenuti prima veicolati da cinema, televisione e giornali, sia un rapporto interattivo a ogni livello della comunicazione e degli intrattenimenti specificatamente ideati per questo media.
Con un normale collegamento, un pc e qualche competenza in più per aggirare i blocchi talvolta inseriti a tutela degli interessi delle ditte distributrici, per esempio dei file musicali o cinematografici, è possibile visualizzare notizie e spettacoli proposti dalla televisione, dal cinema e dai giornali, con il vantaggio di potersi muovere con piena libertà fra i loro contenuti senza subire il preconfezionamento redazionale delle reti televisive o dei giornali.
È però possibile fare molto di più, comunicando in forma privata attraverso la posta elettronica, in modo pubblico attraverso siti, blog, social-network e altri mezzi prima impensabili, come prova questa stessa rivista on-line, che precedentemente avrebbe potuto esistere solo in forma cartacea, con tutti i limiti che un simile modello tradizionale pone alla comunicazione.
L’informatica e internet rappresentano però anche le condizioni per lo sviluppo del videogioco, una nuova forma, e forse la prima, di intrattenimento di massa interattivo vero e proprio. Valutarlo però alla stregua del cinema, cioè in grado di sfornare, oltre ai più comuni B-movies, anche opere d’arte, con frequenza simile a quella delle altre forme artistiche, è un procedimento abbastanza complicato e quanto mai discusso.
Volendo dare una definizione dei videogiochi ci imbattiamo già in diversi pareri più o meno discordanti, fra cui i più autorevoli sono sostanzialmente tre, quello di A. Berger, che li definisce «Testi narrativi interattivi con personaggi multidimensionali»1, una più completa di D. Carzo e M. Centorrino, che li descrive come «Una sorta di mappa geografica […], da esplorare attraverso strumenti differenti (l’abilità nella coordinazione dei movimenti, la riflessione, l’interazioni con altri personaggi), convivendo con un’idea di pericolo iperreale, all’interno di uno schema narrativo che varia di gioco in gioco»2 e infine quella, certamente più filosofica e ricercata, di E. Maietti, che conclude che «i game sono organizzazioni di contenuti pluridimensionalmente sincretiche […], costellazioni di differenti regimi testuali, dispositivi che devono essere fruiti alternando momenti di feedback intenso (inteso in questo caso come quantità di input da fornire al sistema di gioco per unità di tempo) ad altri in cui non è richiesto alcun genere di feedback (come nei momenti in cui il fruitore è chiamato ad assistere a sequenze video)»3.
Certamente, ponendo da parte per un attimo la stringatissima definizione di Berger, tutti concordano sul fatto che i videogiochi raccontino una storia utilizzando diversi strumenti narrativi (contenuti testuali, video e musicali) in un ambiente virtuale con personaggi e mezzi tali da poter creare pathos nel fruitore, se ci pensiamo obiettivo non completamente estraneo nemmeno a certe correnti artistiche, plastiche e letterarie. Peraltro, a ben vedere, il videogioco si basa su strutture molto simili alla narrazione letteraria. A differenza però del libro, il quale si limita a strutture testuali e paratestuali, si aggiungono elementi ipertestuali, grazie ai quali il fruitore può muoversi, per così dire, avanti e indietro per le pagine senza che il contenuto perda coerenza. Tutto insomma ci porta a paragonare il videogioco a una forma parallela e moderna delle arti tradizionali, dotato di nuovi mezzi di diffusione e di un’interattività prima impossibile da realizzare.
L’analisi dell’intrattenimento videoludico appare interessante, oltre che per i suoi aspetti strutturali, per le caratteristiche dei suoi contenuti.
Tralasciando i videogiochi più commerciali e di seconda classe, le trame che hanno maggiormente segnato questa forma di intrattenimento hanno spesso avuto contenuti narrativi molto simili a quelli dell’epica greco-romana, nordica, cavalleresca e romantica: si parla di eroi che sfidano le leggi degli dèi, combattono contro draghi e mostri mitologici, che vanno contro un fato che sembra ineluttabile, disposti a morire per la propria terra o per l’universo, sempre osteggiati da forze oscure, maligne e il più delle volte divine. Il fruitore è quindi chiamato ad assumere il comando del protagonista e a portarlo al trionfo o, a seconda delle proprie abilità, alla capitolazione. Quello che porta l’individuo a giocare è il desiderio di entrare in un contesto diverso, che mai potrà vivere nella realtà, di uscire dalla propria quotidianità o, addirittura, di modificarla.
I simulatori di vita reale sono un altro fondamentale aspetto del mondo videoludico, quasi perverso, vien da dire. In essi si modifica la propria vita, rifondandola su un piano virtuale. In alcuni giochi addirittura ci si sposa online (come, per esempio, in Second Life) e si vive una seconda vita completamente diversa, o il più possibile simile, a seconda della volontà del giocatore, alla propria. Non è un caso quindi che molti psicologi e psichiatri si siano scagliati contro i videogiochi, definendoli strumenti in grado di confondere il senso di realtà del fruitore. Rispetto ai media cinematografici e televisivi l’interattività dei videogiochi porta infatti ad una maggiore immedesimazione dei fruitori nella vicenda narrata, al cui svolgimento loro stessi sono chiamati a partecipare4.
Uno degli argomenti maggiormente controversi della discussione sulle caratteristiche strutturali, contenutistiche e culturali dei videogiochi riguarda la possibilità o meno che la loro storia e la loro semiotica possano essere oggetto o meno di ricerca e di insegnamento accademico e che questa forma di espressione possa essere considerata artistica.
Che si possano studiare le caratteristiche dei videogiochi e la loro storia, pare essere un punto sul quale i più concordano, se non altro per la loro rilevanza economica e sociale. Quantunque prodotti ancora considerati di nicchia, sembra che in futuro essi avranno sempre più fruitori e già dal 2012 si prevede per le industrie che li producono un fatturato di circa 40 miliardi di dollari. Risulta invece assai più controverso se considerarli una forma d’arte. Molti ne sottolineano gli aspetti negativi, che pur sono innegabili, come in qualsiasi altra forma di comunicazione di massa, trascurandone invece quelli positivi. È opinione che mi sento di condividere quella di considerare artistici alcuni videogiochi, in grado di trasmettere messaggi e pathos simili a quelli del cinema. Se, infatti, non considerassimo forma d’arte quella videoludica, dovremmo svalutare anche il cinema stesso, veicolo di messaggi spesso analoghi.
Note
1 A. Berger, Video games, a popular culture phenomenon, in M. Maietti, Semiotica dei Videogiochi, Edizioni Unicopli, Milano 2004, p. 9
2 D. Carzo, M. Centorrino, Tomb Raider o il destino delle passioni, Guerini e associati, Milano 2002, p. 62
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