Fenomenologia, scienza e metafisica della mente nella natura: una proposta di sviluppo della neurofenomenologia
1 Introduzione: la crisi delle scienze e il problema della coscienza
In questo lavoro, mi propongo di illustrare una linea di sviluppo della neurofenomenologia di Francisco Varela1, al fine di delineare una risposta al problema del rapporto tra fenomenologia e scienza. La fenomenologia di Edmund Husserl, infatti, si sviluppa come una critica radicale della conoscenza che prende avvio dalla “messa tra parentesi” di tutte le conoscenze scientifiche date. Ciò al fine di interrogarsi sulle condizioni di possibilità della conoscenza in generale e della conoscenza scientifica in particolare. Nella sua ultima opera – La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale2 – Husserl tematizza lo stato di crisi che a suo parere caratterizza la cultura europea e più in generale l’umanità contemporanee (siamo negli anni Trenta del Novecento). Ed egli fa ciò sottolineando, fin dal titolo dell’opera, il ruolo centrale delle scienze nel determinarsi di questo stato di crisi. Questo nonostante le innegabili e continue conquiste scientifiche che si sono susseguite dalla modernità in poi. La crisi di cui parla Husserl, infatti, non è dovuta ad un insuccesso delle scienze nella loro impresa conoscitiva e pratica – ossia, di trasformazione della realtà attraverso la tecnica. Si tratta di una motivazione più profonda: il venir meno del senso della scienza per la vita e per l’esistenza umana nel suo complesso3.
Un aspetto centrale dell’analisi husserliana è il conflitto, da lui tematizzato, tra la visione complessiva della realtà che emerge dalle scienze – ossia: ciò che esse ci dicono del reale – e il mondo-della-vita prescientifico (Lebenswelt) – il quale, d’altronde, è alla base delle scienze stesse. Il mondo-della-vita è appunto il mondo che si mostra ai soggetti nell’esperienza ordinaria; fatto di persone, valori e oggetti dotati di senso e qualitativamente connotati. Tale mondo, infatti, finisce per essere messo profondamente in discussione dalla visione scientifica del mondo. Questo poiché la scienza moderna nasce, con Galilei, a partire da una fondamentale operazione epistemologica, che consiste nella “matematizzazione della natura”: il mondo naturale che si mostra nella percezione sensibile viene considerato come costituito, in sé, dalle sole proprietà quantitative, misurabili e matematizzabili (massa, estensione, moto, etc.), mentre le proprietà qualitative degli oggetti d’esperienza – quelle che Locke chiamò “qualità secondarie” – vengono considerate come mere apparenze soggettive nella mente del percipiente. Con questa fondamentale operazione galileiana nasce l’“obiettivismo fisicalistico”4: un metodo formidabile di indagine della natura che non va però erroneamente confuso, secondo Husserl, con il “vero essere in sé della natura”5. L’errore di Galileo e di gran parte della scienza e filosofia moderne, invece, consiste nel concepire la natura come costituita in sé dalle mere proprietà matematico-quantitative, mentre tutto ciò che appare della natura (e quindi del mondo esperito percettivamente) sarebbe una mera apparenza soggettiva. Da qui si origina la profonda frattura tra l’oggetto delle scienze della natura e la soggettività cosciente, che si configura così come un dominio di realtà nettamente separato dalla natura.
Quest’analisi husserliana è quanto mai attuale, e si può dire che la crisi da lui tematizzata sia “esplosa” negli anni successivi, culminando in particolare in una serie di problemi che si sono imposti nell’ambito della filosofia della mente e delle scienze cognitive (ossia, quelle scienze che hanno come oggetto d’indagine la soggettività stessa). In particolare, una riproposizione del problema sollevato da Husserl si può rintracciare nella tematizzazione da parte di Sellars6 dello scontro (clash) tra due immagini del mondo: l’ “immagine scientifica” e l’ “immagine manifesta”. Secondo Sellars, questo scontro caratterizza la cultura contemporanea e dà vita a una impasse di difficile risoluzione. L’immagine manifesta è la cornice concettuale che si basa sull’assunzione del punto di vista soggettivo, in prima persona, e quindi sul modo in cui la realtà appare al soggetto d’esperienza che riflette su di essa, mostrandoci un mondo popolato da altri soggetti d’esperienza (persone) e da oggetti connotati qualitativamente (ad esempio, una scrivania di legno di un bel colore marrone scuro, una tazza di caffè nero, caldo e fumante, etc.). L’immagine scientifica, invece, è la cornice concettuale che, al fine di spiegare il comportamento delle cose percepibili del mondo manifesto, postula l’esistenza di entità impercettibili, dotate appunto delle sole proprietà “primarie”, e che costituiscono l’oggetto d’indagine della fisica (particelle, onde, campi quantistici, etc.)6.
Lo “scontro” tra le due immagini è dato dal fatto che, come si diceva, l’immagine scientifica sembra contraddire l’immagine manifesta, postulando l’esistenza di un “mondo vero” che si collocherebbe al di là della mera apparenza soggettiva e qualitativa del reale. Questo scontro giunge al suo apice con lo sviluppo delle odierne scienze della mente e del cervello che, collocandosi all’interno dell’immagine scientifica del mondo, sembrano non avere modo di rendere conto di caratteristiche essenziali dell’immagine manifesta come l’esistenza di persone, di valori e di qualità oggettuali.
La formulazione più recente del problema che stiamo discutendo si può trovare nella nota distinzione introdotta da Chalmers7 tra due ordini diversi di problemi per la filosofia della mente: i “problemi facili” e il “problema difficile”. Quest’ultimo è appunto la difficoltà di rendere conto del “posto della coscienza nella natura”8, a partire da un’ontologia della natura basata sull’“obiettivismo fisicalistico” (o “immagine scientifica”). A partire da questo problema – tematizzato in vari modi da autori come Levine9, Nagel10 e Jackson11, ad esempio – è sorto un intenso e tuttora aperto dibattito sulla metafisica della coscienza, con la proposta di diverse forme di naturalismo non riduzionista (emergentismo, panpsichismo, monismo neutrale, etc.) che si contrappongono sia al fisicalismo riduzionista o eliminativista che al dualismo delle sostanze di stampo cartesiano12. Il punto centrale di queste prospettive consiste nel tener ferma la necessità di “prendere la coscienza sul serio”13, ossia: prendere sul serio il modo in cui l’esperienza si mostra al soggetto dal punto di vista “in prima persona”, senza pretendere di negare tale evidenza soggettiva a partire da un supposto primato della conoscenza scientifica, “in terza persona”.
2 Fenomenologia trascendentale
Il punto di vista appena visto (“prendere la coscienza sul serio”) sembra essere in sintonia con la prospettiva fenomenologica di Husserl, che è appunto incentrata sull’analisi dell’esperienza soggettiva, in prima persona, e quindi della coscienza. Al tempo stesso, l’indagine fenomenologica è di tipo trascendentale: essa analizza il modo in cui l’oggetto del conoscere si costituisce come correlato delle funzioni della soggettività. La fenomenologia trascendentale, in questo modo, sviluppa un’analisi della correlazione fondamentale tra coscienza intenzionalmente rivolta ad oggetti (“immanenza”) ed oggetti (“trascendenti”), che sono però in qualche modo costituiti dalla coscienza trascendentale.
In questa prospettiva, la coscienza, con le sue operazioni costitutive, si configura come la condizione di possibilità della conoscenza di oggetti e quindi anche della conoscenza scientifica del mondo. Gli oggetti delle scienze sono infatti anch’essi correlati di un’attività di costituzione. Il concetto di costituzione trascendentale in fenomenologia è però problematico, prestandosi a interpretazioni di tipo idealistico e rendendo enigmatico il rapporto tra coscienza (costituente) e natura (costituita). Infatti, all’interno di tale prospettiva, la natura si configura come una “regione dell’essere” che è costituita dalla coscienza trascendentale, e ciò sembra precludere in linea di principio la possibilità di considerare la natura come un dominio ontologico preesistente la coscienza e da cui quest’ultima in qualche modo si origina. I seguenti passi ben esprimono questo aspetto problematico della fenomenologia trascendentale:
il campo della coscienza pura […] non è una parte della natura […] anzi lo è tanto poco che piuttosto la natura è possibile solo come unità intenzionale, motivata da nessi immanenti alla coscienza pura […] l’indagine trascendentale della coscienza non è indagine della natura […] ne può per principio presupporla come premessa, poiché nell’atteggiamento trascendentale la natura è per principio messa tra parentesi14;
[la sfera dei vissuti] è saldamente chiusa in se stessa […]. Essa è per essenza indipendente da ogni essere mondano e naturale, né ha bisogno di quest’ultimo per la propria esistenza. L’esistenza di una natura non può condizionare l’esistenza della coscienza, poiché la natura stessa si rivela essere un correlato di coscienza ed esiste solo in quanto si costituisce in connessioni di coscienza soggette a regole15.
3 Neurofenomenologia
La “neurofenomenologia” è il progetto di ricerca introdotto da Varela16 al fine di affrontare i problemi appena visti e in particolare il “problema difficile” della coscienza17. Varela sostiene che, piuttosto che cercare – come fa Chalmers – una soluzione metafisica al problema, bisogna sviluppare un “rimedio metodologico” che conduca infine a “dissolverlo”. Il rimedio proposto da Varela consiste nel coniugare l’analisi fenomenologica dell’esperienza, in “prima persona”, con i risultati delle indagini neuroscientifiche del cervello18. L’obiettivo della neurofenomenologia è di stabilire una corrispondenza tra le descrizioni “in prima persona” e quelle “in terza persona”, senza cadere nella tentazione di ridurre l’uno all’altro.
Varela sottolinea come lo sviluppo di tale progetto comporti un radicale cambiamento di mentalità da parte dei ricercatori, che devono “sospendere” la tendenza a voler spiegare la correlazione neuro-fenomenologica nei termini di un primato ontologico dei processi neurofisiologici, considerati come base di riduzione del “mentale”. Come sottolinea Bitbol19, in particolare, la prospettiva di Varela si colloca in continuità con l’attitudine anti-metafisica e anti-fondazionalista che era stata già presentata da Varela, Evan Thompson e Eleanor Rosch nel testo seminale che introduce la concezione enattivista: The Embodied Mind20. In quel testo, infatti, assume un ruolo centrale il riferimento all’antifondazionalismo della Madhyamaka: la scuola buddhista della “via di mezzo”, che è incentrata sulla “decostruzione” dell’idea di un fondamento sostanziale della relazione soggetto-oggetto e mente-mondo. In questa prospettiva, infatti, soggetto e oggetto, mente e mondo vengono concepiti come i due poli co-emergenti di una relazione, senza che nessuno dei due possa essere concepito come una realtà sostanziale e indipendente.
Questa prospettiva costituisce lo sfondo teorico di riferimento della prospettiva neurofenomenologica e del suo invito a dissolvere il problema difficile, piuttosto che cercare di risolverlo attraverso un qualche “aggiustamento teoretico” o attraverso l’aggiunta di un nuovo “ingrediente ontologico”21.
La radicalità della proposta di Varela è stata sottolineata da diversi studiosi che si sono proposti di portarla avanti22. Allo stesso tempo, essa ha destato perplessità nella comunità filosofica, venendo interpretata come, alternativamente, una forma di materialismo riduzionista o eliminativista sotto mentite spoglie, oppure di idealismo.
A mio parere23, è corretta e fedele la lettura della neurofenomenologia che ne sottolinea la fondamentale attitudine antifondazionalista ed antimetafisica. Questo costituisce però un punto debole della proposta, che ripropone la summenzionata difficoltà della fenomenologia trascendentale nel rendere conto del rapporto tra coscienza e natura. In questa prospettiva, infatti, la questione del “posto” della coscienza nella natura, e quindi della sua genesi, diviene «un falso punto di partenza [a non-starter], una questione che non deve nemmeno essere formulata»24.
Questa prospettiva risulta essere insoddisfacente anche alla luce degli sviluppi della stessa concezione enattivista di Varela e Thompson, entrando ad esempio in contrasto con la cosiddetta “svolta jonasiana” dell’enattivismo, introdotta da Andreas Weber e Varela25. Questi autori riprendono la biologia filosofica di Hans Jonas, con la sua ammissione di una forma di teleologia in natura, all’interno di quella che Jonas presenta come una metafisica della natura26. Sulla scorta di questa concezione, Weber e Varela affermano che «il fondamento [the very ground] della nostra esistenza è originariamente teleologico», che «l’auto-realizzazione del vivente è una realtà ontologica» e che «la teleologia è una tendenza primordiale della materia»27. Questi passi sembrano implicare una concezione della natura come dominio di realtà (metafisica) che rende possibile l’esistenza delle menti, in contrasto con la prospettiva antifondazionalista ed antimetafisica che è centrale nell’approccio enattivista di The embodied mind e nella neurofenomenologia di Varela. Questo problema si pone anche in relazione alla proposta di Thompson in Mind in Life28, da lui concepita come uno sviluppo della concezione enattiva di The Embodied Mind, e incentrata sulla tesi della continuità tra mente e vita: «dove c’è vita c’è mente, e la mente nelle sue forme più articolate appartiene alla vita»29.
In contrapposizione a questi sviluppi della concezione enattivista, l’insistenza sull’approccio antifondazionalista e antimetafisico della neurofenomenologia costituisce una posizione problematica perché, tra l’altro, sembra arrendersi di fronte all’impossibilità di indagare il rapporto tra le diverse “ontologie regionali” (gli ambiti oggettuali indagati da diverse scienze) e innanzitutto il rapporto tra la regione “psiche” e la regione “natura materiale”30.
Se si tiene però ferma l’istanza antifondazionalista e antimetafisica della neurofenomenologia, la relazione psicofisica diviene enigmatica. E ciò si scontra con i risultati sperimentali di scienze della natura come la neurofisiologia che, invece, evidenziano gli effetti “mentali” indotti da cause “fisiche”. In realtà, non bisogna attendere le più recenti scoperte neuroscientifiche per sollevare questa questione – il rapporto psico-fisico – che a ben guardare si impone anche al livello dell’esperienza ordinaria. Tutti noi sappiamo, ad esempio, che l’assunzione di determinati cibi e sostanze ha effetti sulla nostra vita di coscienza. Husserl osserva «quando io bevo una tazza di caffè per fare delle buone scoperte teoretiche, gli atti teoretici giudicativi, conclusivi ecc., risultano condizionati da questo influsso corporeo. Ciò vale a maggior ragione per tutte le cogitationes»31. In Idee II, egli invece si sofferma su un esempio analizzato anche da Mach32: se si assume la santonina (un farmaco ricavato da alcune specie di artemisia e utilizzato come antielmintico), tutti gli oggetti della percezione visiva assumono una colorazione giallastra (xantopsia).33
La questione è: si può tener ferma la prospettiva neuro-fenomenologica che ci invita a guardare alla correlazione psico-fisica senza sollevare la questione della genesi materiale della coscienza? E, se si vuole invece porre tale questione: ciò ci conduce ad abbandonare necessariamente l’impostazione fenomenologica del problema della conoscenza?
A mio parere, gli sviluppi più maturi della ricerca fenomenologica di Husserl, con il passaggio dalla fenomenologia trascendentale “statica” alla fenomenologia “genetica”34, prospettano una via di soluzione della questione. Ciò richiede però di abbandonare l’impostazione anti-metafisica della neurofenomenologia e di esplorare, invece, un suo possibile sviluppo metafisico.
4 Fenomenologia genetica e neurofenomenologia della temporalità
La questione della “genesi della coscienza” viene posta da Husserl stesso quando egli tematizza la distinzione tra due livelli dell’analisi fenomenologica: statico e genetico. L’analisi statica si occupa di indagare il rapporto tra vissuti di coscienza, considerati come unità temporali (“accadimenti temporali unitari”)35, e gli oggetti che si costituiscono come correlato intenzionale di tali vissuti. Così facendo, la “fenomenologia della costituzione” lascia però in sospeso l’analisi della struttura temporale più profonda dei vissuti (ad esempio, la struttura temporale delle diverse fasi coscienziali nell’udire una melodia). Si tratta dell’analisi della temporalità dei vissuti (la “coscienza interna del tempo” delle lezioni del 1905)36: un’analisi difficile e per questo da accantonare nel contesto delle “analisi preliminari” sviluppate in Idee I. Questo tema viene però affrontato da Husserl a più riprese, divenendo poi centrale nello sviluppo genetico della fenomenologia. La fenomenologia genetica, infatti, indaga la struttura temporale più profonda dei vissuti di coscienza. Ed è qui che si può porre il problema della genesi del concreto flusso di coscienza di un soggetto in carne ed ossa (quella che Husserl chiama “individualità monadica”).
Il tema della costituzione temporale del campo di coscienza viene scelto da Varela come campo primario di prova della prospettiva neurofenomenologica37, attraverso l’indagine della correlazione tra i processi neurofisiologici, da un lato, e l’esperienza del “presente specioso”38 dall’altro, ossia: l’esperienza dell’ora che, come afferma James, non è un punto discreto nella “linea del tempo” ma è piuttosto un campo di presenza con una durata “incomprimibile” (ossia, non ulteriormente scomponibile). Com’è noto, Husserl indaga tale dimensione della presenza coscienziale individuandone alla base la struttura impressione originaria-ritenzione-protensione (ad esempio, ascoltando una melodia, in ogni istante vi è il darsi di un’impressione sonora che si congiunge con la ritenzione dei suoni trascorsi e la protensione verso il futuro decorso sonoro). Varela riprende quest’indagine analizzando il costituirsi di un campo di presenza coscienziale nel caso, ad esempio, della percezione di una figura gestaltica, come l’“anatra-coniglio”. Nel contesto sperimentale, condotto su soggetti addestrati all’auto-osservazione fenomenologica, è possibile individuare i correlati neurofisiologici del processo attraverso cui si passa dalla percezione di una figura ad un’altra (ad esempio: dall’anatra al coniglio). Varela sostiene quindi che l’emergere del presente specioso è correlato al raggiungimento di uno stato di “sincronia transitoria” tra gruppi di neuroni (neuronal ensembles) che sono dislocati in diverse aree cerebrali39. Quando questi neuroni sincronizzano i loro ritmi intrinseci (indagabili a loro volta matematicamente attraverso la teoria dei sistemi dinamici), allora emerge un dato atto cognitivo (ad esempio: percezione dell’anatra).
A questo punto possiamo chiederci: come interpretare il risultato di quest’indagine, che illumina la correlazione psico-fisica, in relazione alla questione del “posto della coscienza nella natura”? Come abbiamo visto, Varela propone tale analisi all’interno di una prospettiva anti-metafisica, stando alla quale non ha senso indagare la genesi materiale della coscienza. Alcuni interpreti, però, hanno sostenuto che in realtà l’analisi di Varela ci mette di fronte a una riproposizione, sotto nuove vesti, del materialismo riduzionista e della teoria dell’identità mente-cervello. In questa lettura, il processo di sincronizzazione tra insiemi di neuroni è lo stato mentale x (es.: percezione dell’anatra). Questa sembra però essere una prospettiva molto lontana dalla fenomenologia, che è incentrata su una critica serrata al materialismo riduzionista e allo scientismo (ossia: all’assolutizzazione della conoscenza scientifica). Una siffatta prospettiva, in particolare, presupporrebbe quello che Sellars chiama “primato dell’immagine scientifica”, ossia: il primato di quella concezione matematizzata della natura introdotta da Galileo che viene aspramente criticata da Husserl nella Crisi. Infatti, nella teoria dell’identità classica, il cervello (neuroni, sinapsi, etc.) viene concettualizzato come un’entità naturale, che è quindi parte della natura materiale ed è colto nel suo “essere in sé” attraverso il metodo scientifico matematizzante di stampo galileiano.
5 Monismo neutrale e panqualitismo
È possibile però, a mio parere, proporre una diversa linea di sviluppo della neurofenomenologia, guardando più in dettaglio proprio alle radici storiche della teoria dell’identità mente-cervello. In particolare, in uno dei “padri” di questa prospettiva è presente una versione peculiare di essa, che non coincide con il materialismo riduzionista basato sul primato dell’immagine scientifica e che ne mette invece in discussione gli assunti fondamentali. Mi riferisco a H. Feigl, il quale ha sostenuto una teoria dell’identità mente-cervello che non assume come fondamento metafisico ultimo la natura oggetto del fisicalismo (atomi, campi di forze, etc.) ma, al contrario, le qualità40. Nella prospettiva di Feigl, infatti, le entità fondamentali sono le qualità e il “fisico” ne costituisce l’aspetto strutturale e quantitativo. Quest’ultimo aspetto, però, non può essere “ipostatizzato”, ossia: non può essere reso sostanziale e indipendente dal qualitativo. Il panqualitismo proposto da Feigl è attualmente oggetto di un rinnovato interesse in filosofia della mente, da parte di autori come Chalmers41 e Coleman42, i quali vedono in esso una forma di monismo neutrale che si colloca in continuità con le prospettive di Mach43, James44 e Bertrand Russell45. Il monismo neutrale, infatti, è la prospettiva secondo cui fisico e psichico sono come due facce della stessa realtà fondamentale, che è di per sé neutrale rispetto a questa dicotomia.
Un punto fondamentale di contatto tra la fenomenologia husserliana e il monismo neutrale è nella condivisione di una critica simile al fisicalismo, con la sua ipostatizzazione dell’oggetto fisico risultante dell’astrazione matematizzante galileiana (la quale, come abbiamo visto, espelle le qualità sensibili dall’ontologia della natura, considerando quest’ultima come in sé costituita solo da proprietà matematico-quantitative)46. In questa prospettiva, infatti, la fisica matematica procede attraverso un’utile astrazione metodologica che non va però confusa con una descrizione della “vera natura” del mondo materiale, dato che la struttura matematica dei fenomeni così individuata risulta essere priva di proprietà intrinseche (o “quiddities”). Si tratta di un argomento il cui fondamentale antecedente è in George Berkeley, il quale, come ricorda Husserl, notava appunto che «l’estensione, nucleo della corporeità e di tutte le qualità primarie, è impensabile senza le qualità secondarie»47.
A partire da quest’analisi, in The analysis of matter Russell ha appunto sostenuto che le qualità sono le proprietà categoriali intrinseche (“quiddities”), degli oggetti fisici. Nel caso dei sistemi nervosi, noi abbiamo accesso diretto alle proprietà intrinseche di una parte del mondo naturale: quelle qualità che danno vita poi ad un campo di coscienza. In particolare, Coleman ha recentemente ripreso il panqualitismo di Feigl, sostenendo che le qualità che sono alla base dei sistemi nervosi sono qualità pre-fenomeniche (ossia: non necessariamente esperite da un soggetto) le quali, a determinate condizioni, danno vita ad un campo di coscienza48. Ma quali sono queste condizioni? È qui che a mio parere la prospettiva neurofenomenologica – e in particolare l’analisi della temporalità – può saldarsi con il panqualitismo, indagando il processo attraverso cui, a partire da qualità pre-fenomeniche, si genera un campo di coscienza con la sua struttura tripartita impressione-ritenzione-protensione, la quale a sua volta dà vita alla correlazione intenzionale soggetto-oggetto. Questa prospettiva di sviluppo della neurofenomenologia, ovviamente da vagliare e approfondire ulteriormente, implica una presa di posizione contro l’attitudine anti-metafisica di Varela e contro le interpretazioni anti-metafisiche della stessa fenomenologia husserliana, costituendo però una potenziale risposta al problema del rapporto tra coscienza e natura e, a partire da una prospettiva metafisica generale, un modo potenzialmente fecondo di impostare il rapporto tra fenomenologia e scienze.
Note
1 F. Varela, «Neurophenomenology. A Methodological Remedy for the Hard Problem» Journal of Consciousness Studies 3 (4), 1996, p. 330.
2 E, Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Husserliana VI, 1959; tr. it. La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, Il Saggiatore, Milano 1961.
3 Ivi, pp. 34-35.
4 Ivi, pp. 51 ss.
5 Ivi, p. 83.
6 W. Sellars, «Philosophy and the Scientific Image of Man», in Frontiers of Science and Philosophy, a cura di R. Colodny, University of Pittsburgh Press, Pittsburgh 1962; rist. in W. Sellars, Science, Perception and Reality, Routledge e Kegan Paul, London 1963, ripubblicato da Ridgeview, Atascadero 1991; tr. it. La filosofia e l’immagine scientifica dell’uomo, Armando, Roma 2007.
7 D. J. Chalmers, The Conscious Mind, Oxford University Press, Oxford 1996; tr. it. La mente cosciente, McGraw-Hill, Milano 1999.
8 D. J. Chalmers, «Consciousness and Its Place in Nature», in Blackwell Guide to Philosophy of Mind, a cura di S. Stich, T. Warfield, Blackwell, Oxford 2003.
9 J. Levine, «Materialism and Qualia: The Explanatory Gap», in Pacific Philosophical Quarterly, 64, pp. 354-361.
10 T. Nagel, «What is it Like to be a Bat», Philosophical Review, 83, 1974, pp. 435–450.
11 F. Jackson, «What Mary Didn’t Know», Journal of Philosophy, 83, 1986, pp. 291–295.
12 Per una panoramica delle alternative si veda D. J. Chalmers, «Consciousness and Its Place in Nature», cit.
13 D. J. Chalmers, The Conscious Mind, cit., p. XXIII.
14 E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und einer phänomenologischen Philosophie: Allgemeine Einführung in die reine Phänomenologie (Ideen I), Husserliana, voll. III/1 e III/2, Martinus Nijhoff, Den Haag 1976; tr. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro primo, Introduzione generale alla fenomenologia pura, Einaudi, Torino 1965 e 2002, pp. 125-126.
15 Ivi, p. 126-127. Non posso soffermarmi in questa sede su un’analisi dettagliata dei problemi che sorgono, in fenomenologia, a partire da quest’impostazione trascendentale del problema della conoscenza. Per una trattazione più estesa rimando a A. Pace Giannotta, «Autopoietic enactivism, phenomenology and the problem of naturalism: a neutral monist proposal”, in Husserl Studies, 37, pp. 209-228; id., Fenomenologia enattiva. Mente, coscienza e natura, Mimesis, Milano-Udine, 2022.
16 F. Varela, «Neurophenomenology», cit.
17 L’articolo di Varela è scritto in risposta a quello di Chalmers in cui viene introdotta la distinzione tra problemi facili e problema difficile: D. J. Chalmers, «Facing Up to the Problem of Consciousness», Journal of Consciousness Studies 2 (3), 1995.
18 Varela si propone di far ciò anche attraverso il contributo delle pratiche di meditazione di consapevolezza e presenza mentale nella tradizione buddhista, accostandole all’epochè fenomenologica.
19 M. Bitbol, «Neurophenomenology, an Ongoing Practice of/in Consciousness», in Constructivist Foundations 7 (3), 2012.
20 F. J. Varela, E. Thompson, E. Rosch, The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience, MIT Press, Cambridge MA 1991.
21 F. Varela, «Neurophenomenology», cit., p. 330 (trad. mia).
22 M. Bitbol, «Neurophenomenology, an Ongoing Practice of/in Consciousness», cit.; M. Bitbol e E. Antonova, «On the Too Often Overlooked Radicality of Neurophenomenology», Constructivist Foundations 11 (2), 2016; S. Vörös, T. Froese, A. Riegler, «Epistemological Odyssey. Introduction to Special Issue on the Diversity of Enactivism and Neurophenomenology», in Constructivist Foundations 11 (2), 2016.
23 A. Pace Giannotta, «Autopoietic enactivism, phenomenology and the problem of naturalism», cit.; id., «Panqualityism as a critical metaphysics for neurophenomenology», in Constructivist Foundations, vol. XVI, n. 2, 2021, pp. 163-166; id., Fenomenologia enattiva, cit.
24 M. Bitbol, «Neurophenomenology, an ongoing practice of/in consciousness», in Constructivist Foundations 7(3), 165–173, p. 169 (trad. mia).
25 A. Weber e F. Varela, «Life after Kant: Natural purposes and the autopoietic foundations of biological individuality», in Phenomenology and the Cognitive Sciences, 1(2), 2002, pp. 97–125; cfr. M. Villalobos e D. Ward, «Lived experience and cognitive science. Reappraising enactivism’s jonasian Turn», in Constructivist Foundations, 11(2), 2016, pp. 204–212.
26 H. Jonas, The imperative of responsibility. In search of an ethics for the technological age. Chicago: University of Chicago Press, 1984, pp. 44-45.
27 A. Weber e F. Varela, «Life after Kant», cit., pp. 11, 113.
28 E. Thompson, Mind in Life: Biology, Phenomenology and the Sciences of Mind, Harvard University Press, Cambridge MA 2007.
29 Ivi, p. 10 (trad. mia).
30 Si tratta di un problema sollevato da Husserl stesso in Idee I, laddove egli afferma che «la distinzione radicale non esclude l’intrecciarsi e il parziale sovrapporsi delle scienze. Così per esempio la “cosa materiale” e la “psiche” rappresentano diverse regioni dell’essere, e tuttavia l’ultima è fondata sulla prima, per cui la psicologia è fondata sulla somatologia» (E. Husserl, Ideen I, cit. p. 40).
31 E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und einer phänomenologischen Philosophie, Zweites Buch, Phänomenologischen Untersuchungen zur Konstitution, Husserliana IV, 1952; tr. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro secondo, Ricerche fenomenologiche sopra la costituzione, Einaudi, Torino 1965 e 2002, testo supplementare n. 1, sez. 2, p. 113 (482 nell’edizione italiana).
32 E. Mach, The analysis of sensations, and the relation of the physical to the psychical, The Open Court Publishing Company, Chicago 1914, p. 16.
33 Ideen II, cit. p. 62.
34 Si veda in particolare E. Husserl, Metodo fenomenologico statico e genetico, Il Saggiatore, Milano 2003.
35 E. Husserl, Ideen I, p. 213.
36 E. Husserl, Zur Phänomenologie des Inneren Zeitbewusstseins: 1893-1917, Martinus Nihoff, The Hague, 1966; tr. it. Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Franco Angeli, Milano 2001.
37 F. Varela, «The specious present: A neurophenomenology of time consciousness», in: Naturalizing Phenomenology, a cura di J. Petitot, F. Varela, B. Pachoud, J. M. Roy, Stanford University Press, Stanford CA 1999, pp. 266-314.
38 W. James, The Principles of Psychology, Dover, New York 1950 (1890).
39 F. Varela, «The specious present», cit., p. 273.
40 H. Feigl, « Some crucial issues of mind-body monism», Synthese 22(3/4), 1971, pp. 295-312.
41 D. J. Chalmers, «Panpsychism and panprotopsychism», Panpsychism: Contemporary perspectives, a cura di G. Bruntrup e L. Jaskolla, Oxford University Press, New York 2016, pp. 19-47.
42 S. Coleman, «Neuro-cosmology», in Phenomenal qualities: Sense, perception, and consciousness, a cura di P. Coates e S. Coleman, Oxford University Press, Oxford 2015, pp. 66-102; id., «Panpsychism and neutral monism: How to make up one’s mind», in Panpsychism: Contemporary perspectives, a cura di G. Bruntrup e L. Jaskolla, Oxford University Press, Oxford 2016, pp. 249–282.
43 E. Mach, The analysis of sensations, cit.
44 W. James, Essays in radical empiricism, Longman Green & Co, New York 1912.
45 B. Russell, The analysis of mind, George Allen & Unwin, London 1921; id., The analysis of matter, George Allen & Unwin, London 1927.
46 Si veda soprattutto B. Russell, The analysis of matter, cit.
47 E. Husserl, Ideen I, cit., p. 95.
48 S. Coleman, «Neuro-cosmology», cit.; id. «Panpsychism and neutral monism», cit.
Nessun commento