Fenomenologia enattiva

Di: Stefano Piazzese
1 Aprile 2023

 

Andrea Pace Giannotta
Fenomenologia enattiva. Mente, coscienza e natura
Mimesis, Milano-Udine 2022
Pagine 125
€ 12,00

 

Lo sguardo del filosofo dev’essere lungimirante, profondo e penetrante al punto tale da cogliere tutti gli aspetti che caratterizzano l’esserci e il suo rapporto con il mondo che abita, con la natura che egli è. Tale sguardo teoretico è il vedere del filosofo che scruta – attua una speleologia – i labirinti dell’esistenza, di tutto ciò che si dà alla sua coscienza, nel modo in cui si dà e nei limiti in cui si dà.
Non vi è ente, evento e processo che la teoresi può sottovalutare poiché non vi sono aspetti della realtà trascurabili o di secondaria importanza: tutto concorre alla comprensione della Lebenswelt.
L’interpretazione temporale dell’esserci è sempre connessa alle strutture ontologiche, ovvero le stesse in cui l’esserci si manifesta. Ma ciò non basta: l’interpretazione dell’esserci è il più grande impegno che l’esserci stesso assume nel corso della propria esistenza. Per quale ragione Husserl pone in stretta relazione le strutture del comprendere, trovarsi, scadere e parlare con la temporalità? Nessuna Verständnis dell’umano può aver luogo se non a partire dalla constatazione ontologica del tempo come somma struttura in cui le altre strutture ontologiche sono collocate.
A fondamento della sua proposta fenomenologica, l’autore pone la domanda qual è il rapporto tra la mente cosciente e la natura? (p. 11). Un interrogativo che ha scosso le fondamenta della filosofia del Novecento, e dal cui anelito teoretico ha preso vita anche la fenomenologia. Difatti, Pace Giannotta compie l’atto fondativo, genesi del pensare fenomenologico, che consiste nell’assunzione del principio secondo cui bisogna andare zu den Sachen selbst (alle cose stesse). Movimento del pensiero che scuote l’indagine che la filosofia della mente indaga senza sosta fornendo molteplici risposte.
L’autore, partendo dalla fenomenologia husserliana, e assumendo la concezione enattiva di Varela, formula una nuova risposta al problema posto che prende il nome di fenomenologia enattiva. Definizione che rimanda, nell’immediato, a un problema storico della fenomenologia, ovvero alla dimensione metafisica di quest’ultima, questione che lo stesso Husserl ha lasciato ‘aperta’. L’analisi condotta da Pace Giannotta si colloca al di là della dicotomia separante le due tradizioni della filosofia: analitica e continentale.
Le due risposte principali al problema della percezione, esternalismo delle qualità e internalismo delle qualità, vengono assunte e integrate nell’alveo di una prospettiva secondo cui il rapporto tra soggetto e oggetto e tra mente e mondo si esprime nei termini di una correlazione fondamentale (p. 107).
Nel volgersi alla fenomenologia husserliana, per inglobare in quest’ultima l’enattivismo, l’autore, riprendendo il concetto kantiano di trascendentale, afferma:

la concezione enattivista del rapporto tra soggetto e oggetto e tra mente e mondo – nella sua formulazione originaria – si configura come un correlazionismo che, nella sua forma più radicale, è trascendentale. Il concetto di trascendentale, ripreso da Kant, è centrale in fenomenologia […] Husserl riprende dall’impostazione trascendentale del problema della conoscenza in Kant l’idea secondo cui, prima di poter affermare qualcosa circa l’esistenza di una realtà oggettiva (extra-mentale), bisogna indagare le condizioni di possibilità dell’esperienza, sottoponendo quindi le nostre pretese conoscitive ad una critica (pp. 69-70).

Il concetto di trascendentale conduce all’husserliano enigma della trascendenza che comporta, a sua volta, la necessità di una radicale critica alla conoscenza, nonché a una messa tra parentesi di ogni sapere scientifico acquisito. Questa necessità impone, improrogabilmente, un’ulteriore necessità, e cioè quella di uno sguardo fenomenologico che indaga l’esperienza, il flusso della coscienza immerso negli eventi e nei processi in cui l’esistenza umana si dispiega.
Ecco sorgere il grande problema che deve affrontare lo studioso che si ritrova dinnanzi al distacco tra Husserl e Heidegger in merito all’indagine della soggettività concreta, che ha condotto il secondo a toccare un nervo scoperto della fenomenologia. La stessa Daseinsanalyse di Sein und Zeit, che ha come punto di partenza la dimensione della fatticità o effettività, testimonia ciò.
Pace Giannotta ribadisce l’importanza del fatto che Husserl stesso ha messo in atto il tentativo, ovvero la possibilità teoretica, di indagare fenomenologicamente l’esistenza del soggetto a partire dal mondo-della-vita (Lebenswelt). Difatti, la proposta dell’autore ha a suo fondamento le affermazioni husserliane che pongono al centro il duplice aspetto secondo cui la coscienza è l’assoluto all’interno del quale si costituisce ogni essere trascendente e, allo stesso tempo, un accadimento indissolubilmente legato al mondo. Immediata è la consapevolezza che l’argomento trattato impone il confronto tra i due grandi pensatori del Novecento, per il quale l’autore, in una nota nel paragrafo Coscienza trascendentale e coscienza empirica, rimanda al testo di Sini affermando che tale rapporto è stato determinato storicamente da numerosi fraintendimenti (p. 7).
A partire da qui è possibile integrare la fenomenologia trascendentale con la prospettiva enattivista. Risulta imprescindibile, a tal riguardo, considerare che intorno agli anni Venti Husserl distingue esplicitamente la fenomenologia statica dalla fenomenologia genetica – precisamente dopo aver pubblicato il primo volume delle Ideen zu einer reinen Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie -, dando maggiore spazio e importanza alla trattazione della seconda.
Questa distinzione la si comprende approfondendo l’analisi della temporalità della coscienza, tema che Husserl ha ripreso più volte. L’analisi dell’articolazione temporale ha come suo risvolto teoretico la prospettiva secondo cui la coscienza fenomenica è costituita da tre parti: coscienza dell’ora, ritenzione e protensione. Pertanto, il presente

si configura come uno “spazio in cui abitiamo” (Varela 1999: 278), piuttosto che come un punto discreto nella linea del tempo. Ossia: il presente coscienziale è un campo con una struttura analoga a quella del campo visivo, che ha sempre un centro e una periferia non separabili. […] In questo modello della temporalità, quindi, ciascun momento del flusso di coscienza è parte di un campo temporale con la costante articolazione tripartita impressione-ritenzione-protensione (p. 93).

Ne consegue che protensione e ritenzione sono aspetti costituenti di un flusso continuo di impressioni e, parimenti, fasi nucleari di un continuum impressionale. Per quanto concerne il concetto di Urimpression, impressione originaria, esso è adoperato da Husserl per indicare il nucleo qualitativo della coscienza nel presente vivente (p. 94).
Coscienza che è sempre incarnata: Körper – corpo come oggetto – e Leib – corpo come vissuto. Attraverso questi due concetti Husserl dice il corpo, che non è mai riducibile alla sola componente fisico-spaziale; dunque, non si tratta di un semplice oggetto occupante un determinato spaziotempo. La proposta di Pace Giannotta tiene conto soprattutto del Leib – a sua volta comprendente le dimensioni funzionale attiva e senziente passiva -, del corpo vissuto e dunque della sua storicità, della sua biografia, dei suoi vissuti.
La distinzione husserliana viene qui assunta con forza in quanto senza di essa «il corpo funzionale potrebbe essere assimilato al Körper: il corpo come oggetto» (p. 100). Dunque, si tratta sempre di comprendere l’enigma dell’umano, in questo caso attraverso le principali questioni della fenomenologia, a partire dal corpo che egli è, dalla sua temporalità e finitudine. Qui Pace Giannotta mette in evidenza un aspetto cogente della teoresi husserliana: non vi può essere intenzionalità senza che vi sia un nucleo qualitativo (hyle) che scaturisce dalla sensibilità corporea. Tesi che proietta il filosofo direttamente al centro di un problema principale della filosofia, ovvero il rapporto tra hyle e morphé, mente e corpo, mente e natura. Problema enunciato dallo stesso Husserl e subito dopo accantonato (p. 101).
Lo sviluppo metafisico della fenomenologia enattiva trova un terreno fecondo anche nel pensiero di Merleau-Ponty. Nell’ontologia della carne (Il visibile e l’invisibile, 1964) la prospettiva metafisica ha a suo fondamento l’analisi del radicamento corporeo e qualitativo della coscienza (p. 118).
Cos’è il corpo senziente?

È quindi al tempo stesso soggetto e oggetto della percezione, ed è in virtù di questo statuto peculiare della corporeità che il soggetto ‘inerisce’ al mondo (être-au-monde). L’ontologia della carne riconosce il peculiare statuto metafisico della carne sensibile-senziente, che precede e rende possibile la correlazione tra soggetto ed oggetto (Ibidem).

La carne, per conseguenza, non è da intendere come mera substantia. Essa è processo. In ciò Pace Giannotta riprende il concetto merleau-pontiano di elemento. E se la carne è realtà processuale, relazionale, allora la riflessione stessa di Merleau-Ponty è ascrivibile alla cosiddetta filosofia del processo. Prospettiva molto vicina al panqualitismo, secondo cui l’Essere è una rete di qualità dove la struttura duale soggetto-oggetto costituisce la risposta al presentarsi delle condizioni che determinano l’interazione tra organismi viventi e senzienti.
Pace Giannotta pone la domanda: «Quali sono però le “condizioni” che devono presentarsi affinché il flusso di qualità fondamentali della Natura “dia vita” ad un campo di manifestazione coscienziale?» (p. 119). Quesito al quale è chiamata a rispondere l’indagine neuroscientifica nel suo rapporto con la descrizione fenomenologica della vita di coscienza. Varela propone la prospettiva secondo cui vi sono dei vincoli reciproci tra le strutture dell’esperienza che pertengono alle analisi fenomenologiche e alle loro controparti legate, invece, ai saperi cognitivi. Ecco la ragione per cui ogni indagine scientifica non può prescindere dai risultati delle analisi fenomenologiche; sono quest’ultime a indicare quali fenomeni bisogna indagare.
La prospettiva di Varela viene definita come un’«integrazione metafisica della neurofenomenologia con il panqualitismo» (p. 120), volta a indagare la genesi della coscienza. Pure qui il ricorso all’analisi fenomenologica risulta essere un rimedio metodologico per fare fronte al problema dei problemi, ovvero quello della coscienza: siamo ben distanti, però, da una soluzione metafisica intesa come ricerca di un fondamento a tale correlazione. Ci troviamo, dunque, nel caso di Varela, sempre all’interno di una posizione antimetafisica.
Le domande della metafisica, che ne inaugurano gli inesausti sentieri, nascono dallo sguardo fenomenologico sulla realtà in cui l’essere umano è immerso, dalla sua autocoscienza, dalla consapevolezza del limite par excellence che lo determina: la morte, la sua finitudine, il suo essere-per-la-morte. Una fenomenologia che prende consapevolezza della propria dimensione metafisica – che lo si ammetta o no, ogni pensiero sul mondo e sulla vita ha a suo fondamento una metafisica, e metaphysics is now respectable again, ci ricorda Armstrong – può condurre a un’analisi ricca e feconda come quella delineata dall’autore.
In conclusione, quando si parla di ontologia fenomenologico-enattiva è opportuno chiarire quali implicazioni questa prospettiva ha sul nostro modo di ‘guardare’ il mondo e di farne esperienza, quale incidenza essa ha nell’esperienza collocata sempre nel mondo della vita dove presiede l’onnipresente problema della sofferenza (p. 122) che

sorge dall’attaccamento ai fenomeni considerati come qualcosa di sostanziale e permanente. Ciò riguarda innanzitutto l’io o sé, che a un’attenta analisi si rivela essere un aggregato di eventi psicofisici piuttosto che una realtà sostanziale. [nota 13] l’insegnamento buddhista, ripreso dagli enattivisti autopoietici, consiste nell’invito a vivere pienamente l’esistenza pur nella consapevolezza dell’impermanenza dei fenomeni. Più precisamente, è proprio grazie a tale consapevolezza […] che è possibile vivere in modo sereno, gioioso e compassionevole verso sé stessi e verso gli altri esseri senzienti (pp. 122-123).

Nel considerare le conseguenze pratiche di una posizione teorica si giunge sempre al dolore, alla sofferenza, all’aspetto che più di ogni altro determina la vita dell’animale umano, dei suoi processi esistentivi e cognitivi, degli eventi che ineriscono al suo stare, che lo attraversano, che lo sovrastano. Nel dolore si manifesta sempre la necessità che governa su tutto, e che la proposta fenomenologica di Pace Giannotta tiene in considerazione nel formulare una fenomenologia enattiva articolata in una metafisica e ontologia indaganti i diversi domini oggettuali emergenti della relazione conoscitiva (p. 125).

 

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