Michele De Tommaso
Filosofo, scienziato, architetto
Con la considerazione, sempre più insistita, dell’importanza di meglio sviluppare gli studi storici nel vissuto dei contesti territoriali, coniugando la scansione dei grandi eventi con le peculiari vicende della storia locale, una figura come quella di Michele De Tommaso risulta davvero emblematica di quanto era solito sostenere Franco Venturi a proposito della inseparabilità delle radici locali e delle più importanti idee maturate sotto il cielo d’Euaropa tra Sette e Ottocento.
Venuto in Liguria nel 1794 da rifugiato per scampare alle persecuzioni borboniche, egli, tolti alcuni periodi di assenza forzata, trascorse il resto della sua vita -più di trent’anni- tra Oneglia e Porto Maurizio, rendendosi attore di primo piano nel mezzo delle cruciali vicende consumatesi nel Ponente Ligure tra la fine del XVIII secolo e il primo trentennio di quello successivo e dando prova della poliedricità del proprio valore intellettuale.
Finora, sono state rare le iniziative pubbliche volte a ricordare e approfondire quegli avvenimenti e i loro protagonisti, la più parte dei quali risulta fortemente trascurata e sottovalutata. Eppure, già nel 1939, in un articolo per Il Giornale di Genova, Leonardo Lagorio, storico direttore e animatore della Biblioteca Civica di Imperia, ebbe a sostenere che proprio De Tommaso era stato considerato al di sotto di ciò che avrebbe meritato l’opera sua1, da leggere nel quadro di un periodo storico la cui importanza, per la realtà ligure, pare anch’essa non adeguatamente compresa e apprezzata nell’interezza del suo valore. L’idea di far meglio conoscere la ricchezza e l’originalità dell’impegno complessivo del Nostro, ma di tanti altri protagonisti coevi, posta l’intenzione di fondo di contribuire a mantenere viva la memoria delle esperienze e delle influenze illuministiche, repubblicane e giacobine in Italia e in Liguria e promuovere la ricerca su di esse, ha portato nel 2008 all’intitolazione al suo nome della Scuola di Alta Formazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici già costituita da qualche anno a Imperia, città adottiva del patriota napoletano, e a un convegno tenuto l’anno successivo. Iniziative assunte anche col conforto di una certa ripresa di interesse manifestatasi in questi ultimi anni in Italia per gli studi sulle eredità dell’Illuminismo, sugli eventi che maggiormente segnano il periodo prerisorgimentale e sulla intensissima, cruciale battaglia politico-culturale che si giocò in tale contesto, con un crescente coinvolgimento, oltre che di storici di professione e accademici, di qualificati sodalizi culturali e di istituzioni educative.
Michele De Tommaso era nato a Napoli nel 1770. A conclusione degli studi classici, si laureò in filosofia e in architettura; successivamente divenne sacerdote con laurea in teologia. Per accostarci alla sua formazione dobbiamo tenere presente la straordinaria ricchezza e complessità culturale che si era andata stratificando nel Regno (non solo a Napoli) negli ultimi cinquant’anni. Insieme a ciò, l’influenza del pensiero illuministico, capace di maturare nel contesto della Capitale altissime prove grazie all’opera e al magistero di uomini come Pietro Giannone, Antonio Genovesi, Ferdinando Galiani e soprattutto -per l’importanza che avrà nella formazione dei repubblicani del ’99- Gaetano Filangieri. Intellettuali la cui fama era da tempo conosciuta e celebrata in tutta Europa e oltre, oggi riconosciuti tra i massimi esponenti dell’illuminismo e del repubblicanesimo moderno, come si afferma negli ormai classici studi di Venturi sulle tappe della formazione del repubblicanesimo, una delle idee politiche decisive per la formazione dei moderni Stati europei. Idea complessa e varia, struttura sia dell’utopia sia del riformismo, che ha avuto al suo centro il contrasto tra libertà e dispotismo e tra libertà e democrazia, tra il diritto di proprietà e il sogno della rigenerazione sociale. Venturi, che come noto aveva ripreso e approfondito l’interpretazione crociana del valore rigeneratore dell’esperienza degli illuministi e giacobini napoletani, approfondendola, ha collegato il movimento illuminista napoletano a quello europeo entro un orizzonte cosmopolitico2. La circolazione in ambito europeo delle idee illuministe aveva avuto in Napoli un centro importante, portandovi passioni, speranze, progetti che vi furono originalmente rielaborati. Genovesi, tra gli altri, fu il Diderot napoletano: anch’egli era stato fiducioso nelle riforme e aveva cercato di far nascere pure a Napoli il philosophe. Come gli enciclopedisti, anche il pensatore salernitano si propose il modello dell’intellettuale indipendente, capace di creare un gruppo autonomo con un suo progetto, ma che pure non stesse lontano dalla politica: che, anzi, sapesse stare dentro e fuori il potere. Con le sue ricerche, Venturi ha potuto delineare compiutamente l’esperienza politica degli illuministi napoletani: il rapporto con il dispotismo borbonico spinse alcuni a collaborarvi e altri -su tutti Mario Pagano, probabilmente il più lucido dei protagonisti dell’esperienza rivoluzionaria e repubblicana (oltre che insigne filosofo)- a distaccarsene radicalmente. È dall’impeto di questa presa di coscienza che maturerà il percorso morale e politico che si concluse poi nella drammatica vicenda della repubblica del ’99. Occorre ricordare che lo straordinario sviluppo culturale di cui parliamo, che fa incontrare e dialogare speculazione filosofica, scienza giuridica, studi economici, matura in un sostrato fatto di componenti diverse, ma spesso coesistenti, o addirittura impastate: i depositi della filosofia vichiana, l’influenza di giansenismo, gallicanesimo, anticurialismo e modernismo, la presenza e l’azione, carsica e costante, dei vari circoli massonici. Tra i contributi volti a far luce e capire i nessi complessi, le contraddizioni, gli elementi di continuità/discontinuità, le tradizioni e i punti di rottura che intessono e movimentano questa realtà così profondamente stratificata, si evidenzia il densissimo saggio di Domenico Ambrasi Riformatori e ribelli a Napoli nella seconda metà del Settecento, lavoro presentato da Arturo Carlo Jemolo3.
Per le sue idee e il suo impegno, De Tommaso fu vittima della reazione borbonica alla cospirazione del 1794, il primo, con quello di Torino, dei moti giacobini in Italia. Finito in carcere con Agostino Orsi, domenicano già reggente del monastero di San Giovanni in Carbonara, e con Nicola Celentano, dottore in legge, insieme a questi due patrioti egli riuscì a fuggire dal carcere e a raggiungere Genova, dove i tre furono presentati al Tilly -incaricato d’affari della Repubblica Francese- che li indirizzò a Oneglia. La città era in quel tempo già occupata dalle truppe francesi ed era amministrata da Filippo Buonarroti, il rifugiato politico pisano e rivoluzionario, “agente nazionale generale”, impegnato a far opera di propaganda delle nuove idee. Buonarroti li aiutò a compiere, con una concreta prova di governo, il processo di evoluzione da un giacobinismo teorico a un giacobinismo pratico. Maria Teresa Albuge ha evidenziato4 come intorno al Buonarroti si riunissero numerosi patrioti italiani provenienti da ogni parte d’Italia e, particolarmente, dal Piemonte, dal Napoletano e dalla Corsica, ai quali veniva rilasciato un certificato di permanenza a Oneglia, trasformatasi ora nel centro rivoluzionario più importante d’Italia (come viene puntualmente ricostruito da Giacomo Molle5). Un breve soggiorno trascorso nella città costituiva un titolo di raccomandazione presso i club rivoluzionari di Nizza, dove i patrioti italiani erano accolti con entusiasmo. Come si sa, su questa vicenda si è appassionatamente esercitato anche Alessandro Natta, onegliese di nascita, una volta ripresi nei suoi anni più tardi gli amati studi storici, con particolare riguardo per la figura e l’opera di Filippo Buonarroti, commissario politico per i territori occupati da Mentone a Loano, al quale egli riconosce una grande intuizione6. Natta torna a raccontare come agli esuli italiani, che sono quasi tutti di notevole livello culturale e politico, Buonarroti farà ricorso, aggirando difficoltà e ostacoli, per le funzioni amministrative. In questo modo, i Lauberg, i Vitaliani, i De Tommaso, gli Orsi, gli Abamonti, tutti uomini fuggiti dal Regno, saranno gli insegnanti, gli educatori, i pubblicisti, gli autori dei catechismi rivoluzionari, oltre che responsabili degli uffici amministrativi, accolti, sostenuti e valorizzati anche in polemica con le autorità francesi e a dispetto delle loro diffidenze. Da “cospiratori”, essi diventano “apostoli della Rivoluzione” e “cooperatori”. Come ben ha mostrato Pia Onnis Rosa7, il gruppo di Oneglia spicca per attività combattiva, capacità di sacrificio, disinteresse e coerenza d’idee. Le loro delusioni anticipano le delusioni italiane del triennio, li destinano già allora a una perpetua opposizione all’indirizzo preso dalla Francia dopo il Termidoro e a nuove persecuzioni da parte dei governi da essi instaurati in Italia. Molti di loro, infatti, si segnaleranno in quel partito che la Francia del Termidoro chiamerà, con sprezzo e preoccupazione, «la coda di Robespierre»8. Essi vedono per tanti versi la Rivoluzione mancare ai fini sperati, insieme al Buonarroti, che sanno alle prese con le autorità civili e militari per difendere il popolo da soprusi ricorrenti, ma sotto la sua direzione ribadiscono nelle piazza e nelle scuole i principi del nuovo diritto e delle civiche virtù, ormai contraddetti dai loro stessi banditori. In questo senso, il problema dell’Italia appare forse già allora connesso col problema del governo in Francia. La consapevolezza di un distinto destino italiano, “un primo moto concreto e cosciente” verso il Risorgimento maturano in questa temperie, fino alla rimozione del Buonarroti e alla sostituzione del suo governo civile con un comando militare. A livello embrionale, un primo programma nazionale non solo di libertà e riforme, ma anche di indipendenza e unità. Eppure, l’esperienza onegliese fu troppo breve per capire come si sarebbero sviluppata la direzione del Buonarroti e l’azione dei suoi collaboratori, impegnati a combattere -in una situazione difficilissima, alle prese con i pressanti egoismi francesi che determinavano non pochi soprusi- il feudalesimo e l’ingiustizia sociale nel nome di un risorgente principio d’uguaglianza. Essi fronteggiavano le storture e gli inganni dei dispotismi e dei regimi oligarchici, ma erano nel contempo vivamente consapevoli, da un lato, di quanto fosse lenta, difficile e spesso deludente la penetrazione delle idee progressive nel popolo, grazie anche alla grande, desolante ignoranza che regnava; dall’altro, dell’involuzione dell’idea di Rivoluzione in Francia, il cui governo peraltro non smetteva le sue pretese più che egemoniche nei territori occupati. Matura così ‘sul campo’ la coscienza della dura, inestinguibile dialettica tra astrazione e agire concreto, come pure della necessità di dover superare le proprie ingenuità e riuscire a imparare dai propri errori e altrui in una situazione oggettivamente difficilissima. Problemi drammatici che si ripresenteranno, mutatis mutandis, nella Rivoluzione Napoletana. Nei suoi ben documentati studi, Onnis Rosa, che riprende Godechot, fa intendere di ritenere attendibile uno sviluppo della linea di governo nella quale si sarebbe data garanzia di non incorrere in eccessi terroristici, nell’accezione che in quel momento il termine aveva (nei fatti nessun atto terroristico è imputabile al Nostro), si sarebbe scontata una logica gradualità nelle riforme, scevra da massimalismi, si sarebbe assicurata tolleranza religiosa9, che il Buonarroti, benché avesse sostenuto l’introduzione del culto dell’Ente Supremo -peraltro con una propria originalità- non aveva mai smesso di raccomandare, sin dai tempi dell’esperienza in Corsica. Del resto, stando ai fatti, risulta del tutto significativo, se non rivelatorio dei tempi, che fu la sua politica antifeudale a essere prima frenata e poi causa diretta dell’arresto che lo colpì nove mesi dopo il Termidoro. Tratti forti del giacobinismo italiano e dell’indirizzo buonarrotiano, possiamo dire, furono la sollecitudine umanitaria e l’accento sociale, distinguibili nell’insistenza per l’attuazione di alcune misure: provvidenze in favore degli indigenti, piano di istruzione gratuita popolare, laica e democratica. Secondo Natta -che, come noto, si autodefiniva “giacobino”, oltre che “illuminista” e “comunista”- l’impegno di Buonarroti nel valorizzare e responsabilizzare i patrioti venuti a Oneglia non fu solo segno generoso e coraggioso di solidarietà, ma anche il frutto di un disegno politico lungimirante, inteso ad agevolare il rapporto tra il regime rivoluzionario francese e le popolazioni, presso le quali permanevano ostilità, indifferenza e un forte disorientamento, attraverso il tramite più efficace e persuasivo dei giacobini italiani, e ancor di più di salvaguardare e di addestrare forze per la causa della Rivoluzione e per la Rivoluzione in Italia. Riprendendo i lavori di Armando Saitta, Natta sostiene che in quell’incontro, in quel lavoro comune è giusto vedere il primo, autentico atto del Risorgimento Italiano10, ferma la convinzione buonarrotiana che lo sviluppo della Rivoluzione ha bisogno di diffusione e affermazione negli altri Paesi d’Europa, nelle altre Nazioni, come l’Italia, ma essa può vincere solo se ciò significherà per esse, autenticamente, libertà e indipendenza e se coloro che sono impegnati nella lotta si sentiranno tutti di un medesimo Paese, di una stessa patria, italiani e fratelli, superando le sciocche distinzioni di essere nati a Napoli, a Milano o a Torino.
Ancora Onnis Rosa rileva11 che a Oneglia si raccoglie quel partito di “giacobini”, “anarchistes”, “unitari” cui si deve se questo primo moto risorgimentale, al di là di un riformismo ancora settecentesco, o di vaghe attese di miglioramento economico come quelle che ogni rivolgimento suscita nelle classi popolari, abbia avuto il carattere di un risveglio nazionale politico, puntando sulla libertà, sull’indipendenza e sull’unità, e abbia mirato a una trasformazione della società in senso democratico ed egualitario. Trasformazione che si tenterà di suscitare con la Rivoluzione napoletana del ’99. Parliamo dunque di un momento cruciale, in un contesto di straordinaria importanza per gli sviluppi futuri in tutta la Penisola. Il giudizio della gran parte degli storici che se ne sono occupati, è acquisito. Anna Maria Rao12, in particolare, ha sottolineato come l’istituzione della Repubblica Napoletana del ’99 -ultima delle repubbliche del cosiddetto triennio giacobino, nata come una sorta di fiore impossibile, («una bella mattina re Nasone apprese che il mondo liberale contava una repubblica in più. Era la Repubblica partenopea»13, scriverà Alexandre Dumas nel suo Corricolo, contenente uno splendido affresco di quegli eventi)- fosse percepita dai contemporanei proprio come la realizzazione di quel progetto di unificazione della Penisola preconizzato fin dal 1794/1795 tra gli esuli raccolti a Oneglia intorno a Filippo Buonarroti e sul quale particolarmente i patrioti meridionali avevano continuato a insistere sui giornali pubblicati a Milano, in una generale aspettativa che aveva suscitato attenzione e interesse presso gli ambienti intellettuali e politici europei, fino al tragico epilogo di quell’esperienza i cui limiti saranno ravvisati prima da Vincenzo Cuoco nel celebre Saggio e poi, sulla sua scia, da Croce e da Gramsci -che da Cuoco mutuava il proprio concetto di “rivoluzione passiva”- allorché una resistenza eroica ebbe a fronteggiare non solo l’armata sanfedista del Cardinal Ruffo e le navi di Nelson, ma anche le gravi responsabilità dell’esercito francese e del Direttorio. Fino a una sanguinosa e vendicativa restaurazione che sancì il tempo «delle punizioni, ma anche delle ricompense»14, per dirla ancora con Dumas. Esito tragico, che contribuì a riaprire il dibattito nel campo repubblicano e democratico internazionale su come salvaguardare in futuro l’indipendenza dei popoli che convulsamente accedevano alla liberazione dai regimi monarchici. Soffocata nel sangue e in una reazione crudele, quella straordinaria esperienza non lasciò «il resto di niente», per riprendere le parole che Enzo Striano mette in bocca a Eleonora Pimentel Fonseca nel suo bel romanzo dal titolo omonimo15, ma consentì di maturare col tempo una nuova coscienza. Si può dunque affermare, con Giuseppe Galasso, che all’inizio dell’intero arco storico/politico sopra disegnato abbia un suo particolare rilievo l’esperimento della cosiddetta “repubblica di Oneglia”, nella quale non solo si formò, con Filippo Buonarroti, un “seminario” di vero e proprio giacobinismo16, ma si ebbe da varie parti d’Italia un’affluenza di quelli che ormai si potevano definire rivoluzionari più che simpatizzanti per la rivoluzione di Francia: primo episodio di convergenza peninsulare in un centro rappresentativo di una posizione politica nuova e di valore generale, secondo un modello che avrà nella Roma e nella Venezia del 1849 e nella Torino degli anni successivi il suo culmine di maggiore importanza e significato.
De Tommaso, come detto, nel 1794 si stabilisce a Oneglia. Il suo non sarebbe stato un breve soggiorno. Con Orsi e Celentano divenne collaboratore del Buonarroti, prestando insieme opera come funzionari pubblici e attendendo ai corsi di istruzione e propaganda che erano stati istituiti a Oneglia. Inizialmente, egli era stato scelto come aiutante di Carlo Lauberg, altro patriota napoletano, nominato responsabile del laboratorio di chimica e farmacia, essendo anche cultore di scienze. Il fatto che De Tommaso, probabilmente giansenista, avesse mantenuto il sacerdozio, può far pensare che egli non fosse un rivoluzionario spinto? Alla luce di quanto sopra evidenziato, sembra di poter affermare che un simile avviso mancherebbe dell’adeguata considerazione nei confronti della generazione di patrioti di cui discorriamo, della convivenza di diversi, eterogenei elementi di formazione filosofica e politica (moltissimi furono esponenti del clero), non contestualizzerebbe l’impegno concretamente profuso nelle condizioni date e, ancor di più, non renderebbe conto del vivo coinvolgimento -intellettuale ed emotivo- nell’incalzante, turbinosa, dialettica ideologica che si scatena, dentro e fuori dai confini francesi, nel succedersi degli eventi di Francia e dei loro drammatici sviluppi. Se invece si assume questo angolo visuale, la concreta azione di De Tommaso e della più parte dei patrioti che lo affiancarono nelle vicende in argomento, in primis di Buonarroti, naturalmente, fanno risaltare con limpidezza, al di là di collocazioni forse un po’ sommarie e categorizzanti, un impegno coerente che consente oggi di inquadrarli in una posizione piuttosto avanzata -consideriamo quanto negli stessi anni sta accadendo nella ‘casa madre’ della Rivoluzione- del pensiero repubblicano radicale. Ripensiamo, in particolare, al rapporto di Buonarroti con Robespierre e alla considerazione che fino alla fine ebbe di lui. Nel riprendere la tesi di Natta, possiamo dire che da quella prova concreta di governo, breve ma intensissima, che fu la “repubblica di Oneglia”, vennero due stimoli determinanti. Quello volto a una ripresa del robespierrismo in una interpretazione nettamente egualitaria, con una forte riflessione sui limiti delle politiche sociali fino ad allora poste in essere dai giacobini e sulla ineludibilità e radicalità della questione del nesso tra libertà e uguaglianza e proprietà privata -si pensi all’opposizione al Termidoro e alla congiura degli Eguali- e quello, non meno significativo, della lotta per l’Unità d’Italia, che proprio qui ebbe un avvio concreto: dunque, da un lato il passaggio dal giacobinismo all’egualitarismo; dall’altro, della parte avuta dai Nostri patrioti nella storia d’Italia con la lunga trama delle cospirazioni negli anni venti e trenta dell’Ottocento. Ovviamente queste considerazioni meriterebbero ben altro approfondimento, sulla scorta di una ricerca storica e storiografica articolata e fondamentale, quale è quella cui fa riferimento sapientemente il citato Natta (da Pia Onnis Rosa a Ernesto Codignola, da Alessandro Galante Garrone a Benedetto Croce, da Gastone Manacorda a Delio Cantimori), fino a esiti più recenti, quali quelli forniti, a cavallo e a seguito del Bicentenario della Rivoluzione, da studiosi come Michel Vovelle, che riprende i contributi dei grandi storici francesi della Rivoluzione: Aulard, Mathiez, Lefebvre, Soboul), volti ad approfondire il rapporto tra la filosofia di Rousseau, il pensiero giacobino e gli orientamenti e la condotta di Robespierre e Saint Just, negli anni passati non poco travisati da molte parti.
Nell’ambito della ricordata attività prestata come educatore e propagandista, De Tommaso venne incaricato di scrivere, insieme a Orsi, un Catechismo sui diritti dell’uomo, stampato nell’ottobre 1794 dalla Tipografia Montanaro (di Strafforello) di Monaco, ferma requisitoria contro il regime, come pure dei testi di legislazione repubblicana. In quello stesso anno, fu nominato con Orsi maestro di seconda classe delle istituende scuole secondarie di Oneglia. Analogo incarico ricevette un altro fuoriuscito napoletano, Giuseppe Abamonti, anch’egli fuggito da Napoli a seguito della congiura del 1794 e della repressione che ne seguì. Questi, autore tra l’altro di un Progetto di Costituzione per la Lombardia e, nel 1797, a Milano, dove si era recato due anni prima, di un Saggio sulle leggi fondamentali dell’Italia libera (probabilmente scritto a Oneglia), conservato presso la Biblioteca di Magenta, nonché fondatore, sempre nel capoluogo lombardo, del Giornale dei Patrioti italiani (il cui prospetto fu anch’esso concepito a Oneglia), avrebbe poi fatto ritorno a Napoli per prendere parte attiva alla vita politica della sua città, chiamato ad assumere altissimi incarichi nel Governo della Repubblica.
De Tommaso affrontò con grande passione l’impegno dell’insegnamento, integrando quell’attività con la produzione di trattatelli di cognizioni utili per i suoi giovani allievi; nel frattempo aveva stretto forti relazioni con personalità della vicina Porto Maurizio. Così, quando nel 1795 Oneglia ricadde nelle mani dei piemontesi, ebbe modo di trovare ospitalità a Porto Maurizio, in un ambiente favorevole alla sua grande idea di una confederazione italica, che mai smise di sostenere. In seguito, egli rimase attivo nei circoli repubblicani locali, fino a quando, tra il 1798 e il 1799, maturarono le condizioni che portarono alla Repubblica Ligure e all’unificazione tra Porto Maurizio e Oneglia. Il 7 gennaio del 1799, come ci ricorda Maria Teresa Albuge17, durante una festa patriottica sotto l’albero della Libertà, fu proprio De Tommaso -in quel momento segretario del Commissario Reghezza- a comunicare ai convenuti i fatti di Napoli, suscitando un generale fermento. Nel 1801 De Tommaso, che era stato nominato insegnante nelle scuole pubbliche, riuscì a istituire una Scuola di filosofia che inaugurò il 4 novembre di quell’anno con un Discorso sulla natura della filosofia, in seguito dato alle stampe. Seguirono le Istituzioni di logica, opera pubblicata a Genova, fortemente criticata da alcuni intellettuali guidati dal prete Vincenzo De Marini; nel 1804 furono date alle stampe le Istituzioni di metafisica, dedicate al cittadino Saliceti, amico del Buonarroti, ministro plenipotenziario della Repubblica Francese, che gli era stato di aiuto presso la Repubblica Genovese. L’influenza di De Tommaso sugli allievi fu molto forte e contribuì non poco alla formazione di coloro che avrebbero poi preso attivamente parte alle stagioni risorgimentali. La sua attività filosofica -i testi maggiori sono conservati presso la Biblioteca di Imperia- appare significativa: una speculazione forte e serrata, accompagnata da uno sguardo prospettico su due secoli di filosofia, ‘600 e ‘700, capace di entrare in dialogo critico con le grandi correnti dell’epoca (razionalismo, empirismo, illuminismo) sulle più importanti questioni teoretiche; una speculazione di respiro europeo, non priva di intuizioni di grande interesse e stimolanti suggestioni.
Nello stesso anno 1801, a seguito di una sommossa originata da una nuova gabella sull’olio imposta da Genova, le scuole erano state chiuse e quella di filosofia soppressa. Per ottenere la sua riapertura fu anche sottoscritta, da numerose personalità e autorità cittadine, una petizione al Magistrato Supremo della Repubblica, nella quale si chiedeva che De Tommaso potesse continuare la sua opera d’insegnamento, destinata a rimanere senza esito. Abbiamo una lettera del 31 luglio del 1804, nella quale il Nostro fa riferimento a quella petizione e auspica di poter riaprire la Scuola. Fu costretto tuttavia a cambiare attività: essendo laureato anche in architettura, nel 1805 passò alle dipendenze del Comune in qualità di capo dell’Ufficio Tecnico. Anche in questo nuovo incarico profuse tutta la sua passione e dimostrò il suo ingegno rilevando il piano idrografico della rada della città e contribuendo alla progettazione della sistemazione della piazza del nuovo Duomo, in collaborazione con Ferdinando Bonsignore dell’Accademia di Torino. Nominato ingegnere della Commissione napoleonica per il Porto, realizzò la sistemazione delle arterie più importanti della rete viaria cittadina e su suo progetto fu costruito il cimitero nella zona di Artallo. Fu inoltre impegnato nella rilevazione della pianta della città, tuttora conservata nella Biblioteca Civica. Ma l’intensa attività ingegneristica non impediva a De Tommaso di continuare quella filosofico-umanistica: nel 1811 pubblicò un altro volume, L’ideologia, e il discorso La perfettibilità dell’uomo, opere che gli conferirono notorietà nell’ambiente universitario genovese. Inoltre, aveva preso a insegnare lingue classiche, letteratura, filosofia e belle arti presso alcune casate locali. Nel 1812 fu nominato dal rettore dell’Accademia di Genova revisore dei conti del Collegio di Porto Maurizio. Nel 1814 aprì la Casa degli Studi, di cui aveva scritto il programma. Nel 1815 -siamo alla fine della Repubblica Ligure- elaborò una trasformazione dell’importante edificio scolastico di Piazza Ulisse Calvi, già Collegio degli Scolopi, poi ripetutamente trasformato nel corso del XIX secolo. Successivamente, dopo la Restaurazione, venne nominato dapprima professore di filosofia e matematica e poi, nel 1817, direttore degli studi nello stesso Collegio. Ma il successo di De Tommaso non era tollerato dai reazionari ultraclericali e, soprattutto, da coloro ai quali egli era inviso, capitanati dal prete Vincenzo De Marini: nel 1818 costoro riuscirono a indurre il governo a far chiudere la scuola di filosofia di De Tommaso, dichiarata incompatibile con le disposizioni del regolamento scolastico, in realtà per togliere l’insegnamento a chi dava ombra al partito degli ultraclericali e mostrava grande perseveranza democratica. Nel 1819, però, la situazione muta: eletto sindaco di Porto Maurizio il conte Luigi Littardi, ex capitano dei dragoni napoleonici, fu creata una Scuola di mutuo insegnamento sul modello di quelle istituite a Milano da cospiratori quali Gonfalonieri e Arrivabene e da Pellico, a Nizza da Couvrier, che fu maestro del professor Pinoncelli, istituzioni di grande importanza ai primordi del Risorgimento perché in esse ci si proponeva di educare la gioventù con nuovi metodi, ispirati a elevati sentimenti nazionali. De Tommaso e Pinoncelli furono incaricati da Littardi di organizzare e dirigere tale scuola con il professor Bonfante di San Remo. Unitamente all’impegno filosofico e in campo educativo, De Tommaso prosegue anche l’attività di ingegnere, con progettazioni e realizzazioni edilizie e idrauliche persino nelle zone dell’entroterra. Con i moti del 1821 si aprì la stagione risorgimentale per il Regno di Sardegna e De Tommaso tenne pubblicamente un esplicito discorso a Porto Maurizio sulla necessità di una Costituzione. Dopo le sommosse di marzo a Genova giunse immediata la repressione: la Scuola di mutuo insegnamento venne chiusa e i tre professori responsabili esiliati, malgrado i tentativi fatti in loro favore dal sindaco Littardi. De Tommaso si rifugiò a Marsiglia presso una famiglia di Porto Maurizio che in quella città gestiva la ditta Bensa et fils per il commercio dell’olio d’oliva. Il De Marini nel frattempo aveva pubblicato un libretto di critica delle opere del Nostro, dal titolo Osservazioni critiche sopra i libri di logica metafisica ed altri dettati da Michele De Tommaso napoletano; l’esule replicò puntualmente con una Risposta alle critiche del De Marini, in cui riprendeva con chiarezza il suo pensiero e il proprio operato. L’esilio si protrasse per sei anni, durante i quali Michele si mantenne in corrispondenza con gli amici di Porto, dove ancora nel 1826 egli chiede nuovamente di poter ritornare. Finalmente il 2 dicembre di quell’anno, per interessamento dei Littardi, il re gli concesse il rimpatrio, che avvenne nel gennaio 1827. Tornato dall’esilio di Marsiglia, De Tommaso fu accolto trionfalmente dalla popolazione -scrive Lagorio nel suo articolo qui ricordato- «come il più illustre concittadino»18. Si sarebbe spento nel 1830, senza aver potuto assistere al compiersi degli avvenimenti che egli aveva preconizzato nei suoi scritti: la caduta del Regno delle Due Sicilie e l’Unità d’Italia.
Note
1 L. Lagorio, Michele De Tommaso patriota e filosofo, in Il Giornale di Genova, 13/03/1939.
2 Cfr. F. Venturi, Illuministi italiani, in Settecento riformatore, Einaudi, Torino 1969.
3 Cfr. D. Ambrasi, Riformatori e ribelli a Napoli nella seconda metà dell’Ottocento, Regina, Napoli 1979.
4 M. T. Albuge, Porto Maurizio dalla Repubblica oligarchica alla Repubblica Ligure 1780/1799, Dominici editore, Imperia 1992, pp. 90 e sgg.
5 Cfr. G. Molle, Oneglia nella sua storia, Giuffrè, Milano 1974.
6 Cfr. A. Natta, Filippo Buonarroti, commissario ad Oneglia, in Anch‘io in Arcadia, Centro editoriale imperiese, Imperia 1998.
7 Cfr. Onnis Rosa, Filippo Buonarroti nel Risorgimento Italiano, Estratto dalla Rassegna Storica del Risorgimento, fascicolo I, gennaio-marzo 1962, Istituto Poligrafico dello Stato, pp. 42-44.
10 A. Natta, Anch‘io in Arcadia, cit., p. 18.
11 P. Onnis Rosa, Filippo Buonarroti nel Risorgimento Italiano, cit., p. 42.
12 Cfr. A. M. Rao, La Repubblica napoletana del 1799, Newton & Compton, Roma 1997; Mito e storia della Repubblica Napoletana, in La Repubblica napoletana del Novantanove. Memoria e mito, Archivio di Stato di Napoli, a cura di Marina Azzinnari, Gaetano Macchiaroli editore, Napoli 1999.
13 A. Dumas, Il Corricolo, Colonnese editore, Napoli 2004, p.116.
15 Cfr. E. Striano, Il resto di niente, Rizzoli, Milano 2001.
16 G. Galasso, Il 1799 e l’Europa, in Napoli 1799. Fra storia e storiografia, a cura di Anna Maria Rao, Vivarium, Napoli 2002.
17 M. T. Albuge, Porto Maurizio dalla Repubblica oligarchica alla Repubblica Ligure 1780/1799, cit., p.142.
18 L. Lagorio, Michele De Tommaso patriota e filosofo, in Il Giornale di Genova, 13/03/1939, cit.
Riferimenti bibliografici e fonti documentali
– Albuge Maria Teresa, Porto Maurizio dalla Repubblica oligarchica alla Repubblica Ligure 1780/1799, Dominici editore, Imperia 1992
– Ambrasi Domenico, Riformatori e ribelli a Napoli nella seconda metà dell’Ottocento, Regina, Napoli 1979
– Boggero Franco – Paglieri Rinangelo, Imperia, Sagep, Genova 1988
– Buonarroti Filippo, Scritti politici, Einaudi, Torino 1976
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– De Tommaso Michele, Instituzioni di metafisica, Stamperia della Società Medica di emulazione, Genova 1804
– De Tommaso Michele, Risposta alle osservazioni critiche sulla logica, metafisica etc. del Sig. prete V. De Marini, A. Ricard, Marsiglia 1821
– De Tommaso Michele, Lettere, in “Fondo Littardi” custodito presso l’Archivio di Stato di Imperia
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