Parmenide e il tempo. Contro la lettura nichilistica dell’eleatismo

Di: Noemi Scarantino
8 Luglio 2021

 

 

Il Tempo è l’identità della linea generata dagli eventi e la differenza degli eventi generati. […] Ogni variazione nasce dentro la continuità temporale dell’ente e ogni continuità è in divenire. […] Ogni immagine-mondo stabile e perenne va sostituita dall’immagine-tempo che è la verità del mondo. Un tempo che non consiste soltanto nell’ordinata geometria lineare del Χρόνος ma anche nel frattale sempre nuovo dell’Αἰών1.

Con queste parole Alberto Giovanni Biuso conclude il suo testo e con le stesse introduco il presente breve lavoro. La scelta è molto chiara e semplice: queste parole testimoniano l’essenza dell’oggetto di discussione del libro, ovvero l’Αἰών. Strutturalmente il testo sembra disegnare una serie di elementi circolari: ogni capitolo presenta una conclusione che rimanda la discussione condotta al suo interno sempre all’Αἰών. Questa scelta fa pensare a un tentativo dell’autore di mostrare tangibilmente ciò che il testo cerca di discutere, cioè la realtà del tempo sia come susseguirsi delle differenze nell’identità lineare del Χρόνος sia come ritorno dell’identico nel ciclo dell’Αἰών.
La chiusa del libro avrebbe potuto dunque essere l’introduzione – o anche la chiusa di uno dei capitoli – a testimonianza della ciclicità del testo all’interno del quale ogni elemento è discusso sempre in modo nuovo; «poiché comune (ξυνόν) è il principio e la fine lungo il bordo del cerchio»2 (M.121 / DK 22 B 103).
Il tempo è unitario, conferisce unità a tutte le cose che in esso si trovano e manifesta la sua unitarietà nella coscienza umana, la quale si dispiega nella forma del flusso temporale che unifica, tramite appercezione, i dati sensibili provenienti dall’esterno, i quali portano già con sé una propria unità temporale. Il tempo della coscienza unifica l’unità della trascendenza nell’immanenza, la dota di senso e la percepisce non soltanto qui e ora ma nell’intera unità delle modalità temporali. La coscienza è unità appercettiva di percezioni, unità di enti, eventi e processi e, soprattutto, unità temporale dell’adesso, del già stato e del non ancora.
Husserl individua due tipi di appercezione: la prima permette di creare la cosa spaziale, la seconda il tempo oggettivo. Le oggettività spaziali individuali (gli oggetti della natura) si costituiscono mediante appercezione a partire dagli oggetti di sensazione attraverso il momento di datità dell’individuo spaziale seguito dalla percezione soggettiva. I dati sensibili sono i rappresentanti appercettivi atti a formare l’unità di intuizione, la quale non è mai formata da frammenti sparsi ma da dati di sensazione che trovano significato a partire dai cinque sensi del corpomente. Questo tipo di appercezione dei dati sensibili, che hanno ognuno una posizione nello spazio, forma la cosa spaziale.
Il secondo tipo di appercezione riguarda l’unità di appercezione delle cose spaziali che avviene all’interno del flusso di coscienza, dove si individua il tempo oggettivo delle datità. Tutto ciò che si dà spazialmente e che diventa, per un corpomente percipiente, cosa spaziale tramite appercezione dei dati di sensazione, porta con sé un tempo che è il suo proprio tempo ma che diviene tempo per il corpomente grazie all’appercezione che unifica le cose appercepite spazialmente. Questa appercezione temporale che lavora su quella spaziale, unifica gli individui spaziali sotto un unico tempo che non è il loro puro tempo oggettivo ma è il tempo oggettivo che acquista senso nel flusso di coscienza, è il tempo oggettivo che le cose acquistano per il corpomente, grazie alla rappresentazione appercettiva che il tempo immanente coscienziale mette in atto.
Ciò non significa però che il tempo oggettivo e il tempo immanente si annullano l’uno nell’altro, infatti il tempo oggettivo si presenta anche fenomenicamente, come unità con la sua molteplicità non soltanto nel tempo delle datità ma anche nei tempi immanenti e secondo gli ordini temporali di questi. Immanenza e trascendenza coincidono così come coincidono intuizione empirica e appercezione, poiché tale coincidenza è garantita dalla forma del tempo, il quale non soltanto è tempo dell’immanenza e della trascendenza, ma è tempo unico che in essi, in diverse modalità, si dirama unificandoli e differenziandoli.
Tutto ciò ha senso solo e soltanto se si accetta l’unita dello spaziotempo attraverso, prima di tutto, la comprensione dello spazio e del tempo che

scaturisce dall’essere e dall’agire corporeo, diretto verso tutto ciò che il corpo non è – la sua differenza – ma senza il quale il corpo non potrebbe essere – la sua identità. Zeitleib e Raumleibcorpotempo e corpospazio – sono due parole che tentano di coniugare ciò di cui il corpo è fatto: lo spaziotempo, e ciò di cui lo spaziotempo è intriso: la materia e dunque anche la corporeità3.

Ogni ente è immerso nello spaziotempo, che è l’altro da sé, ma allo stesso tempo di spaziotempo è fatto, poiché è parte di esso ed è capace di comprenderlo e di autocomprendersi come tempo e come spazio. L’unità dello spaziotempo permette al corpomente di dotare di senso il mondo e ciò che gli accade attraverso la percezione sincronica e diacronica delle cose: la sincronia presuppone l’identità temporale e permette allo spazio di essere ciò che offre la differenza fra due enti identici e contemporanei, la diacronia presuppone l’identità spaziale e permette al tempo di essere la differenza che distingue due eventi identici e localizzati nello stesso spazio.
Spazio e tempo sono un’unica realtà in senso metafisico e originario e non nel senso della teoria della relatività o dell’invarianza, la quale vede il tempo unito allo spazio solo come sua quarta dimensione, determinata dall’osservazione e misurazione della velocità della luce. Il tempo decade a illusione a causa di errori, dal punto di vista metafisico-ontologico, come la matematizzazione, la spazializzazione, la riduzione chimico-fisica della temporalità.

Biuso individua alla base di questi errori dei presupposti eleatici carichi di convinzioni eternaliste e atemporali; tuttavia, credo sia possibile affermare che tali presupposti di base sono estremizzazioni dell’eleatismo parmenideo, non sempre corrette e accettabili. Lo stesso Biuso, più avanti, infatti afferma

se l’eternalismo è la concezione secondo cui tutto ciò che esiste è sempre presente in ogni sua parte sulla linea del tempo, questo non implica l’analogia con lo spazio, per il quale luoghi diversi esistono simultaneamente, ma si può intendere anche come una radicale continuità nell’accadere, al cui interno passato, presente e futuro non costituiscono strutture ontologiche separate ma il darsi e lo svilupparsi di una struttura omogenea e insieme plurale, identica e insieme differente4.

Nonostante Biuso si esprima in questi termini – che condivido – sulla questione dell’eternità, allo stesso tempo persiste nel sostenere che l’eternità della dottrina di Parmenide sia carica di atemporalità, la stessa da cui scaturisce la fisica moderna e contemporanea. Come Biuso credo che l’eternalismo e, in generale, l’eternità non possono essere intesi solamente come un tentativo di eliminare e relegare a illusione il tempo, tuttavia diversamente da Biuso ritengo che non sia assolutamente possibile additare l’eleatismo come causa di tali esiti. L’eternità eleatica va infatti discussa nella sua originarietà e liberata dalle catene che la legano alle estremizzazioni della scienza moderna e contemporanea.
Il fr. 8, vv. 2-6, di Parmenide è ciò da cui derivano le estremizzazioni; esso dice: «ὡς ἀγένητον ἐὸν καὶ ἀνώλεθρόνἐστιν, ἐστι γὰρ οὐλομελές τε καὶ ἀτρεμὲς ἠδ’ ἀτέλεστον‧ οὐδέ ποτ’ ἦν οὐδ’ ἔσται, ἐπεὶ νῦν ἔστιν ὁμοῦ πᾶν, ἕν, συνεχές‧» «che l’essere è ingenerato e imperituro, è infatti tutto intero in ogni parte, immobile e privo di fine. Non è stato un tempo né sarà, giacché è ora tutto insieme ad un tempo e nel medesimo luogo, uno, continuo»5. Le parole di Parmenide annunciano l’Essere come mai generato e incorruttibile, perfetto e non manchevole di nulla, sussistente in sé e per sé, immobile e senza fine (ἀτέλεστον) in un duplice senso: non perisce e quindi manca di una fine ma al contempo manca anche di un fine verso cui tendere, in quanto è un intero compiuto. Quest’Essere è necessariamente mai stato e mai sarà; esso è ora, adesso nella sua compiutezza e pertanto tiene tutto in sé ed è in sé, configurandosi come ὁμοῦ πᾶν: tutto insieme a un tempo ma anche tutto insieme nel medesimo luogo. L’Essere è uno ed è tutto, è ora, perfetto e continuo (συνεχές) ed eterno.
L’eternalismo e il concetto di eternità non emergono dal poema di Parmenide in forma esplicita, in quanto si ricavano dalle informazioni offerte dal fr. 8, le quali non sembra facciano riferimento a una assoluta atemporalità, quanto piuttosto a una compiutezza di tempo nell’Essere stesso che lo ingloba e con cui viene a coincidere. In Parmenide non esiste una struttura temporale separata dall’Essere ma ciò non significa che non esista il tempo, dacché l’Essere stesso è il tempo nella totalità unita, continua e incessante delle sue dimensioni temporali. L’Essere non era e mai sarà ma è ora, adesso, non in un presente vuoto di senso ma in un presente eterno che tutto ingloba, anche le modalità del passato e del futuro. L’eternità che emerge dalle parole di Parmenide è ben diversa dall’eternità della fisica relativista, poiché è da intendere come insieme compiuto e incessante di tutto il tempo che l’Essere stesso è.
Più avanti Parmenide afferma infatti che l’Essere non potrà mai trovarsi nel futuro così come non può mai essere stato in un passato, parole che sottolineano la non esistenza di una struttura temporale da esso separata e che ne determini il divenire. Se l’Essere è eterno, l’eternità esiste necessariamente nell’identità all’Essere, infatti se questa fosse atemporalità, l’Essere ammetterebbe in sé una negazione, configurandosi così come non-Essere e questo non è possibile. La coincidenza di Essere e tempo salva la dimensione eterna del tempo a discapito della linearità irreversibile, ma non nega il tempo. Riconoscere l’unità di Essere e tempo non significa negare il tempo ma ontologizzarlo radicalmente, perché se si negasse il tempo nella sua totalità si negherebbe anche il suo identico, cioè l’Essere stesso. Il tempo è relegato all’Essere, all’eterno e alla sola dimensione dell’identico, cionondimeno esiste. Se si postula che la fisica moderna e contemporanea derivi molti esiti dall’eleatismo parmenideo, allora il suo errore consiste nel non aver compreso la radicalità ontologica di Parmenide, finendo per ridurla in una concezione comoda e atta a prestarsi da terreno fertile per teorie volte alla matematizzazione del tempo e alla eliminazione della realtà ontologica del tempo – ben esistente in Parmenide – a favore della sua natura semplicemente illusoria, rintracciabile sì nel poema parmenideo ma solo a livello della δόξα e non nel poema nella sua totalità.
In altre parole, non intendo assolutamente negare la ferma posizione parmenidea che vede nel tempo lineare, appartenente al cosiddetto mondo della δόξα, una mera illusione del pensiero comune e dunque un non-Essere, ma questa considerazione non si estende appunto all’eternità che l’Essere stesso è; essa non è un’illusione ma una realtà ontologica determinata. Pertanto, ciò che fa la fisica moderna e contemporanea è estendere il concetto di illusione del tempo in quanto espressione della δόξα a tutto il tempo nella sua totalità, il quale smette di avere una propria realtà ontologica.
La spazializzazione, come anche ritiene Biuso, è un altro errore che estremizza il poema parmenideo. Come già affermato, Parmenide definisce l’Essere ὁμοῦ πᾶν, ovvero tutto insieme ad un tempo ma anche tutto insieme nel medesimo luogo; ciò significa che l’Essere non soltanto è tutto il tempo ed un uno-tutto secondo la modalità dell’unico tempo eterno, ma è anche la totalità spaziale e pertanto, essendo lo spazio, resta sempre nel medesimo luogo configurandosi immobile e racchiudendo tutto in unità anche spaziale. Ὁμοῦ significa sia nel medesimo luogo sia ad un tempo e il fatto che Parmenide l’abbia utilizzato senza uno specifico riferimento ha condotto molti esperti a tradurlo con il suo significato generico di “insieme”, ma ciò non impedisce di poter riconsiderarlo come unità del suo significato spaziale e temporale. L’Essere è inoltre συνεχές (continuo), intendendo συνεχές sia nel suo significato di essere ciò che tiene insieme sia in quello di essere un continuo di spazio e di tempo.
Spazio e tempo sono in Parmenide un’unica realtà ontologica in seno all’Essere e nella loro identità all’Essere e ciò ha condotto la fisica moderna e contemporanea a estremizzare la questione fisicizzando e naturalizzando l’Essere, riducendo ogni cosa alla sola dimensione spaziale facilmente calcolabile e il tempo a una quarta dimensione dello spazio, anch’esso dunque calcolabile e misurabile in termini di velocità.
Il limite di Parmenide consiste nell’aver relegato tutto alla sfera dell’Essere e alla sola dimensione dell’identità, cionondimeno così facendo l’eleata non pare dichiarare la non esistenza delle fondamentali realtà ontologiche, in quanto queste coincidendo con l’Essere che è ed esiste necessariamente esistono anch’esse. L’ontologia parmenidea basa la sua struttura su presupposti esistenziali oltreché predicazionali, pertanto il verbo essere è sempre da intendere a livello esistenziale: l’Essere è e quindi esiste e tutto ciò che è identico ad esso non soltanto è Essere ma è e quindi esiste.
L’ontologia parmenidea perde il suo senso nella teoria della relatività divenendo il punto forte per la fondazione di un eternalismo atemporale che annulla l’esistenza ontologica del tempo riducendolo a mera illusione e a costante matematica reversibile. Il limite di Parmenide, si è già detto, consiste nella negazione del tempo fluente, del mutamento e del movimento e questo si estende alla negazione di ogni forma di divenire e molteplicità, in quanto queste in termini predicazionali contraddicono la vera e unica struttura ontologica dell’Essere e in termini esistenziali, non essendo identici all’Essere, rischiano di essere un non-Essere che non ha esistenza ontologica accanto all’Essere; cionondimeno credo che gli elementi del divenire fenomenico siano più vicini ad essere delle illusioni appartenenti alla δόξα che mero non-Essere, ma di questo si discuterà a breve.
A questo punto occorre sottolineare che pur affermando l’esistenza in Parmenide di una forma del tempo è necessario però rendersi conto delle difficoltà di tale dottrina a partire dai suoi limiti ben analizzati e dispiegati da Platone, il quale, lungi dal commettere un totale parricidio, compie un parricidio “mancato” atto a incrementare le realtà negate da Parmenide e ad argomentare una diversità tra l’Essere e il tempo, il quale continua così ad avere il proprio statuto ontologico autonomo ma partecipa dell’Essere per dirsi esistente sia linearmente nel mondo fenomenico sia come struttura dell’essenza (οὐσία) dell’Essere stesso.
Ritornando ad Αἰών, Biuso argomenta giustamente che le tre leggi della termodinamica sono lo sguardo intelligente e comprensivo sulla e della realtà intima del cosmo, in quanto colgono la permanenza e il dinamismo della materia che sempre è e sempre diviene. La prima legge postula la permanenza di ciò che è attraverso la formulazione del principio di conservazione dell’energia; la terza legge si pronuncia contro l’affermazione della possibilità di assenza di mutamento affermando l’impossibilità di giungere allo zero assoluto; la seconda legge è la più importante e fondante, dacché postula l’essenzialità della differenza accanto all’identità e dell’irreversibilità del tempo: è la legge dell’entropia, la quale oltrepassa la dinamica classica accettando la realtà delle trasformazioni in quanto è la misura del grado di disordine di uno o più enti all’interno di un sistema chiuso.

Se la fisica classica e quella relativistica negano la realtà del tempo, esso rappresenta tuttavia il tessuto più intimo della materia, quello di cui gli enti sono composti, compreso l’ente umano. Il divenire è lo sfondo, la sostanza, la dinamica sia della mente umana sia della natura. L’esistenza è comprensibile soltanto perché diviene e in quanto divenire. Che qualcosa ci sia significa che una parte della materia sta mutando rimanendo ciò che è. Comprendere tale dinamica vuol dire utilizzare con lucidità il dispositivo concettuale dell’identità che permane e della differenza che trasforma. L’essere è assoluta identità ed è assoluta differenza6.

In queste affermazioni, che condivido, è nuovamente presente un rifermento alla negazione del tempo da parte della fisica moderna e contemporanea, riferimento che intendo ricondurre alle affermazioni di Biuso, da me non condivise e già precedentemente discusse, su una presumibile derivazione dall’eleatismo della fisica moderna e contemporanea.
All’interno della tetralogia dedicata al tempo, spesso Biuso tende a inserire la dottrina eleatica all’interno dei cosiddetti “nichilismi atemporali”, dove per l’appunto troviamo le correnti fisiche moderne e le filosofie neo-eleatiche, definite da Biuso direttamente “fisiche parmenidee” e quindi, necessariamente, nichiliste tanto quanto la dottrina parmenidea da cui sembrano prendere spunto. Pertanto se precedentemente ho già tentato di allontanare, nei limiti del possibile, l’ontologia eleatica dalle fisiche moderne e contemporanee, adesso intendo invece difendere Parmenide dal nichilismo che gli viene imputato.
Il nichilismo nasce laddove un pensiero tende alla negazione categorica dell’esistenza e da questo alla negazione di ogni conoscenza e discorso conoscitivo. La filosofia di Parmenide non pare sotto nessun aspetto tendente al nichilismo né direttamente nichilista, in quanto il pensiero eleatico non si fonda sulla negazione ma solo e assolutamente sull’affermazione; è infatti possibile riassumere la dottrina parmenidea in una sola e significativa lettera: è.
La dottrina ontologica di Parmenide è una dottrina dell’«è», è una dottrina dell’affermazione che tende ad affermare l’assoluta esistenza della realtà attraverso una ferrea “logica” dell’identità, la quale conferisce esistenza a tutto ciò che si identifica con l’Essere che è. Si potrebbe allora obiettare giustamente il fatto che Biuso individui il nichilismo nel trattamento riservato da Parmenide al mondo fenomenico, dunque nella negazione del divenire, del tempo fenomenico e nella convinzione che tutto ciò che effettivamente esiste è illusorio; anche in questo tuttavia non c’è traccia di nichilismo.
Parmenide considera il divenire, il tempo e le cose appannaggio della cosiddetta “via della δόξα” e quindi del mondo vissuto dagli uomini; cionondimeno questo mondo opinabile non è dichiarato come non esistente. Il fatto che il mondo fenomenico sia illusorio non può indurre a pensare che per Parmenide sia inesistente, poiché l’unica cosa che non esiste è il non-Essere. Il mondo della δόξα è semplicemente il luogo dell’errore, dove genericamente si discute delle cose senza la consapevolezza che queste siano in realtà un’unica cosa, cioè l’Essere. Il mondo della δόξα discute delle cose, etichettandole ora essere ora non-essere, ma non sta realmente discutendo né dell’Essere né del non-Essere; la via della δόξα sta infatti tra l’Essere e il non-Essere e pertanto è percorribile. Parmenide stesso afferma che bisogna conoscere le opinioni degli uomini per riconoscerne l’illusorietà, in modo da superarle e guardare alle cose come Uno e di queste dire solamente «è». Il giorno e la notte, ad esempio, non sono infatti l’uno Essere e l’altro non-Essere, entrambi sono l’Essere e sono identici nell’Essere, ma la mente umana li distingue erroneamente, relegando la conoscenza a una mera opinione.
La δόξα è percorribile e i fenomeni che la costituiscono, pur essendo illusori, esistono: sono Essere ma bisogna saperlo comprendere. Gli uomini affermando che alcune cose sono e altre non sono stanno comunque discutendo dell’Essere, seppur nel modo sbagliato, e non stanno discutendo del non-Essere, in quanto farlo è impossibile. Se il mondo fenomenico è illusorio ma esiste, se occorre percorrere la via dell’opinione, se il discorso umano, anche se erroneamente, discute necessariamente l’Essere perché il non-Essere è indicibile ed è un nulla impensabile, allora il nichilismo decade.
L’illusione e la non-esistenza non coincidono, la δόξα e il non-Essere non sono la stessa cosa, quindi il nichilismo non è postulabile. È anche vero che la δόξα non coincide neanche con l’Essere, ma non essendo neanche un non-Essere non è possibile rintracciare segnali di nichilismo.
Non si può a mio avviso neanche parlare di “nichilismo atemporale”, che è ciò che nello specifico sostiene Biuso, in quanto il tempo fenomenico è qualcosa che appartiene alla δόξα, al mondo in cui gli uomini si trovano a nascere e morire, pertanto è anch’esso illusione ma non un non-Essere. Del tempo infatti si deve affermare «è», in quanto è anch’esso Essere ma non nel modo in cui lo esprimono gli uomini. Se del tempo si deve dire «è», allora il vero tempo è l’eternità che l’«è» esprime; se il tempo è l’eterno e se l’Essere è eterno, allora il tempo è l’Essere che appunto è eterno. Ancora, se illusione e non-Essere non sono identici, se il tempo è illusione, allora il tempo non è non-Essere ma soltanto illusione e quindi opinione; se del tempo non può dirsi che non è, poiché il non-Essere non esiste e non si può dire né pensare, allora il tempo «è» semplicemente e se «è» coincide con l’Essere nell’unica forma ammissibile: l’eternità immutabile e perfetta.
Se come affermavo in precedenza l’Essere è e quindi esiste e tutto ciò che è identico ad esso non soltanto è Essere ma è e quindi esiste, allora il tempo necessariamente esiste. Il tempo esiste nella modalità dell’Essere eterno e pertanto non è possibile sostenere nessuna ipotesi che vede in Parmenide un nichilista atemporale, poiché se così fosse il tempo dovrebbe non esistere in assoluto e così facendo distruggerebbe l’Essere stesso. Se l’Essere è eterno, l’eternità esiste necessariamente nell’identità all’Essere, infatti se questa non esistesse, o meglio, se l’eternità fosse atemporalità, ossia una mera negazione del tempo, l’Essere non sarebbe né ora, né prima, né mai configurandosi così come un mero non-Essere e questo non è possibile.
In conclusione, il nichilismo sostiene il non-Essere mentre la filosofia di Parmenide è puramente e rigidamente affermativa, pertanto è scevra da nichilismi generali e anche da nichilismi particolari, come il nichilismo atemporale.

 

Note

1 A.G. Biuso, Aión. Teoria generale del tempo, Villaggio Maori Edizioni, Catania 2016, p. 117.
2 Eraclito: la luce dell’oscuro, a cura di G. Fornari, Olschki, Firenze 2017, p. 35.
3 A.G. Biuso, Aión. Teoria generale del tempo, cit., p. 13.
4 Ivi, p. 28.
5 Trad. mia.
6 A.G. Biuso, Aión. Teoria generale del tempo, cit., p. 45.

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