Percorsi per le Competenze trasversali e per l’Orientamento.  “Opera salvataggio” di Pasquale Rotondi. Incontro con la figlia Giovanna

Di: Angela Caldarulo e Giusy Randazzo
3 Aprile 2021

 

Introduzione*

Dopo l’8 settembre c’è stato un momento di grande smarrimento, avere la responsabilità della custodia di una quantità così notevole di grandi capolavori, ma non avere più nessuna possibilità di una guida, di qualcuno al quale potersi rivolgere nel caso di necessità1.
Mai come in questo momento possiamo comprendere lo smarrimento e la desolazione di un uomo destinato a diventare un “grande uomo”, che ha potuto contare solo su se stesso e sulla propria forza di volontà, perseverando nel tentativo di proteggere e difendere un patrimonio di inestimabile valore artistico e culturale.
Le cose grandi si conquistano a piccoli passi come ci insegna la storia di Pasquale Rotondi (1909–1991) che con grande dedizione e passione ha reso possibile l’impossibile, accompagnato da un pizzico di follia, come da lui stesso dichiarato, è riuscito a realizzare un’impresa immane, senza aiuti, senza mezzi, senza una guida a cui poter fare riferimento. La sua “follia” ha permesso a noi oggi di poter godere ancora di favolose opere d’arte: la Tempesta del Giorgione, la Sacra Conversazione di Brera di Piero della Francesca, la Pala d’Oro conservata nella basilica di San Marco a Venezia e tantissime altre.
È questa la motivazione per la quale Pasquale Rotondi nelle parole della figlia Giovanna Rotondi è entrato a far parte, in questo difficilissimo anno scolastico, dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento del nostro Istituto, i cosiddetti PCTO. A scuola l’attività per i PCTO – la vecchia Alternanza Scuola Lavoro, per intenderci – sono spesso scambiati per un un’attività di natura esclusivamente pratica che ha l’intento di orientare gli studenti al mondo del lavoro. Ed è vero. Si dimentica spesso, però, non soltanto il grande impegno dei docenti che organizzano le attività e individuano gli Enti pubblici o privati con cui stipulare le convenzioni ma soprattutto l’importanza civica dell’attività stessa. Essa infatti è strettamente connessa allo spirito del dettato costituzionale che all’articolo 4 ribadisce il diritto di ogni cittadino al lavoro ma rimarca all’articolo 41 non soltanto l’utilità sociale dell’iniziativa economica privata ma anche di quella pubblica che deve sempre «essere indirizzata e coordinata a fini sociali».
Le attività di PCTO, dunque, devono anche offrire modelli di civismo che mostrino agli studenti in che cosa in realtà consista l’utilità sociale del lavoro e perché esso debba essere vissuto e condotto nello spirito civico che i padri costituenti hanno previsto. Per tal motivo, spesso, all’interno dei PCTO, i docenti che se ne occupano organizzano incontri che oggi intercettano le tematiche dell’educazione civica, ormai parte integrante del curricolo di ogni scuola.

 

L’incontro con Giovanna Rotondi e la storia di suo padre Pasquale Rotondi

L’IISS Firpo-Buonarroti di Genova ha ospitato il 21 gennaio 2021 Giovanna Rotondi Terminiello, figlia di Pasquale Rotondi. Ma chi era Pasquale Rotondi? Uno storico dell’arte e critico che all’epoca della Seconda Guerra Mondiale riuscì a salvare ben 7821 opere d’arte dalla distruzione, in qualità di Soprintendente di Urbino, ma in realtà spinto da uno spirito di civismo che lo fa entrare di diritto nella storia italiana come il salvatore dell’arte.
La Professoressa Rotondi, critica d’arte ella stessa e docente, ha raccontato l’“opera salvataggio”, così come ormai è storicamente definita: un’eccezionale difesa delle nostre opere d’arte, per sottrarle non soltanto alla brama tedesca ma anche alla guerra e alle sue inevitabili distruzioni. È noto quanto sia Giovanna Rotondi sia la sorella Paola abbiano contribuito alla ricostruzione dell’attività del padre, che egli stesso aveva puntualmente trascritto per tenere traccia del posizionamento e della ventura di ogni opera custodita e salvata.
Nel 1995 l’Archivio Centrale dello Stato di Roma ha ricevuto dalle figlie di Pasquale Rotondi (1909–1991), Paola e Giovanna, le carte raccolte dal padre durante la lunga attività nel Ministero dei Beni Culturali (e nel precedente Ministero della Pubblica Istruzione), prima come Soprintendente a Urbino e Genova, poi quale direttore dell’Istituto Centrale del Restauro. Tra le diciannove scatole che compongono il fondo archivistico, si conserva la copia originale del dattiloscritto Il mio Diario […], nel quale Rotondi narra con tono asciutto e ritmo incalzante la straordinaria storia di come riuscì a salvare negli anni della guerra — coadiuvato da un piccolo gruppo di custodi e dal fedele autista — le opere d’arte delle Marche e molti capolavori provenienti da altre regioni italiane, nascondendole nei sotterranei del Palazzo Ducale di Urbino, nella Rocca di Sassocorvaro e nel Palazzo dei Principi a Carpegna2.
Quel che fece Rotondi sembrava rientrare in un’ordinaria attività quotidiana che in tal modo avrebbe celato lo straordinario intento che in realtà si prefiggeva il sopraintendente. Persino dalla prospettiva della bambina Giovanna, il lavoro del padre era “normale” – ordinario, per l’appunto – a tal punto che quelle opere erano divenute per lei estremamente familiari e a tal punto che in seguito la sorprese rivederle esposte nella magnifica cornice dei musei che degnamente in seguito le avrebbero riaccolte.

L’operazione è iniziata quando avevo un anno di vita. Mia sorella Paola ne aveva tre più di me. Credevamo del tutto normale quello che stava accadendo, perché vivevamo in un ambiente sereno e con un padre sempre accogliente e sorridente. Ci chiamavano Gioconda e Letizia, questo per dirvi il clima che si viveva a casa. In seguito, quando fui più grande, girando i musei vedevo delle opere la cui conoscenza era per me “familiare”.

Che Rotondi volesse far passare il suo impegno civile come un lavoro di routine è ormai noto, con uno scopo preciso che era quello di tutelare le opere dal depredamento sia per puro possesso sia per distruggere l’identità di un paese che, dopo l’armistizio del 1943, era divenuto un “traditore” poiché cobelligerante degli Alleati: «Peggio di Hitler era senza dubbio Göring, il quale voleva ricalcare l’opera di depredazione compiuta da Napoleone con il Louvre che per una parte comprò per l’altra razziò», afferma Giovanna Rotondi.
Trovare la Rocca di Sassocorvaro non fu facile per Rotondi poiché il rifugio doveva possedere delle caratteristiche sia architettoniche sia ambientali tali da proteggere le opere che avrebbe accolto e protetto dai bombardamenti e da eventuali assalti nonché da eventuali avverse condizioni meteorologiche.
Spiega la Rotondi che la Rocca era a suo modo defilata rispetto al panorama di guerra e che il padre iniziò la grande operazione di salvataggio con minime risorse ma grande volontà, aiutato da un autista che possedeva una Balilla, dagli abitanti del comune che nulla avevano compreso del motivo di quell’andirivieni di camion che trasportavano enormi contenitori di legno.
Il Soprintendente di Urbino era giovanissimo quando assunse il ruolo: soltanto 30 anni eppure salvò l’arte dalla guerra. Spiega la figlia che forse fu proprio la giovane età del padre a contribuire alla riuscita di un’attività tanto rischiosa poiché «animato dall’incoscienza giovanile» riuscì ad avere il coraggio senza forse essere consapevole dei pericoli reali. Rotondi individuò due località fuori dalle linee di fuoco, ma le caratteristiche dovevano essere particolare: il luogo più adeguato doveva essere vicino a fonti d’acqua per lo spegnimento di eventuali incendi ma essere anche protetto dall’umidità e pur essendo raggiungibile doveva essere tuttavia defilato dai luoghi di guerra.
La scelta della Rocca di Sassocorvaro e dei sotterranei del Palazzo Ducale di Urbino si rivelò la migliore, tanto che il 15 dicembre 1942 così scrisse il sopraintendente Edoardo Galli: «Anche la recente seconda verifica ha comprovato la felice scelta del ricovero, che risponde da ogni punto di vista alle condizioni essenziali per una lunga permanenza dei dipinti chiusi in casse. Ciò lascia quindi tranquilli anche per i mesi che seguiranno. Il merito di tale scelta, e della complementare organica attrezzatura di salvaguardia, risale al giovane e valoroso Soprintendente di Urbino, prof. Pasquale Rotondi»3. E che tale scelta fu effettivamente la migliore fu rimarcato il 14 gennaio 1943 quando il ministero a riguardo della salvaguardia del nostro patrimonio artistico scrisse del suo compiacimento per «l’ottimo stato di conservazione riscontrato nelle opere d’arte ricoverate nella Rocca di Sassocorvaro e dell’intelligente attività svolta, per la salvaguardia delle opere stesse, dal R. Soprintendente alle Gallerie di Urbino»4.
C’era però anche un altro problema che riguardava la scelta delle opere. Non tutte potevano essere salvate. Occorreva scegliere con un criterio tra un’infinità di beni culturali. La scelta venne fatta suddividendo le opere d’arte in capolavorissimi, la cui perdita sarebbe stata irrimediabile per l’umanità intera e non soltanto per l’identità della nazione, in capolavori e in opere d’arte d’innovazione senza le quali nessun capolavorissimo avrebbe potuto vedere la luce.

Riepilogando:
Durante la guerra fu affidato alle nostre cure (oltre alle opere della Galleria Nazionale delle Marche in Urbino) il seguente materiale:
a) Opere di pittura, scultura, oreficeria, arazzi, disegni, ceramiche, oggetti archeologici, ecc. ……………. N. 3800
b) Materiale bibliografico: complessivamente pezzi … N. 4021
Totale degli oggetti …………………………………………. N. 78215.

Questo resoconto di Rotondi dimostra, come spiega la figlia, il valore che il Sopraintendente dava a ogni opera d’arte: «La ciotola in cui mangiava il contadino del ‘400 e un’opera di Leonardo erano per mio padre entrambi beni culturali ed entrambi avevano dunque una valenza per la storia dell’umanità e per tal motivo dovevano essere preservati». La scelta compiuta tra le opere, per esempio, proprio grazie a questo nuovo principio di “bene culturale” – che sarà poi rimarcato dalla Convenzione dell’Aia del 1954 – permise di salvare anche spartiti autografi di Gioachino Rossini che vennero trovati dai tedeschi ma ritenuti soltanto delle cartacce riposte in una cassa nascosta a Carpegna.

Un reparto di SS germaniche si presentava improvvisamente nel Palazzo dei Principi di Carpegna verso le ore 22 del giorno 19 ottobre, allo scopo di effettuarvi una perquisizione. L’azione si svolse fulminea. I carabinieri di guardia al ricovero, che avevano cercato di opporsi a che fossero perquisiti anche i locali dove erano le opere d’arte, furono disarmati, malmenati e portati via dai tedeschi, Sembra che questi opinassero che nel ricovero fossero nascoste armi. “Munitionen, munitionen” ripetevano smuovendo le casse e rivolgendosi ai custodi Barucchieri Vincenzo e Sguazzini Ignazio che, con coraggiosa resistenza, tentavano invece di persuaderli che il contenuto di quegli imballaggi era di tutt’altra natura. Uno dei più accaniti perquisitori, fatto saltare un suggello dal baule coi manoscritti del Rossini (depositato nella sala stessa ov’era custodito anche il Tesoro di S. Marco), si convinceva poi finalmente che armi in quelle casse non ve n’erano, e desisteva dall’impresa6.

Racconta Giovanna Rotondi che «alla fine dell’operazione con orgoglio tutte le opere custodite furono restituite intatte senza danno di nessun genere». La Rotondi spiega inoltre che con la Prima Guerra Mondiale ci si era resi conto che non erano solo i soldati ad andare in guerra, che non c’erano campi di battaglia deputati allo scontro: la guerra si combatteva ovunque e arrivava dal cielo, dal mare, dalla terra. La Seconda Guerra Mondiale fu solo più disastrosa della prima ma la tattica rimase la stessa: «Le prime invasioni venivano dal cielo, quando poi si fiaccava la nazione iniziavano le truppe di terra. Per annullare e distruggere le radici storiche dei paesi che si volevano annullare, il bene culturale veniva aggredito appositamente». Per tal motivo, spiega la critica d’arte, nel 1954 venne stipulato all’Aia un trattato internazionale – Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato – allo scopo di tutelare i beni culturali per preservarli durante qualsiasi conflitto armato come beni culturali non soltanto del paese di appartenenza ma dell’intera umanità. Insomma, «tutte le nazioni dovevano darsi delle regole perché le opere d’arte erano le prime vittime di una guerra. Si pensi al 1914 quando i tedeschi bombardarono e distrussero la Cattedrale di Reims, di cui rimase solo la facciata anteriore o a Milano dopo i bombardamenti dell’estate del 1943».
In realtà, precisa la Rotondi, già con la Società delle Nazioni nel 1919 si era aperto un dibattito tra gli intellettuali su come proteggere le opere d’arte ed erano persino state elaborate delle regole che i Paesi avrebbero dovuto seguire per preservare il patrimonio artistico di ciascuna nazione proprio perché «i beni culturali appartengono a tutta l’umanità e la loro salvaguardia interessa sia chi è aggredito sia chi aggredisce». Sarebbe stato necessario salvare sia i beni mobili ovvero le opere d’arte ma anche i beni immobili ovvero gli edifici e i manufatti inamovibili di rilevanza storico-artistica. Insomma «mettere l’arte in assetto di guerra per proteggerla non soltanto dai bombardamenti ma anche dagli spostamenti d’aria dei bombardamenti».
Le opere che arrivarono alla Rocca «erano trasportate con imballaggi di fortuna – di solito si trattava di grandi strutture in legno – su camion che viaggiavano su strade non asfaltate. A volte i camion dovevano passare sotto ai ponti ma le casse che contenevano le opere erano troppo alte, così spesso gli aiutanti dovevano scendere dai camion, far passare le opere, poi il camion e poi rimontarle sui camion e ripartire». Poi ci fu l’armistizio e la vendetta tedesca ebbe inizio, ma Pasquale Rotondi riuscì coraggiosamente e persino rocambolescamente a salvare le preziose opere7.
Alla fine della guerra le opere vennero tutte restituite integre. Pasquale Rotondi narra, a conclusione del suo racconto, il momento in cui i muri di protezione furono rimossi e le sale, i musei, le chiese di molte città ripopolati «dei loro capolavori, ad essi già da me restituiti» e il momento in cui le mostre furono aperte nelle quali figuravano «i grandi tesori che nelle Marche erano stati, in epoca burrascosa, custoditi. Primi fra questi vi figurano, fin dalla liberazione della Città Eterna, la “Tempesta” di Giorgione e lo “Sposalizio della Vergine” di Raffaello, che tuttora vi si ammirano incomparabili gemme. Nel ricordo del loro fulgore ci pare bello di terminare oramai il racconto delle loro tortuose vicende. È soprattutto dal loro fulgore che trae difatti luce e sereno conforto l’intima soddisfazione di chi dette con sincero entusiasmo un suo contributo alla loro salvezza»8.

 

I PCTO, l’attività del Docente Referente dei PCTO e la valenza del tirocinio formativo

Grazie all’incontro con Giovanna Rotondi, è passato agli studenti un messaggio semplice di valenza straordinaria e non soltanto la storia di un eroe nazionale che è stata di per sé estremamente apprezzata: con la dedizione e con l’impegno si raggiungono obiettivi anche all’apparenza impossibili; a partire dalle cose semplici, dai piccoli incarichi, dalle mansioni all’apparenza più banali, come quella dell’autista di Rotondi. Insomma, acquisendo competenze trasversali si diventa grandi.
Il momento del tirocinio formativo – dei PCTO – è una parte importantissima della programmazione didattica, dunque, perché intercetta le finalità più alte dell’educazione civica ma anche perché è il momento in cui gli alunni possono abbandonare i banchi e uscire dal guscio delle pareti scolastiche per cimentarsi con il mondo del lavoro in prima persona. Provare sul campo ciò che si è appreso in aula è una grande sfida e poterla vivere in ambito di stage, quando si è ancora tutelati e supportati dalla presenza della scuola e dei docenti che hanno il compito di sorvegliare e guidare gli alunni durante il percorso, è una grandissima opportunità.
Le cose grandi richiedono però anche impegno, responsabilità e dedizione e qui che entra in gioco la figura e il lavoro del docente referente dei PCTO nella ricerca e nella selezione dei partner più validi e adatti a ospitare gli alunni durante il periodo dell’attività.
L’obiettivo è quello di realizzare un sogno senza deludere le aspettative dei ragazzi, poiché il momento dello stage, lungamente atteso nei primi anni di studio, è vissuto dall’alunno come verifica delle conoscenze e delle competenze acquisite, ma anche e soprattutto come conferma delle scelte fatte e come cartina di tornasole delle proprie capacità. È per questa ragione che spesso alunni che non emergono particolarmente durante la quotidiana attività didattica, rivelano sul campo capacità e virtù nascoste anche a loro stessi.
Questo il grande impegno e l’enorme responsabilità del docente referente dei PCTO: selezionare ed offrire al proprio Istituto una valida rosa di scelte, sapendo abbinare a ogni alunno la struttura più adatta, che consenta di far emergere le qualità della ragazza e del ragazzo, e che giornalmente, tramite la compilazione di un diario di bordo delle attività, sarà tenuta a indicare i punti di forza e le debolezze del lavoro svolto.
I PCTO sono un’esperienza di vita e questo non si può negare. Spesso i referenti di PCTO, a fine anno scolastico espongono le attività svolte, usando le foto dei volti sorridenti dei ragazzi, perché la loro gioia è la vera ricompensa. Sapere d’aver fatto bene il proprio lavoro, guardando le loro espressioni, guardando i loro occhi, permette di superare ogni critica e ogni dispiacere. Essere in grado di saper accogliere le critiche e le lamentele – che non mancano mai – è un’altra caratteristica caratteriale che deve essere propria di ogni Referente dei PCTO.
Capita di frequente che alcune tra le strutture ospitanti dopo la maturità richiedano il nominativo degli alunni per proporre loro una nuova collaborazione o un tirocinio retribuito e quando questo accade il lavoro compiuto dal referente non soltanto è di per sé soddisfacente ma è anche andato a buon fine.

 

Conclusioni

Dare un senso ai Percorsi per le Competenze trasversali e per l’Orientamento è necessario non soltanto per orientare gli studenti verso quel civismo che ispira l’interezza del nostro dettato costituzionale, di cui prima si diceva, ma anche per un dovere di fondo: quello di trasformare il diritto al lavoro dell’articolo 4 in un’opportunità vera che miri alla concretizzazione di un sogno. Nel momento in cui si sceglie la scuola da frequentare non si decide soltanto per il proprio futuro ma anche e soprattutto per quel sogno che si vuole realizzare e per la persona che si vuole diventare. Questo vuol dire camminare assieme lungo questi “percorsi trasversali” che, per l’appunto, trasversalmente toccano tutte le discipline studiate nel corso dei cinque anni, aiutando gli studenti a orientarsi nel difficile e sconosciuto mondo del lavoro, sapendo scovare i loro talenti nascosti che soltanto messi alla prova possono emerge.
Capita anche che alcune esperienze risultino deludenti e quindi fallimentari per l’aspettativa riposta, ma anche dalle esperienze peggiori si impara; sapendo cogliere le proprie mancanze, i propri errori, gli studenti scoprono che magari per quell’ambito o per quel contesto lavorativo non sono tagliati rispetto alle proprie capacità. Una scoperta questa che, proprio perché avviene mentre si è ancora accompagnati dalla tutela e dalla supervisione degli insegnanti, si rivela una grande ricchezza poiché consentirà al termine degli studi di affrontare il mondo del lavoro non come un salto nel buio, ma come la prosecuzione di un percorso svolto negli ultimi tre anni di scuola, quando ancora si era tra i banchi di scuola. Sperando che tra i banchi di scuola – quelli reali e concreti e non virtuali – si possa tornare sul serio e definitivamente.

 

Note

*Le citazioni di Giovanna Rotondi non presentano il riferimento in nota poiché sono trascritte dall’incontro a distanza avvenuto all’IISS Firpo-Buonarroti di Genova il 21 gennaio 2021.

1 Dal documentario «La lista di Pasquale Rotondi: colui che ha salvato il “bello”», su La Storia siamo noi, RAI, del 18 maggio 2006.

2A. Melograni, «“Per non ricordare invano”. Il ‘Diario’ di Pasquale Rotondi e la corrispondenza con i colleghi delle Soprintendenze e la Direzione Generale delle Arti (1940-1946)» in Bollettino d’Arte, Fascicolo N. 27 – luglio-settembre 2015 (Serie VII), p. 115.

3 Ivi, p. 152.

4 Ibidem.

5 Ivi, p. 194.

6 P. Rotondi, «Capolavori d’arte sottratti ai pericoli della guerra e alla rapina tedesca», in Studi montefeltrani, Volume 3, Urbino 1975, p. 19.

7 Cfr. Ivi, pp. 21-22.

8 Ivi, p. 34.

Per approfondire la storia di Pasquale Rotondi si consigliano oltre a quanto citato nelle note anche la consultazione dei seguenti link: https://premiorotondi.it/ e https://youtu.be/I5POv01SgBI

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