Sulla scuola al tempo del Covid

Di: agb & gr
3 Aprile 2021

 

La scuola al tempo del Covid-19 non è più la scuola che conoscevamo. Com’è cambiata? Che cosa è stato fatto? Quali prospettive abbiamo per il futuro? In questo Speciale scuola di Vita pensata abbiamo cercato di indagare alcuni dei temi più rilevanti della situazione attuale della scuola italiana: la didattica a distanza –che meglio si dovrebbe definire didattica d’emergenza– e la didattica in presenza (compromessa però dalle misure anti-Covid), il cyberbullismo, la dispersione scolastica. La scuola in cui crediamo è però, al di là della situazione epidemica attuale, quella che permette il superamento del mero insegnamento trasmissivo non soltanto attraverso una didattica in presenza che ci si augura possa tornare quella di un tempo – arricchita dall’opera di digitalizzazione che quasi tutte le scuole italiane sono riuscite a implementare nei loro istituti – ma anche attraverso una nuova alleanza tra studenti, famiglie e docenti, tale da consentire una responsabilizzazione di tutte le componenti della scuola. Il confronto con la storia e con taluni modelli di civismo della storia – Peppino Impastato, Pasquale Rotondi, Aldo Moro – sono un esempio di come sia possibile attraverso il confronto e il dibattito con studenti e genitori realizzare quella trasversalità tanto cara alla nuova legge sull’educazione civica e che qui intercetta anche le esigenze dei Percorsi per le Competenze Trasversali e per l’Orientamento. Questi incontri, seppure virtuali, insieme con le cosiddette buone pratiche, come il Debate, che qui presentiamo, o la MNR, hanno consentito di continuare a fare scuola nel miglior modo possibile, anche senza la migliore delle istruzioni possibili, di cui parla la studentessa nella sezione Nees. Rimane indubbio che la scuola continua a essere quella di sempre con alcune note carenze ma anche con i propri punti di forza: i docenti. Come abbiano vissuto gli studenti questo allontanamento che ad oggi continua in moltissimi istituti di istruzione secondaria di secondo grado, e quali effetti abbia avuto sia sulla loro istruzione sia a livello psicologico, non possiamo di certo comprenderlo oggi. Gli effetti si potranno valutare attraverso un’indagine futura che metterà in luce gli esiti del lavoro che con fatica è stato portato avanti da ciascuna scuola italiana che ha lavorato nell’incertezza continua. L’orario, ad esempio, che dovrebbe scandire il tempo scolastico, nelle scuole secondarie di secondo grado è stato cambiato decine di volte creando difficoltà ma anche spingendo docenti e studenti a un nuovo modo di far didattica e a riprogrammare continuamente. Il quadro orario infatti rappresenta la base fondante del modello organizzativo scolastico italiano. Esso scandisce l’alternarsi delle discipline nella loro singolare specificità, regola la vita della scuola e di tutta la comunità educativa: studenti, famiglie, docenti, dirigenti e personale ATA. Questa è la ragione, sostiene Castoldi, per cui questo modello è tanto pervasivo: «l’effetto rassicurante che veicola, di un’organizzazione in cui tutto è strutturato e ogni componente è nella cella giusta, come un orologino in cui tutti i meccanismi lavorano in perfetta consonanza»1 (p. 70), ma Castoldi aggiunge «cui prodest?»2. A nessuno. È vero, infatti, che l’impossibilità di un quadro orario stabile è stato uno dei motivi principali per cui la maggior parte delle scuole secondarie di secondo grado sono andate in tilt. Non sarebbe ora di riflettere seriamente anche su questo? «Nel modello in questione il “che cosa” si insegna tende a sostituire il “perché si insegna”, diviene la risposta autoreferenziale della scuola al suo compito formativo»3. Perché si insegna, dunque? Una risposta abbiamo cercato di proporla in questo Speciale scuola, nella consapevolezza ben espressa dalla collega Fernanda Mazzoli che «se qualcosa abbiamo appreso da questi mesi – e non solo l’obbedienza sull’onda della paura – è il valore insostituibile della presenza, quella pressione che imprimiamo al mondo con tutta la nostra pesantezza di umani e che il mondo ci restituisce con tutta la sua complessità che nessuna rete, per quanto ramificata, può catturare. Una pressione che attraversa e modella i corpi, le voci, gli sguardi, i gesti e crea lo spazio relazionale all’interno del quale trova la sua ragion d’essere e giunge a maturazione la conoscenza»4.

 

Note
1 M. Castoldi, «Il lavoro d’aula: ripensare il modello organizzativo» in RicercAzione, Vol. 12, N. 1, Giugno 2020, p. 70.
2 Ivi, p. 71.
3 Ibidem.
4 F. Mazzoli, «La scuola ai tempi del Covid: prove generali di colonizzazione digitale», in Koinè, anno XXVII, 2020, p. 41.

 

Editoriale di AGB & GR

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