Sulla contemporaneità

Di: agb & gr
31 Gennaio 2020

 

Quando è finito davvero il Medioevo? E l’età moderna? In quale epoca viviamo adesso? Anche la temperie postmoderna sembra ormai appartenere al passato. Le cronologie, è chiaro, sono delle semplici convenzioni, stabilite dagli storici per orientarsi negli studi e per soddisfare il bisogno di ordine che la mente umana sente in ogni ambito della vita individuale e collettiva.
Gli anni Venti del XXI secolo sono anch’essi una convenzione ma una convenzione comoda, immediatamente comprensibile, in continuità con le scansioni che ben conosciamo dai banchi della scuola.
Ecco, il nostro tentativo di analizzare, comprendere e restituire qualche frammento della contemporaneità può cominciare dai banchi della scuola, dai suoi spazi, dalle sue pareti. Ne parla Loredana Cavalieri a proposito della stretta relazione che intercorre tra corpotempo e apprendimenti. Alla scuola e all’università è stato dedicato l’intero numero 20 di Vita pensata ma la nostra riflessione su questi elementi vitali della civiltà contemporanea prosegue anche con l’ampia analisi che Elena Ferrara dedica alla legge 71/17 sui fenomeni di violenza psicofisica tra i giovani, il cosiddetto bullismo e cyberbullismo. È in linea con tale argomento la riflessione di Giusy Randazzo dedicata alla cultura del rispetto. Alberto G. Biuso ricorda i princìpi che la Costituzione della Repubblica consacra a scuola e università, troppo spesso traditi dalla legislazione e dalle pratiche didattiche contemporanee.
Altre schegge sociali, filosofiche, tecnologiche della contemporaneità emergono nei testi dedicati al diritto all’inutilità in un mondo funzionalista sino alla schiavizzazione (Massimo Vittorio); al senso e al luogo della parrēsia nel pensiero di Michel Foucault (Enrico Palma); all’attualità del moderno in Schelling e Heidegger (Daria Baglieri); alla complessità dell’esperienza estetica nel presente nella prospettiva dell’eschaton e del katéchon (Giuseppe Frazzetto); all’incrocio sempre più pervasivo di antropologia, tecnologie virtuali e cibernetica (Selenia Anastasi). Due saggi assai densi affrontano questioni che si pongono dentro il nucleo più profondo e radicale del pensiero contemporaneo: il rapporto tra storia, tecnica e metafisica (Enrico Moncado); la piena fecondità del pensiero heideggeriano per comprendere le tendenze gnostiche che percorrono sino al presente la storia e la cultura europee, in una vera e propria filosofia dell’antropotecnica (Lucrezia Fava).
Le sezioni dedicate agli autori, alle visioni e alle recensioni confermano l’unitarietà del sapere rivendicata dalla più importante e recente rivoluzione storiografica, quella delle Annales. In un tempo così complesso, plurale, stratificato come il nostro, abbiamo bisogno di una prospettiva che sia in grado di aggiungere ai nomi, alle date, agli eventi, la difficile completezza della vita quotidiana, dei movimenti che guidano le comunità e le tecnologie, il permanente cangiare delle mentalità, la centralità della vita materiale. In questo modo coltiveremo una storiografia che faccia da guida nel labirinto della storia e che sia dunque «una scienza degli uomini nel tempo» la quale «ha incessantemente bisogno di unire lo studio dei morti a quello dei viventi»1, ha bisogno di coniugare l’analisi del passato con quella del presente.
Detto in un modo teoretico, la filosofia consiste anche nell’equilibrio tra gli elementi statici e quelli dinamici dell’esistere, nell’armonia tra la durata pensata e la durata vissuta, in un presente che sia il dispiegarsi qui e ora della materia consapevole e intenzionale, incessantemente aperta al nuovo, al divenire, al futuro. Il tempo è infatti avvenire–essente stato presentante, «gewesend–gegenwärtigende Zukunft», il futuro è «il fenomeno primario della temporalità originaria e autentica»2.

 

Note
1 M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico [1941], a cura di G. Arnaldi, Einaudi, Torino 1969, p. 56.
2 M. Heidegger, Sein und Zeit [1927], herasugegeben von Friedrich-Wilhelm von Herrmann, in «Gesamtausgabe», Band 2, Vittorio Klostemann, Frankfurt am Main 1977, § 65, p. 432 e § 69, p. 463.

 

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