N. 13, luglio 2011 – Architettonicamente

Di: agb & gr
12 Luglio 2011

 

L’essere umano è anche l’animale che abita, che costruisce i luoghi del proprio stare, per il quale la casa non rappresenta uno dei tanti possessi ma è parte di sé, al modo in cui lo è il corpo. Interno ed esterno giocano dunque nell’architettura una funzione del tutto peculiare. Una dimora è l’esterno dei corpi che la abitano e l’interno della città che contribuisce a comporre. L’unità originaria e profonda di ogni ente con tutti gli altri riceve così una conferma e una testimonianza potenti perché fatte di un dinamismo senza fine, che affonda nella continuità dello spazio, dei luoghi, del rimanere e dell’andare.

Se per gli esseri umani è così naturale costruire, abitare, pensare è anche perché la mente è una struttura architettonica, è il luogo nel quale convergono la complessa organizzazione e stratificazione di memorie, relazioni, intenzioni, dinamiche che costituisce la vita cosciente, la quale si dispiega in ampie architetture neurologiche e semantiche.

Architettonicamente vuol dire dunque che i luoghi edificati dalla nostra specie sono una proiezione massiccia, funzionale e meravigliosa dell’intelligenza individuale e collettiva. E che dove l’abitare è degradato al solo obiettivo dello stare e non dell’essere, del sussistere e non anche dell’esistere, si generano i mostri dei ghetti urbani, dell’abusivismo edilizio, dei troppi quartieri dove ciascuno sembra un neurone solitario e quindi impazzito invece che comporre l’armonia faticosa ma necessaria delle sinapsi urbane, della soddisfazione che deriva dal percorrere anche gli spazi esterni alla propria dimora sentendosi ancora e sempre a casa propria. Soltanto da questa appartenenza ai luoghi può nascere il rispetto per i luoghi, può generarsi la città, può manifestarsi la bellezza architettonica e urbanistica che è una delle più grandi esperienze -quando c’è- della capacità poietica e poetica della specie umana, della sua natura edificatrice di forme, sperimentatrice incessante, curiosa perché infantile e saggia perché millenaria.

Lo spazio urbano è oggetto e soggetto, contenitore e contenuto, rappresentazione e sostanza. Le città sono organismi che una volta apparsi crescono come corpi vivi. E come un corpo, una città può essere ferita, invecchiare, rigenerarsi, morire.
 E, alla fine, non esistono luoghi ma soltanto interpretazioni. Perché la vera natura dell’abitare umano -il suo segreto- sta nel trasformare la pietra, il legno, il cemento e l’acciaio in una parte di sé, nella proiezione delle nostre attese, dei ricordi, dell’abbraccio vitruviano che dal corpo umano si apre all’intero essente.

Questo numero di Vita pensata parla di città, di attraversamenti, di cattedrali, di righe e goniometri, di musei, del cosmo. E dell’esserci umano che a tutto questo dà forma, senso, vita in una varietà di manifestazioni, desideri, passioni, comprensioni, costruzioni. Abbiamo voluto chiudere così -con una universalità da tutti visibile perché da tutti abitata- il primo anno della nostra Rivista. I prossimi numeri -quando usciranno- avranno altra struttura e altro supporto. Ci auguriamo, infatti, che siano pubblicati anche su carta e non soltanto in digitale. In modo da trovarli non soltanto nella Rete ma anche nelle librerie e nelle biblioteche, che delle riviste sono la casa naturale. Casa, appunto.

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