Orient-Express. Intervista impossibile a Carl Gustav Jung (I parte)

Di: Andrea Ferroni
1 Luglio 2010

Buongiorno professor Jung, senza grandi preamboli affronto subito un tema chiave delle sue teorie. La sua Psicologia analitica è conosciuta soprattutto per l’ipotesi dell’esistenza nell’uomo di una struttura mentale inconscia, collettiva, innata e universale. Ma un’accusa che le muovono è quella di ipostatizzare questa struttura, cosa antiscientifica in quanto non falsificabile.

«I ragionevoli dubbi che il concetto di “inconscio collettivo” ha spesso suscitato sono dovuti all’equivoco secondo cui verrebbe considerato da me come una sorta di entità metafisica. In realtà questo concetto è nato come modello teorico allo scopo di dare unità e coerenza al fatto, apparentemente inspiegabile, che i simboli dei miti, delle leggende e delle religioni delle più svariate popolazioni mostravano un’impressionante analogia con le immagini fantastiche prodotte, in stato onirico o ipnagogico, dagli psicotici che io avevo in cura».

Beh… Ma gli archetipi cosa sono? E concetti come Animus, Ombra, Vecchio Saggio, mi sembrano qualcosa di più che un paradigma di ricerca…

«Sono un’espressione immaginifica dell’energia psichica. Dei simboli grazie ai quali la coscienza entra in contatto con la potenza del suo inconscio. Ho articolato un modello strutturale: c’è l’Io, soggetto di tutti gli atti coscienti, e poi via via troviamo la Persona, l’Ombra, l’Anima o l’Animus, l’archetipo dello Spirito (Vecchio Saggio e Magna Mater) e, infine, il Sé. Ma l’inconscio collettivo, lo ribadisco, si configura non come qualcosa di concretamente esistente ed esperibile: è una pura ipotesi di lavoro, che può dare coerenza ai fenomeni che ho osservato».

Senta… Da consulente filosofico mi interesserebbe sapere qualcosa sul processo di individuazione, che so essere un cardine della sua teoria.

«Secondo me esiste un’esperienza fondamentale in ogni essere umano: la percezione della formazione e dello sviluppo della propria individualità. Essa si verifica lungo tutto il corso della vita, anche se in determinati periodi, nell’adolescenza e dopo il 35° anno di età circa, diviene più evidente e carica di effetti. Effetti che spesso rivoluzionano il modo di pensare e di agire. Quest’esperienza, che conduce al compimento della personalità, si svolge secondo tappe successive generalmente guidate da intuizioni che, se all’inizio si presentano in modo confuso e a volte sconcertante, divengono via via sempre più chiare e distinte fino a formare una serie coerente di pensieri, idee, passioni, sentimenti e affetti».

Non so se può chiarire ulteriormente…

«È la formazione della personalità o, per essere più precisi, del Sé. Tale processo consiste nell’integrazione fra gli opposti psichici (coscienza e inconscio), ossia nella graduale trasformazione di alcune immagini inconsce e fantastiche in concetti razionali propri della coscienza. Da Eidos (immagine) a Idea (concetto razionale). Più specificamente: l’energia vitale e caotica dell’inconscio, percepita in un’intuizione sotto forma di immagini, si riversa sulla coscienza con il risultato di produrre una vera e propria illuminazione, grazie alla quale la mente scopre analogie significative tra fatti o oggetti prima di allora considerati eterogenei».

E queste immagini da cui ogni individuo prende le mosse e viene guidato, fanno riferimento agli archetipi dell’inconscio?

«Esattamente. Essi costituiscono il patrimonio universale di ogni uomo e posseggono due caratteristiche di straordinaria importanza: la numinosità, cioè una forza energetica di enorme intensità affettiva, e il finalismo, cioè la capacità di dirigere lo sviluppo della coscienza».

Attraggono e guidano… Sono dei simboli guida…

«Sì, perché in essi l’uomo ha sempre intravisto se stesso e il suo percorso verso l’individuazione. All’inizio della storia umana questa percezione non poté essere riferita alla psiche, mancava la consapevolezza necessaria. Quindi venne proiettata su fenomeni esterni concreti come il Sole, gli astri celesti, gli alberi, la figura materna, ecc. o, in una fase posteriore, anche astratti: gli spiriti, le divinità, i mandala, ecc. Con il tempo, tali oggetti divennero simboli ed entrarono a far parte del patrimonio culturale permanente di un popolo, cristallizzandosi in leggende, miti o religioni».

In questa prospettiva, dunque, dietro ai simboli (anche delle religioni) ci sono impulsi della psiche umana che guidano il processo di individuazione?

«Esattamente. Nei simboli c’è sempre una concreta esperienza dell’energia vitale e numinosa dell’uomo, energia che talvolta viene proiettata all’esterno su oggetti reali o immaginari. Anche il progresso spirituale e culturale dell’intera società umana avviene così. Basti pensare che molti di quei simboli sono divenuti il fondamento di gran parte delle mitologie, del Cristianesimo, del Buddhismo e dell’Islamismo».

Gesù Cristo sarebbe un simbolo guida per l’individuazione?

«La figura di Cristo è una tipica rappresentazione simbolica di uno degli archetipi più importanti, quello dell’eroe. È la figura archetipica collettiva che guida il percorso del progressivo distacco dall’originario stato di indistinzione soggetto-natura verso l’autonomia individuale. Cristo, Buddha, ma anche Gilgamesh, Osiride, Dioniso, Mithra (e l’elenco potrebbe continuare a lungo) sono tipiche manifestazioni dell’archetipo dell’eroe. L’eroe è in sostanza il rappresentante collettivo del processo di individuazione».

Mi può fare uno schema di come avviene il processo di individuazione attraverso i simboli?

«Attivazione, proiezione e trasformazione»

E uno alla volta?

«Attivazione: è una fase preliminare in cui la libido si riversa (introversione) in alcuni contenuti inconsci (èide), i più originari dei quali sono gli archetipi. Essi hanno una fortissima tonalità affettiva e costituiscono un patrimonio collettivo di tutta l’umanità. Il loro linguaggio non è univoco ma polisenso. Proiezione: i contenuti inconsci vengono costellati all’esterno e finiscono con il cristallizzarsi sulla natura, su realtà esterne o su spiriti e divinità. Trasformazione: una volta proiettati, i contenuti inconsci polisensi diventano punti di riferimento monosensi (idèe) di ogni individuo per quella che egli ritiene essere la sua conoscenza della realtà esterna. Il passaggio dagli èide alle idee è, appunto, quella trasformazione senza la quale non sarebbero possibili né la scienza né il pensiero logico-astratto».

Alcuni esempi?

«Alcuni casi esemplari di trasformazione… Dall’archetipo della Madre al concetto di materia… Il passaggio dal buio all’idea di spazio o di vuoto. Il più classico, e perfino volgare, è il mutamento dell’opus dell’alchimia nella chimica. Allo stesso modo, l’umanità è passata dal mito del carro solare all’astronomia. In altre parole, la trasformazione della libido nei singoli individui ripercorre lo stesso processo che ha condotto la specie umana dal mythos al lògos, dal rito alla scienza».

Prego continui pure…

«Beh… Le posso dire che, sulla base del principio di individuazione e del relativo mito dell’eroe è possibile un confronto fra culture diverse e lontanissime tra loro nello spazio e nel tempo. Ma devo ribadire, a scanso di equivoci, che la caratteristica fondamentale dell’individuazione (e dei simboli che la guidano) è l’integrazione armonica delle due componenti psichiche, l’inconscio e la coscienza. In considerazione della profonda diversità tra il mondo dell’inconscio e la coscienza, ho spesso definito l’individuazione come il risultato di una coincidentia oppositorum».

Quindi l’eroe deve realizzarsi attraverso gli opposti?

«L’eroe non vuole unilateralità a discapito dell’una o dell’altra componente e per questo combatte e, a volte, muore. E a volte risorge. Le tre tipologie fondamentali di azione dell’eroe nella sua lotta con l’inconscio sono: il combattimento, l’ingoiamento da parte della Madre, il sacrificio di sé. Si lotta perché si resiste all’inconscio che a volte esige un radicale mutamento della personalità. Il sacrificio è tipico della religione cristiana in cui la morte di Cristo rappresenta la rinuncia consapevole alla propria componente istintiva. È uno dei più evoluti simboli del Sé. Ma bisogna osservare anche una fondamentale differenza: mentre l’archetipo del Sé realizza al suo interno l’unità dei contrari, la tradizione ecclesiastica rappresenta in Cristo solamente uno degli opposti, il bene. Il male è relegato nella figura a lui esterna ed inconciliabile del demonio. Ciò non può non avere importanti conseguenze nella psiche del fedele che tenti di seguire le orme di Cristo. Diviene inevitabile, infatti, il verificarsi di uno scontro con un nemico, il male. Ciò significa osteggiare la potenza dell’inconscio, avvertita come demoniaca, a favore della coscienza».

Come consulente filosofico questo aspetto mi interessa molto. Il Cristianesimo permea la nostra cultura. Ci potrebbe essere un rischio per i fedeli cristiani proprio a motivo dell’unilateralità intrinseca della loro religione.

«Ha ragione. Quel che ho detto poco fa è esemplificato dalla dottrina cristiana del male come privatio boni. Essa implica l’esclusione della componente inconscia: ecco il diavolo, figura esterna. Il seguace della Chiesa cristiana rischia uno sviluppo disarmonico della propria personalità: corre il rischio che la componente esclusa emerga violentemente dallo stato di rimozione, provocando terribili conflitti psichici. A mio avviso, la tormentosa sospensione di Cristo sulla croce, simbolo dell’integrazione degli opposti, rappresenta proprio il prezzo da pagare per il sacrificio della componente istintiva inconscia. Intendiamoci: questa unilateralità la imputo all’interpretazione che la Chiesa ha dato del simbolo di Cristo più che al simbolo stesso. Le prime comunità cristiane non avevano ancora accolto la dottrina della privatio boni e, di conseguenza, la realtà psichica del male tra i primi cristiani non era negata o attribuita per proiezione a figure esterne a Cristo».

Davvero interessante…

«Se mi consente aggiungerei che, sulla scorta di queste osservazioni, ho potuto riconsiderare alcuni fenomeni culturali che finora non hanno mai trovato una definitiva classificazione: lo gnosticismo e l’alchimia. Tali movimenti trovano la loro origine e la loro spiegazione proprio nell’incompletezza del simbolo cristiano: essi tentano, in modi differenti, di dare corpo e realtà al male che, negato di fatto dalla teologia cristiana, viene tuttavia percepito come una verità psicologica irrefutabile ed ineludibile».

Ed è così che si spiega il diffuso fascino dell’Oriente? Si tratta di un’attrazione dovuta all’incompletezza del simbolismo cristiano?

«Diciamo intanto che è indubbio, dal mio punto di vista, che la Chiesa cristiana non riesce a comunicare il suo messaggio in maniera profonda e ha concorso a quella stessa secolarizzazione della società che vorrebbe combattere. In particolare, la Chiesa cattolica ha contribuito alla sterilità dei suoi simboli con un atteggiamento accentratore che alla lunga ha portato i suoi seguaci ad un’accettazione acritica e fideistica dei dogmi. Da parte sua, la Chiesa protestante -esortando ogni singolo fedele alla interpretazione personale ed esaltando la coscienza individuale- ha provocato a lungo andare un atteggiamento eccessivamente razionalistico di fronte ai simboli religiosi. È dunque naturale che la psiche degli uomini moderni percepisca i simboli cristiani alla stregua di immagini estranee: essa non è stata abituata a una comprensione profonda (coinvolgente cioè a livello archetipico) e, conseguentemente, è rimasta interiormente legata al paganesimo pre-cristiano, a immagini archetipiche contrastanti con il culto ufficiale».

E dunque, insisto, come il sogno compensa i conflitti della coscienza, così l’Oriente colma le lacune della religione cristiana ufficiale?

«Prima di affrontare questo tema devo, per completezza, accennare anche ad un’altra componente della cultura occidentale: l’Illuminismo».

L’incubo della Chiesa! In effetti l’Illuminismo ha certamente contribuito a ferire, forse in modo mortale, il Cristianesimo…

«Quella peculiare fase della cultura occidentale che chiamiamo illuminismo coincide, alla luce della Psicologia analitica, con il predominio della coscienza sulle istanze inconsce che, nascoste dietro una simbologia cristiana non bene compresa e ancor peggio assimilata, vengono rigettate totalmente come una sovrastruttura irrazionale e dannosa o, quantomeno, inutile. Il nuovo pericolo consiste, da questo momento in poi, nel delirio di onnipotenza della coscienza: una forma di unilateralità che espone la psiche alle inevitabili misure di ritorsione da parte dell’inconscio. Ma dal momento che la Chiesa non ha saputo evitare che i suoi simboli si inaridissero fino al punto di diventare un vuoto formalismo, era naturale che prima o poi si insorgesse contro di essi. L’Illuminismo rappresenta una tappa obbligatoria per un risveglio della coscienza che coincide con il risveglio dell’eroe».

Mi è venuto in mente Zarathustra…Senta, molti cattolici sostengono che l’Illuminismo è la causa prima del disastro della nostra civiltà contemporanea: gli imputano ogni sorta di degenerazione individualistica e ateistica dell’Occidente secolarizzato…

«Se è per questo io potrei anche imputargli il notevolissimo incremento di alcune psicopatologie di natura nevrotica. Evidentemente la psiche individuale non è riuscita a compensare la perdita del Cristianesimo con un analogo fondamento esistenziale. Ma le ricordo che le eventuali “colpe” sono da dividersi equamente tra Chiesa cristiana e Illuminismo».

Il suo giudizio sull’Illuminismo è sostanzialmente negativo, mi par di capire…

«Ne comprendo la necessità storica: quando un simbolo si inaridisce e perde la sua capacità di parlare agli uomini e di guidarli, ci sono poche soluzioni: o se ne tenta un recupero, spesso difficile, o si trovano altri simboli, oppure si cerca in se stessi il fondamento di quella forza numinosa che il simbolo aiutava ad attivare. Ma in se stessi, senza la protezione della tradizione, si rischia di trovare anche qualcosa di terrificante. Ciò che Nietzsche ha ben descritto nel suo Zarathustra e che però, badi bene, a livello collettivo ha condotto l’umanità alla Grande Guerra. L’Illuminismo tenta di fare a meno di una componente psichica sovrainvestendo sull’altra».

Beh…Concordo sul rischio di unilateralità della ragione illuministica ma preferisco vedere in essa, hegelianamente, una tappa per una possibile sintesi…

«Proporrei la Psicologia analitica come sintesi, ma prima vorrei rispondere in modo più esauriente al suo accenno circa le religioni orientali».

Sì, in effetti le avevo chiesto se l’interesse per l’Oriente si doveva all’unilateralità occidentale, dovuta sia al Cristianesimo che all’Illuminismo.

«Le rispondo parlandole di un antico testo taoista cinese Il segreto del fiore d’oro. Vorrei penetrare nella natura di taluni aspetti della tradizione culturale dell’Estremo Oriente, senza naturalmente pretendere di esaurire la trattazione di un argomento così complesso e profondo».

Ammetto i miei pregiudizi sugli occidentali nei confronti dell’Oriente: si oscilla tra un’arida e presuntuosa interpretazione scientifica (“sono tutte superstizioni e fantasie”) e vari tentativi, spesso infelici, di immedesimazione estetica che, in genere, si fermano agli aspetti più superficiali.

«A questo proposito potrebbe essere utile ricordare un’antica massima cinese che dice più o meno così: “se l’uomo sbagliato si serve di mezzi giusti, allora il mezzo giusto agisce in modo sbagliato”. Nulla di più contrastante con la fiducia illimitata che l’uomo occidentale ripone nel metodo a prescindere da chi lo applichi…»

Se non sbaglio, a tutto ciò si deve aggiungere la difficoltà dovuta al fatto che molti autori orientali iniziano i loro scritti da quella parte che per l’occidentale costituirebbe la tesi posta a conclusione di una serie di argomentazioni…

«Il segreto del fiore d’oro non costituisce, in questo, un’eccezione, tanto è vero che inizia così: “Ciò che esiste per se stesso è detto Tao”».

Ah! E come si può tradurre il termine “Tao”?

«Non esiste nelle lingue occidentali un vocabolo che ne renda il senso. Ho letto molti tentativi, spesso goffi, di interpretazione come quello che lo traduce con “Dio”. Cerco di fare più chiarezza. “Tao” è un ideogramma cinese composto dai segni “testa” e “andare”. L’unione di questi segni in un ideogramma potrebbe riferirsi al percorrere una via in maniera consapevole, cosicché si potrebbe rendere il termine “Tao” con “via cosciente”. Comunque sia, secondo i testi cinesi, il Tao è un ideale da realizzare riunendo ciò che prima era diviso o, in altre parole, prendendo coscienza degli opposti e tentando una loro conciliazione».

L’unione degli opposti! Il processo che conduce l’essere umano all’individuazione, ossia allo sviluppo armonico della sua personalità!

«Non voglio affermare la realtà di una esatta corrispondenza fra il termine “Tao” e il termine “individuazione”. Vi sono tuttavia alcune analogie interessanti: tanto il processo che conduce al Tao, quanto quello che conduce all’individuazione sono espressi con simbologie pressoché identiche».

Alcuni esempi?

«Il simbolo cinese più frequente per indicare l’unione degli opposti è rappresentato dal mandala, il cerchio magico che, in Psicologia analitica, è un tipico archetipo del Sé. Lo stesso fiore d’oro, che dà il nome al testo che stiamo prendendo in esame ora, è un simbolo mandalico che, secondo le indicazioni date nel testo cinese, si deve sviluppare nell’animo delle persone che lo sanno coltivare.

Il mandala dunque è un archetipo del Sé…Può spiegarmi che cosa significa concretamente nella vita di una persona?

«La produzione di un mandala non è solo una rappresentazione esteriore, ma possiede anche un effetto sulla psiche del suo autore: è come se un magico solco protettivo venisse tracciato intorno al centro della sua intima personalità, in modo da difenderla dai pericoli sia del mondo esterno che del mondo interiore».

Se ben ricordo, lei sostiene che l’inconscio, nel momento in cui viene a contatto con la coscienza, ha spesso un potere dissolvente nei confronti di quest’ultima.

«Sì. L’inconscio è la Madre. A volte soccorrevole. Ma se si respingono i suoi suggerimenti, diventa facilmente Madre terrificante. E l’eroe ne sa qualcosa. Ecco perché a volte ha bisogno del mandala protettivo».

Il fiore d’oro è dunque un mandala…

«Sì, Il segreto del fiore d’oro parla del verificarsi di un movimento circolare intorno al centro che crea il recinto sacro. Secondo me ciò indica una concentrazione (il girare intorno a se stessi) che coinvolge i vari lati della personalità, in modo tale da avvicinarsi progressivamente alla piena coscienza del mondo interiore».

Mi conferma che quello descritto dal testo taoista sarebbe, in definitiva, un particolare tipo di processo di autocoscienza mediante una profonda introversione della libido?

«Sì, un’incubazione. Colui che cerca dentro se stesso il fiore d’oro, passando attraverso la circumambulatio sopra descritta, troverà il Tao, ossia la via della comprensione del senso che riveste il singolo individuo nell’universo e la via della liberazione dalla dipendenza dalla realtà esterna, la via del Sé».

Ha analizzato altri testi orientali?

«Sì, il Bardo Thödol (o Il libro tibetano dei morti), probabilmente un adattamento buddhistico di una tradizione tibetana anteriore all’VIII secolo a.C.»

Può dirci brevemente di cosa vi si tratta?

«In esso viene descritta l’esperienza di un morente la cui anima, ormai vicinissima allo stato del risveglio e della liberazione, non avendo tuttavia raggiunto un livello sufficiente di iniziazione, ricade nella serie dei condizionamenti karmici ridiscendendo così progressivamente verso le illusioni mondane. L’anima si è dunque lasciata sfuggire l’attimo in cui poteva percepire se stessa e il regno della liberazione: essa, in tal modo, si reincarna, perde gradualmente coscienza di sé e non riesce più a mantenere la consapevolezza che tutto ciò che vede non è che un prodotto della sua mente».

Che commento ne propone?

«Ne propongo una lettura, per così dire, rovesciata. Lo considero, cioè, come la descrizione delle tappe di un processo di graduale presa di coscienza in base al quale si scopre che la realtà umana in tutte le sue forme, amicizia, sessualità, religione, opinioni, ecc., è costituita dalle proiezioni dell’energia psichica verso l’esterno ».

Mi ricorda vagamente il fenomeno kantiano…o Feuerbach…

«Sì ma è straordinario anche notare le conoscenze psicologiche degli ignoti autori del Bardo Thödol non solo la loro comprensione del fenomeno della proiezione ma anche, addirittura, la chiara percezione del complesso edipico. Le leggo questo passo: “Quando l’anima raggiunge il terzo stadio, scorge maschi e femmine che si uniscono. Se sta per nascere come maschio, l’anima avrà la sensazione di essere essa stessa un maschio e si sentirà presa da intenso odio contro il padre e da gelosia e attrazione per la madre, andrà in mezzo a loro e così si reincarnerà; se sta per nascere come femmina, i suoi sentimenti saranno opposti e odierà la madre e amerà il padre”. Sembra che il mio “collega” Freud non abbia scoperto nulla di nuovo…»

(Continua)

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