Edgar Allan Poe in musica
Quando, ormai molti anni fa, cercando un soggetto per un’opera a un solo personaggio, mi sono imbattuto in The Tell-Tale Heart, non avrei mai immaginato quanto interesse avrebbe suscitato la mia scelta presso i cultori di Edgar Allan Poe. Il motivo fondamentale è che, nonostante la decisione iniziale fosse quella di far tradurre e adattare il testo in italiano, una volta lettolo in lingua originale rimasi così affascinato dalla bellezza e dalla musicalità delle parole del poeta americano da decidere di musicarle così, una dopo l’altra, integralmente, in inglese. Dal punto di vista del teatro musicale una scelta del genere aveva ben pochi precedenti. L’adozione integrale di un testo letterario come materiale unico per essere rivestito di musica e rappresentato su un palcoscenico, a parte il Combattimento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi e qualche altro caso rarissimo, non fa parte della prassi abituale del processo di creazione operistica.
Bisogna dire che Il cuore rivelatore (per usare il titolo con cui abitualmente è conosciuto in Italia) è un racconto in prima persona, e quindi, praticamente, un monologo teatrale già bell’e pronto. Narra di un assassinio, e chi racconta è l’assassino stesso. Il protagonista vive con un vecchio (non è precisato il loro rapporto, ho sempre pensato al giovane come un affittuario e al vecchio come padrone di casa). A un certo punto diventa insopprimibile per il giovane l’esigenza di uccidere il vecchio: il suo occhio malato e orribile, infatti, lo perseguita. Al momento dell’assassinio il giovane sente il suono del cuore del vecchio che batte all’impazzata sopraffatto dalla paura. Dopo l’uccisione il giovane nasconde il cadavere ma, al momento dell’interrogatorio dei poliziotti sopraggiunti nella notte, risentirà quel suono terribile che lo costringerà a confessare il delitto. In The Tell-Tale Heart, rispetto ad altri racconti dello stesso autore il discorso del protagonista è molto più drammatico, e non si perde mai in divagazioni letterarie, rimanendo sempre attaccato alla narrazione, esattamente come se fosse un copione.
Già con le prime parole: «True! Nervous, very very dreadfully nervous I had been and am…But why will you say that I am mad?» «Perché dite che sono pazzo?», il nostro protagonista affronta il pubblico-interlocutore in modo diretto, quasi un po’ violento, rivelandoci qui, proprio all’inizio, la sua completa e lucida follia. Non ci sono dubbi. Poe non gioca con l’ambiguità, non ci tiene nel forse. La pazzia del protagonista è un dato certo e inconfutabile. Ogni sua frase ce la conferma, da quando ci spiega come per liberarsi di quell’occhio schifoso non ci fosse altro sistema che uccidere il vecchio, a quando ci descrive il rito, compiuto con lentezza estenuante, di entrare ogni notte nella stanza della vittima; da quando ci racconta del suono terribile del cuore, così forte da temere che potesse essere udito dai vicini, a quando all’assassinio e alla tragica confessione.
Ora, portando su un palcoscenico The Tell-Tale Heart, è evidente che il problema di fondo consiste nella rappresentazione di questa follia. In una famosa versione filmata interpretata da Vincent Price la recitazione è tutta sostenuta da un’eccitazione di fondo, che raggiunge ovviamente il culmine nei due punti “obbligati” e cioè quelli in cui il nostro protagonista sente il crescendo inarrestabile del suono del cuore, e cioè al momento dell’assassinio e alla fine. La recitazione conserva sempre e comunque un carattere di realismo che soltanto nel gradino successivo, e cioè nella trasposizione in teatro musicale cantato, può essere superato.
Il canto già in partenza ci allontana dalla verosimiglianza, e quindi diventa più facile, per esempio, la rappresentazione degli sbalzi di umore, passando da un movimento lento e piano a un fortissimo concitato o viceversa. Senza la musica non sarebbe stato possibile dare la sensazione di estrema lentezza di alcuni momenti della prima parte, in cui vengono raccontate le lunghe ore di attesa fuori della stanza del vecchio. Non sarebbe ammissibile, parlando, una lentezza che invece accettiamo tranquillamente se cantata. Le sillabe possono durare, cantando, molto di più che nel parlato. La stessa cosa avviene al contrario, naturalmente, e possiamo tirare in ballo tutti gli elementi, la dinamica, le altezze, il timbro. È soprattutto nel momento finale (o meglio pre-finale, poiché le ultime battute vengono cantate con voce sommessa) che ho sfruttato più che potevo la libertà che la musica mi concedeva: a un certo punto la voce resta sola, senza più l’accompagnamento strumentale. Questo per me era importante, per far capire come il suono del cuore sia nella testa del protagonista, e la voce da sola si abbandona a tutta una serie di comportamenti non convenzionali, dal grido forsennato all’ansimare come un cane, con la lingua fuori, all’alternare note piene e intonate ad altre semiparlate o parlate, con timbro impostato o grattato, o completamente roco, insomma, un campionario di “follie” vocali. Ho verificato quanto questa parte finale sia efficace sul pubblico, che forse a un certo punto viene sfiorato dal dubbio che l’interprete stesso abbia perso il controllo.
Titolo: The Tell-Tale Heart di Bruno Coli daltesto di Edgar Allan Poe |
Genere: Opera lirica |
Musiche di Bruno Coli |
Stagione lirica: 2004 – 2005 Repliche: Genova, 2010 |
Regia: Nicholas Brandon |
Maestro concertatore e direttore d’orchestra: Flavio Emilio Scogna |
Regia e costumi: Bruno Cereseto |
Scene: Paola Ratto |
Orchestra: Filarmonia Veneta “G.F. Malipiero” |
Voce: Marcello Lippi |
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