Whitehead

Di: Alberto Giovanni Biuso
1 Novembre 2023

 

Questo articolo intende essere soltanto un testo di servizio per introdursi a una filosofia tanto originale quanto complessa e linguisticamente strabordante. Ho cercato dunque di dare quanto più possibile la parola ad Alfred North Whitehead ma anche di rendere questa parola comprensibile sullo sfondo della storia della metafisica nella quale si colloca, nella quale intende collocarsi. Le citazioni da Whitehead sono tratte tutte dall’edizione di Processo e Realtà pubblicata da Bompiani con testo a fronte1. La prima parte della citazione è in inglese, segue la traduzione italiana, chiusa dal numero di pagina dove compare il testo originale. 

 

Una metafisica selvaggia 

Un libro di Isabelle Stengers (filosofa che ha collaborato a molte opere di Ilya Prigogine) dedicato a Whitehead si intitola Penser avec Whitehead: Une libre et sauvage création de concept2. In effetti il pensare di Whitehead è un vero e proprio fuoco d’artificio teoretico, anche in difesa della metafisica. Già nel primo capitolo della prima delle cinque parti che compongono Process and Reality vengono date e proposte numerose, ricche e assai chiare definizioni della metafisica e della filosofia, delle sue origini, funzioni, effetti. Una è particolarmente esatta: «Metaphysics is nothing but the description of the generalities which apply to all the details of practice (La metafisica non è altro che la descrizione delle generalità che si applicano a tutti i dettagli della pratica)» (168), dove la pratica è la vita quotidiana e il comune sentire ma sono anche i metodi scientifici e le metodologie delle singole scienze, ciascuna delle quali «requires some common metaphysical presupposition respecting the universe (necessita di un certo presupposto metafisico comune rispetto all’universo)» (164). Pratico è anche ogni linguaggio, le cui proposizioni si riferiscono «to a universe exhibiting some general systematic metaphysical character (a un universo che esibisce qualche carattere sistematico metafisico generale)» (162), il che vuol dire che ogni proposizione ha alla sua base una metafisica, le cui categorie «are not dogmatic statements of the obvious; they are tentative formulations of the ultimate generalities (non sono delle affermazioni dogmatiche di ciò che è ovvio, sono delle formulazioni provvisorie delle generalità ultime)» (154).
La filosofia è infatti per Whitehead un itinerario verso le generalità più ampie e comprensive, il cui «business is to explain the emergence of the more abstract things from the more concrete things. […] In other words, philosophy is explanatory of abstraction, and not of concreteness (compito è di spiegare l’emergenza delle cose più astratte da quelle più concrete. […] In altre parole, la filosofia è esplicativa dell’astrazione, e non della concretezza)» (192), la filosofia è la ricerca delle forme universali nei fatti particolari.
È anche questo elemento a segnare la differenza della filosofia rispetto ad altre scienze e alla scienza somma, la matematica, con la quale condivide storicamente la nascita. La tradizione pitagorico/platonica coniuga la razionalità filosofica e quella matematica e tuttavia «the primary method of mathematics is deduction: the primary method of philosophy is descriptive generalization (il metodo primario della matematica è la deduzione; il metodo primario della filosofia è la generalizzazione descrittiva)» (160). 


Platone, l’intero e le sue parti 

Si esprime in questo modo la profonda unità tra la parte e il tutto, tra l’elemento singolo e l’universale, tra la struttura empirica e il suo significato; unità che costituisce una delle ragioni di permanenza del platonismo in ogni filosofia. È anche questa potenza plurale e insieme convergente del pensare platonico che viene indicata nella celebre formula per la quale «the safest general characterization of the European philosophical tradition is that it consists of a series of footnotes to Plato (la caratterizzazione generale più sicura della tradizione filosofica europea è che essa consiste in una serie di note a Platone)» (254). Whitehead dichiara apertamente di voler seguire le linee di pensiero fondamentali del platonismo.
Egli definisce la propria filosofia come una «filosofia dell’organismo», dando a questa parola un significato assai ampio, che include la filosofia platonica delle forme. Nel pensiero di Whitehead, infatti, «is not ‘substance’ which is permanent, but ‘form’. Forms suffer changing relations; actual entities ‘perpetually perish’ subjectively, but are immortal objectively. Actually in perishing acquires objectivity, while it loses subjective immediacy (non è la ‘sostanza’ che è permanente, ma la ‘forma’. Le forme subiscono delle relazioni che cambiano; le entità attuali ‘periscono perpetuamente’ soggettivamente, ma sono immortali oggettivamente. L’attualità nel perire acquista oggettività, mentre perde l’immediatezza soggettiva)» (224). La forma è – con definizione interamente e correttamente platonica – «simply a complex eternal object exemplified in each member of the nexus (semplicemente un oggetto eterno complesso esemplificato in ogni membro del nesso)» (242), è ciò che dà unità al molteplice mai statico, al dinamismo degli enti che sono sempre per Whitehead dei processi. Il mondo è infatti composto di «entità attuali» tra di loro in perpetua relazione: «a nexus of actual entities (un nesso di entità attuali)» (312), definizione con la quale il filosofo intende porre subito in chiaro che ogni ente è un processo intrinsecamente temporale, che ogni è sia da intendere come un accade, che l’essere è temporalizzazione, tanto che le entità attuali possono essere definite ancora più correttamente ‘actual occasions, occasioni attuali’, ovvero grumi di tempo in perpetua vibrazione.
Insieme a queste entità/occasioni attuali si danno gli ‘eternal object, oggetti eterni’ dai quali le entità attuali sorgono e di cui partecipano. È chiaro quindi che Whitehead utilizza l’espressione ‘oggetto eterno’ per ciò che chiama anche «a ‘Platonic form’ (una ‘forma platonica’)» (272).
Ma non si tratta affatto di una semplice, ricca e raffinata riproposizione dell’ontologia platonica. «Philosophy may not neglect the multifariousness of the world (la filosofia non può trascurare la multiformità del mondo)» (1276) e pertanto deve cercare di esprimere la molteplicità di questo mondo anche attraverso prospettive diverse, cangianti e convergenti. La filosofia dell’organismo, delle forme, delle entità attuali che sono occasioni attuali, è anche una filosofia per la quale «the ultimate metaphysical truth is atomism. The creatures are atomic. […] The proper balance between atomism and continuity is of importance to physical science (la verità metafisica ultima è l’atomismo. Le creature sono atomiche. […] Il giusto equilibrio tra atomismo e continuità è importante per la scienza fisica)» (247).
La convergenza tra l’universalità delle forme e la densità materico/atomistica del mondo è data anche dall’evidenza per la quale non esistono «brute, self-contained matters of fact (fatti bruti, indipendenti in se stessi)» (174), la cui comprensione sia immediata e passiva. Ogni comprensione conduce sempre infatti al di là di se stessa e del dato che cerca di comprendere, conduce al nesso con le entità attuali che sono contemporanee all’occasione/evento indagati, conduce al passato dell’entità attuale, al suo futuro, agli universali dei quali il dato è parte. Ogni conoscenza adeguata è sempre olistica ed ermeneutica, «our habitual experience is a complex of failure and success in the enterprise of interpretation. If we desire a record of uninterpreted experience, we must ask a stone to record its autobiography. Every scientific memoir in its record of the ‘facts’ is shot through and through with interpretation (la nostra esperienza abituale è un intreccio di fallimento e successo nell’impresa dell’interpretazione. Se desideriamo una testimonianza di un’esperienza non interpretata, dobbiamo chiedere a una pietra di scrivere la sua autobiografia. Ogni memoria scientifica nella sua documentazione dei ‘fatti’ è tutta impregnata di interpretazione)» (176), senza che questo significhi relativismo o arbitrio e soprattutto senza che significhi l’eccesso di soggettività dato dall’enfasi che il pensiero cartesiano e moderno pone sulla coscienza. Al contrario: l’obiettivo della filosofia è l’acquisizione di un atteggiamento e di uno sguardo quanto più oggettivi sul mondo, che ne rispettino il primato su ogni coscienzialismo e antropocentrismo.
L’esperienza infatti precede la coscienza, che non è affatto necessaria per le operazioni mentali, le quali sono delle «blind prehensions, physical and mental [which] are the ultimate bricks of the physical universe (prensioni cieche, fisiche e mentali [che] sono i mattoni ultimi dell’universo fisico)» (1180). Prehension è la parola con la quale Whitehead indica e significa le percezioni e le esperienze, la varietà amplissima di percezioni ed esperienze che il corpomente prova e vive abitando il flusso materico e temporale. 

A prehension reproduces in itself the general characteristics of an actual entity: it is referent to an external world, and in this sense will be said to have a ‘vector character’; it involves emotion, and purpose, and valuation, and causation. In fact, any characteristic of an actual entity is reproduced in a prehension (Una prensione riproduce in sé le caratteristiche generali di un’entità attuale: si riferisce al mondo esterno, e in questo senso si dirà che ha un ‘carattere vettore’; essa implica emozione, scopo, valutazione, e causazione. Infatti, ogni caratteristica di un’entità attuale è riprodotta in una prensione) (190). 

Ogni prensione è costituita da tre elementi: il soggetto che attua la prensione, vale a dire l’entità attuale nella quale la prensione accade; il dato/entità attuale/evento che viene preso; la forma/modo nella quale la prensione accade. La vita della mente consiste in un flusso costante, variegato e complesso di prensioni concettuali, scaturite dal flusso altrettanto ricco e plurale di prensioni fisiche.
L’insieme di prensioni fisiche e concettuali formano la percezione e l’esperienza, che proprio per la potenza delle prensioni non hanno bisogno della coscienza, la quale «flickers; and even at its brightest, there is a small focal region of clear illumination, and a large penumbral region of experience which tells of intense experience in dim apprehension (è intermittente e persino nei momenti in cui è più luminosa c’è una piccola regione focale di illuminazione nitida e un’ampia regione di penombra di esperienza che racconta dell’esperienza intensa nell’apprensione vaga)» (1046).
Whitehead ribadisce con forza la distanza da ogni idealismo, la natura realistica della sua ontologia. La filosofia dell’organismo è il capovolgimento del kantismo. Se per Kant «the world emerges from the subject; for the philosophy of organism, the subject emerges from the world – a ‘superject’ rather than a ‘subject’ (il mondo emerge dal soggetto; per la filosofia dell’organismo, il soggetto emerge dal mondo – un ‘supergetto’ piuttosto che un ‘soggetto’)» (428).
Non si va quindi dalla soggettività della coscienza alla realtà del mondo, come appunto per Kant, ma al contrario è dalla densità flussica e materica del mondo che la coscienza umana e ogni altra intelligenza riceve le condizioni per comprendere il mondo e in esso vivere. Il mondo è la realtà universale della quale la soggettività rappresenta una parte individua.
Con altro lessico, Whitehead ripete la domanda di Heidegger e dà la medesima risposta. Scrive infatti Heidegger: 

«Bisogna quindi porsi la domanda decisiva: in che cosa, per i Greci, τα εὄντα e τα ϕαινόμενα sono sinonimi? In virtù di che cosa ciò che è presente, ciò che si mostra da sé (ciò che appare) sono tutt’uno? Per Kant una simile unità è semplicemente impossibile.
Per i Greci le cose appaiono.
Per Kant le cose mi appaiono.
Nel tempo intercorso tra i due è accaduto che l’ente è diventato oggetto, ciò che sta di fronte (Gegen-stand, obiectum o meglio: res obstans). Il termine oggetto non ha alcun equivalente in greco»3. 

Il soggettivismo kantiano si coniuga al suo riduzionismo temporale, che fa svanire la potenza del divenire nel semplice ordinamento che la coscienza dà ai fenomeni. E questo perché il mondo temporale che emerge nella Critica della Ragion pura «was in its essence dead, phantasmal, phenomenal. Kant was a mathematical physicist, and his cosmological solution was sufficient for the abstractations to which mathematical physics is confined (era nella sua essenza morto, spettrale, fenomenico. Kant era un fisico matematico, e la sua soluzione cosmologica era sufficiente per le astrazioni a cui si limita la fisica matematica)» (785).

 

Un’ontologia relazionale 

Tutto questo accade come espressione e sostanza della struttura relazionale dell’essere. Quella di Whitehead è infatti una integrale ontologia della relazione, un’ontologia insieme monistica e plurale, tesa a superare le secche di ogni dualismo, «the disastrous separation of body and mind, characteristic of philosophical systems which are in any important respect derived from Cartesianism (la disastrosa separazione di corpo e mente, caratteristica dei sistemi filosofici che sotto qualche aspetto importante derivano dal cartesianesimo)» (972). Al dualismo la filosofia dell’organismo oppone il fondamento inorganico del corpomente e di quella sua funzione che chiamiamo coscienza. Le entità attuali sono infatti delle ‘società’, costituiscono un insieme coordinato di elementi e di parti la cui composizione determina il loro essere oggetti perduranti nel tempo: «An ordinary physical object, which has temporal endurance, is a society. In the ideally simple case, it has personal order and is an ‘enduring object’ (Un oggetto fisico ordinario, che ha una durata temporale, è una società. In un caso idealmente semplice, ha ordine personale ed è un ‘oggetto perdurante’)» (244). Una molecola, ad esempio, è una società subordinata della cellula vivente. I cristalli sono anch’essi un tipo di società strutturata mentre i gas non lo sono. Anche nel caso dei gas, tuttavia, le molecole che li compongono costituiscono delle società strutturate. Per quanto riguarda i viventi 

all the life in the body is the life of the individual cells. There are thus millions upon millions of centres of life in each animal body. So what needs to be explained is not dissociation of personality but unifying control, by reason of which we not only have unified behaviour, which can be observed by others, but also consciousness of a unified experience (tutta la vita del corpo è la vita delle cellule individuali. Ci sono milioni di milioni di centri di vita in ogni corpo animale. Quindi ciò che necessita di essere spiegato non è la dissociazione delle personalità, ma il controllo unificatore, per cui noi non solo abbiamo un comportamento unificato, che può essere osservato dagli altri, ma anche la coscienza di un’esperienza unificata) (497). 

Il principio è la relazione, è il fatto che «an organism is a nexus (un organismo è un nesso)» (872), il cui fondamento è del tutto materico. «We do not know of any living society devoid of its subservient apparatus of inorganic societies (Non sappiamo di nessuna società vivente che sia priva del suo apparato subordinato di società inorganiche)» (478): per tornare all’esempio della cellula, questa entità attuale e vivente è composta di società inorganiche, di un insieme di molecole ed elettroni, la cui struttura/natura non è mai statica. E dunque anche «a ‘stone’ has certainly a history, and probably a future (una ‘pietra’ ha certamente una storia, e probabilmente un futuro)» (542). Whitehead si spinge, correttamente, sino a ipotesi di natura animistica, che aboliscono ogni mente separata dalla materia e ogni materia passiva e cieca. La filosofia dell’organismo, infatti, «attributes ‘feeling’ throughout the actual world (attribuisce il ‘sentimento’ a tutto il mondo attuale)» (738). 

 

Una metafisica temporale 

Tutto questo accade nel tempo e come tempo, il vero e pervasivo fondamento della metafisica di Whitehead, per la quale – come abbiamo già visto – gli enti sono sempre eventi. E questo perché la trasformazione è la struttura di ogni entità attuale, la quale è sempre vettore di un trasferimento. Un oggetto materiale costituisce un percorso, un tragitto di occasioni attuali, ognuna delle quali sta in un presente che raccoglie l’intero passato e per questo può evolversi nel futuro. Ciò che chiamiamo presente è più correttamente una durata presenziale: una «duration in respect to which the enduring object is momentarily at rest (durata presenziale è la durata in rapporto a cui l’oggetto perdurante è momentaneamente in quiete)» (1228). Ogni ente e qualsiasi oggetto sono temporali e «in the world there is nothing static (nel mondo non c’è nulla di statico)» (946). Una durata è una parte e struttura del mondo che indica la condizione di una società/entità attuale in una certa epoca. Ancora una volta la nozione di materia statica viene sostituita con quella di «fluent energy (energia fluente)» (1184). 

Sono due i tipi fondamentali di flusso: il mutamento interno a ogni entità attuale, chiamato da Whitehead concrescence/concrescenza; il mutamento esterno che pone in relazione di flusso una molteplicità (anche soltanto due) di entità attuali, chiamato transition/transizione. Quest’ultima modalità mostra tutta la potenza del passato e il costituirsi del divenire come perpetual perishing/perire perpetuamente di ogni composto attuale trasformato e sostituito da nuovi composti, destinati a loro volta e essere sostituiti e trasformati da altri. L’essere è dunque costruzione e distruzione da cui nuove costruzioni e ulteriori distruzioni, come Anassimandro ha sin dall’inizio del pensiero teoretico indicato. Questo vale in particolare per le entità attuali che sono vive, vale a dire che persistono nella durata presenziale attraverso la distruzione di altre società/entità, per diventare a loro volta quasi sempre nutrimento di altre cose vive. La vita, insomma, è una perpetua forma di distruzione.
Se tale è il mondo in ogni sua forma e componente, il pensare che cerca di comprenderlo non può che essere una filosofia del processo, la quale cerca di capire l’accadere coniugando speculazione, logica e fatti. Il principio della filosofia del processo è che ogni ente sia un modo del divenire, che esiste di momento in momento – o di secolo in secolo o secondo altre prospettive temporali – in quanto tragitto storico delle occasioni attuali che si susseguono e che ne costituiscono la vita, organica o inorganica che sia. In sintesi: «The actual world is a process, and the process is the becoming of actual entities (Il mondo attuale è un processo, e il processo è il divenire delle entità attuali)» (200). 

 

Potenza e limiti della filosofia 

È anche l’inarrestabilità del flusso a inserire una fisiologica dose di scetticismo dentro ogni metafisica che sia consapevole dei limiti che la conoscenza incontra nel comprendere e seguire tale flusso. E questo accade per varie ragioni. Una motivazione di fondo è che l’esperienza umana è fatta di una mescolanza di volta in volta variabile di certezza, probabilità e ignoranza. Un’altra è che non bisogna aspettarsi che a questioni complesse possano essere date risposte semplici; per quanto lontano si estenda la conoscenza umana, l’enigma del mondo rimane sempre oltre. E questo perché su non pochi temi non sappiamo se il nostro modo di porre le domande corrisponda alla natura delle cose e non sempre sappiamo con chiarezza dove e che cosa cercare. Tutto questo fa sì che 

philosophers can never hope finally to formulate these metaphysical first principles. Weakness of insight and deficiencies of language stand in the way inexorably. Words and phrases must be stretched towards a generality foreign to their ordinary usage; and however such elements of language be stabilized as technicalities, they remain metaphors mutely appealing for an imaginative leap (i filosofi non possono mai sperare di formulare definitivamente questi principi primi metafisici. La debolezza dell’intuizione e le deficienze del lin

guaggio sono inesorabilmente d’impedimento. Parole ed espressioni devono essere estesi ad un livello di generalità estraneo al loro utilizzo ordinario e, per quanto tali elementi del linguaggio siano fissati come termini tecnici, essi rimangono delle metafore che richiedono tacitamente un salto dell’immaginazione) (138). 

È bene sapere che «in its turn every philosophy will suffer a deposition (a suo tempo, ogni filosofia verrà destituita)» (150) e che ogni metodo, prospettiva, concetto rimane inevitabilmente incerto e temporale. È dunque necessario sia trascendere l’ovvio sia rimanere prudenti su ogni forma di razionalità – e di filosofia – che voglia presentarsi come definitiva. Un esempio assai chiaro è la scienza naturale che nel corso della storia 

has shown a curious mixture of rationalism and irrationalism. Its prevalent tone of thought has been ardently rationalistic within its own borders, and dogmatically irrational beyond those borders. In practice such an attitude tends to become a dogmatic denial that there are any factors in the world not fully expressible in terms of its own primary notions devoid of further generalization. Such a denial is the self-denial of thought (ha mostrato una curiosa mescolanza di razionalismo e irrazionalismo. Il suo tono prevalente di pensiero è stato ferventemente razionalistico entro i suoi confini, e dogmaticamente irrazionale al di là di quei confini. In pratica, una tale attitudine tende a divenire una negazione dogmatica del fatto che ci siano al mondo dei fattori che non siano pienamente esprimibili nei termini delle sue nozioni primarie, senza ulteriore generalizzazione. Una tale negazione è l’auto-negazione del pensiero) (144). 

Il mondo rimane multiforme e asintotico rispetto a qualunque modo di intenderlo e a qualunque metodologia utilizzata per comprenderlo. 

 

Linguaggio e teologia 

È tale consapevolezza ad aver indotto Whitehead a elaborare un linguaggio effettivamente rinnovato che sia un veicolo adeguato alla nuova metafisica da lui proposta, sino a complicazioni non da poco e a una tonalità barocca che affascina e a volte sconcerta durante la lettura delle sue pagine. Il linguaggio è infatti centrale in ogni filosofia, poiché ogni scienza deve elaborare e raffinare i propri strumenti e il linguaggio è strumento principe del lavoro filosofico. L’intrinseca linguisticità della conoscenza e la consapevolezza dei suoi limiti inducono il filosofo ad ammettere la «hopeless ambiguity of language (l’ambiguità senza speranza del linguaggio)» (806).
Un’ambiguità che diventa evidente e plastica nella quinta e ultima parte di Process and Reality, dedicata al tentativo di una teologia che costituisca la sintesi del divenire eterno. Si tratta di una prospettiva che studiosi e continuatori di Whitehead hanno definito panenteismo (parola che il filosofo non enuncia mai) per indicarne la vicinanza ma anche le differenze con le tesi panteistiche. Whitehead rifiuta decisamente l’immagine teistica di Dio, del tutto esemplata a somiglianza dei sovrani imperiali dell’Egitto, della Persia, di Roma, esperienze che vengono sintetizzate nella formula di un Dio/Cesare. E tuttavia non accoglie neppure la radicale impersonalità del Dio di Spinoza e fa piuttosto del divino una sorta di trama di fondo che garantisce l’armonia del cosmo in ogni sua parte e differenza. Dio consiste dunque 

in the patient operation of the overpowering rationality of his conceptual harmonization. He does not create the world, he saves it: or, more accurately, he is the poet of the world, with tender patience leading it by his vision of truth, beauty, and goodness (nell’opera paziente della razionalità irresistibile della sua armonizzazione concettuale. Egli non crea il mondo, lo salva; o, in modo più preciso, egli è il poeta del mondo, guidandolo con tenera pazienza mediante la sua visione di verità, bellezza e bontà) (1306). 

Si sente, ancora una volta, la presenza del Timeo e del suo demiurgo.
Uno dei compiti fondamentali di questa costruzione teoretica potente, articolata e originale è lo stesso che Whitehead attribuisce a ogni filosofia: «The elucidation of meaning involved in the phrase ‘all things flow’ is one chief task of metaphysics (La delucidazione del significato implicato nell’espressione ‘tutte le cose fluiscono’ è uno dei compiti principali della metafisica)» (850). 

Che tutto fluisca significa specialmente che ogni permanenza è mutamento e ogni mutare è permanenza. 

In the inescapable flux, there is something that abides; in the overwhelming permanence, there is an element that escapes into flux. Permanence can be snatched only out of flux; and the passing moment can be find its adequate intensity only by its submission to permanence. Those who would disjoin the two elements can find no interpretation of patent facts (Nel flusso ineluttabile c’è qualcosa che resta; nella permanenza schiacciante c’è un elemento che sfugge finendo nel flusso. La permanenza può essere colta soltanto a partire dal flusso, e il momento che passa può trovare la sua intensità adeguata solo sottomettendosi alla permanenza. Quelli che vorrebbero disgiungere i due elementi non possono trovare alcuna interpretazione dei fatti evidenti) (1278). 

L’essere è insieme e inseparabilmente flusso e permanenza, poiché ogni mutamento ha senso in quanto qualcosa rimane e, di converso, il permanere di un ente si staglia sull’orizzonte del suo mutare. La metafisica è dunque da intendere non come fondazione/fondamento ma come comprensione di questo ininterrotto eventuarsi in cui mondo, materia e umanità consistono. Metafisica non come soggettivismo/idealismo ma come schiusura, apertura e compenetrazione del mondo umano dentro il mondo spaziotemporale che lo rende ogni volta e di nuovo possibile.


Note
1 A.N. Whitehead, Processo e realtà. Saggio di cosmologia [Process and Reality. An Essay in Cosmology. Gifford Lectures Delivered in the University of Edinburgh During the Session 1927-1928, 1929, Corrected edition, Free Press, New York 1979], a cura di M.R. Brioschi, intr. di L. Vanzago, Bompiani, Milano 2019, pagine 1366.
2 Editions du seuil, Paris, 2002.
3 M. Heidegger, Seminari [Vier Seminare. Zürcher Seminar, Vittorio Klostermann, Frankfurt am Main 1997 e 1986], a cura di F. Volpi, trad. di M. Bonola, Adelphi, Milano 2003, p. 92. 

(agbiuso@unict.it)

 

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