Un argomento misantropico per l’antinatalismo
Traduzione di Sarah Dierna
La «razza più perniciosa di piccoli detestabili vermi a cui la natura abbia mai permesso
di strisciare sulla faccia della Terra».
J. Swift, I viaggi di Gulliver, Parte II, capitolo 6
Alcuni argomenti per la conclusione che è (sempre) sbagliato portare qualcuno al mondo sono ciò che definisco argomenti “filantropici”. Essi nascono dalla preoccupazione per il benessere di coloro che sarebbero portati al mondo. Secondo questi argomenti, venire al mondo rappresenta un danno piuttosto grave – o comporta un rischio piuttosto elevato di subire un danno grave per le persone portate a esistenza – tanto che dovremmo desistere dal generarle.
Il punto di vista filantropico non è tuttavia l’unica via per l’antinatalismo. Ci sono anche argomenti antinatalisti che possiamo definire “misantropici”. Questi argomenti si concentrano sui mali terribili che gli esseri umani infliggono e su altre qualità negative della nostra specie. Questo capitolo sarà dedicato a sostenere ciò che io considero essere il più forte di questi argomenti – un argomento morale1.
È probabile che gli argomenti misantropici incontrino una reazione persino più ostile rispetto agli argomenti filantropici. Non è difficile capire perché le cose stiano così. Prima di tutto, odiamo coloro che ci disprezzano. Il misantropo è presumibilmente colui che non apprezza gli esseri umani, quindi, non deve sorprendere che questi non venga accettato. Inoltre, alle persone non piace sentire cose negative sul loro conto e il misantropo ha molte cose negative da dire.
Alcune delucidazioni potrebbero essere utili per mitigare questa risposta istintiva. La prima: gli argomenti che saranno qui sostenuti sono misantropici solo in quanto si soffermano su fatti spiacevoli che riguardano gli esseri umani. Infatti, sosterrò che non sono incompatibili con quelli filantropici. Perciò la definizione di misantropico non dovrebbe essere presa troppo alla lettera o interpretata nel modo sbagliato. La seconda: le affermazioni negative che gli argomenti misantropici avanzano sull’umanità potrebbero essere vere. Rifiutare di credervi soltanto perché sono poco piacevoli fornirebbe al misantropo ulteriori motivi di conferma. Non riconoscere i propri difetti è un altro difetto.
L’argomento misantropico più forte a sostegno dell’antinatalismo è, come ho detto, morale. Può essere presentato in molti modi, ma eccone qui di seguito uno:
1. Abbiamo il (presunto) dovere di desistere dal portare al mondo nuovi membri di una specie che causa (ed è probabile che continuerà a farlo) un’ampia quantità di dolore, di sofferenza e di morte.
2. Gli esseri umani causano un’ampia quantità di dolore, di sofferenza e di morte.
3. Abbiamo il (presunto) dovere di desistere dal portare al mondo nuovi esseri umani².
Discuterò dopo della prima premessa e inizierò adesso dimostrando la verità della seconda. Procederò in due modi. Prima metterò in evidenza il lato oscuro (dark side) della natura umana. Poi mostrerò quanto male rechino gli esseri umani. Le due [tesi] sono correlate in quanto il lato oscuro della natura umana spiega in parte perché gli umani siano così dannosi. Più nello specifico, esso spiega in che modo si manifesta con risultati distruttivi. Fornirò più dettagli di quanto alcuni riterranno necessari perché molti tendono a sottovalutare la portata delle capacità distruttive dell’umano e ho bisogno di prevenire una risposta superficiale di questo tipo.
Il lato oscuro della natura umana
La nostra specie è incline a una visione lusinghiera di se stessa. Gli esseri umani si sono considerati il punto più alto della creazione, generati a immagine e somiglianza di un dio sommamente buono, onnisciente e onnipotente, abitano un pianeta che sta al centro dell’universo – un pianeta intorno al quale tutti gli altri ruotano³. La scienza ci ha messo tanto per smascherare alcune di queste idee. Adesso sappiamo che il nostro pianeta non è al centro dell’universo: la terra ruota attorno al sole e non il contrario. E sappiamo – o almeno alcuni di noi – che siamo il prodotto recente di un lungo e cieco processo evolutivo.
Tuttavia, questa inclinazione adulatoria è piuttosto resistente e si manifesta all’interno del paradigma scientifico semplicemente in modo diverso rispetto a quello religioso. Per questo, nella nostra tassonomia, ci designiamo come Homo Sapiens – l’essere umano che pensa. C’è naturalmente qualche verità in questa definizione. Come specie pensiamo di più rispetto agli altri animali e possediamo una capacità tecnica superiore rispetto alla loro. Una ristretta parte ha raggiunto risultati notevoli. Tuttavia, faremmo bene a notare che questi risultati sono considerati notevoli solo perché (1) non sono a portata di mano per la maggior parte degli esseri umani; (2) gli esseri umani più intelligenti solitamente li raggiungono spingendosi oltre i limiti delle proprie capacità; e (3) non esistono animali cognitivamente più capaci sul nostro pianeta a valutare i nostri risultati da una prospettiva più modesta⁴. Pertanto, è parziale giudicare la nostra specie a partire dai traguardi di una sua piccola parte. Anche le capacità cognitive di quest’ultima rimangono enormemente carenti in innumerevoli modi.
Ci consideriamo esseri razionali, ma spesso non siamo all’altezza di pensare e di agire razionalmente⁵. Per esempio, istintivamente diamo giudizi affrettati che, riflettendoci, ci accorgiamo essere sbagliati. Spesso siamo persino troppo pigri per fare le dovute riflessioni. Le nostre decisioni possono essere influenzate dall’“effetto cornice (framing effect)” – e cioè, è probabile che le nostre decisioni differiscano a seconda che una stessa informazione sia presentata in un modo o in un altro. Negli stati di eccitazione sessuale prendiamo decisioni che sappiamo essere irrazionali quando non siamo eccitati. Siamo disposti a pagare di più per conservare qualcosa piuttosto che per ottenere qualcos’altro dello stesso valore anche quando non c’è ragione per rimanere attaccati a un oggetto che già possediamo – il cosiddetto “effetto dotazione” (endowment effect). Gli esseri umani hanno inoltre la tendenza a essere eccessivamente ottimisti e abbiamo una considerevole predisposizione ad autoingannarci. Questi sono [soltanto] alcuni delle centinaia di esempi che si potrebbero fare.
Per tutte queste ragioni siamo effettivamente una specie sorprendentemente stupida. Ci sono molte prove di questa stupidità. Si vede in coloro che iniziano a fumare sigarette (nonostante tutto ciò che si sa sul loro pericolo e sugli effetti di dipendenza) e nell’eccessivo consumo di alcool – specialmente in coloro che guidano sotto la sua influenza. Si vede nei risultati di un’industria pubblicitaria, che dà prova della creduloneria dell’umanità. Si vede anche nel successo degli slogan politici, nella demagogia e nei giri di parole da cui si lasciano convincere milioni di persone. La serietà con cui molti prendono in considerazione questioni di assoluta inconsistenza – per esempio lo sport e le vicissitudini di una particolare squadra – e l’adulazione di sportivi dannosi e ignoranti, di noti personaggi musicali e del cinema costituiscono anch’essi una prova6. Prove ulteriori sono da trovare nelle mode passeggere e in [quelle] ossessioni che dilagano incontrollate⁷.
Le nostre carenze cognitive e di altro genere sono in se stesse preoccupanti, ma alcune di queste, presumibilmente, ci inducono a una serie di atti moralmente sbagliati. Questi atti spiegano, almeno in parte, alcune delle cose terribili che gli umani compiono e per questo sono alla base delle versioni più forti dell’argomento misantropico per l’antinatalismo.
Consideriamo, per esempio, la tendenza umana al conformismo. In uno studio⁸ che dimostra questo fenomeno, a dei gruppi di individui era mostrata una linea – lo “standard” – e veniva chiesto loro quale delle altre tre linee fosse della stessa lunghezza della linea “standard”. Le linee non equivalenti avevano lunghezze abbastanza diverse che la risposta corretta era chiara. In ciascun gruppo tutti tranne uno erano complici dello sperimentatore ed era stato loro indicato, in certe fasi dell’esperimento, di dare la risposta sbagliata. Una buona parte dei partecipanti, soggetti effettivamente all’esperimento, ha ceduto alla risposta della maggioranza. Studi successivi hanno confermato queste scoperte ma hanno anche mostrato che il grado di conformità è influenzato da variabili di tipo culturale⁹.
Gli stessi studi hanno inoltre messo in evidenza che tale grado di conformità è influenzato dal grado di ambiguità dello stimolo. Meno chiara è la risposta corretta, più probabile sarà che i soggetti si conformino alla maggioranza. Dovremmo quindi aspettarci che quando passiamo da problemi fattuali come la lunghezza delle linee a questioni più complesse, incluse questioni di tipo valutativo, le persone avranno una probabilità maggiore di conformarsi. Il che equivale a dire che anche se tutti ammirano la celebre fiaba I vestiti nuovi dell’imperatore, è improbabile che il singolo cittadino dichiari che l’imperatore è nudo. Sappiamo quanto il conformismo possa essere pericoloso in certe circostanze. Un esempio è la caccia delle streghe. Tenendo conto dell’attuale incidenza delle streghe (dove “strega” è da intendere nel modo in cui i cacciatori di streghe la intendevano), la caccia dovrebbe avere lo stesso successo della caccia degli unicorni. Tra il 1450 e il 1700 decine di migliaia di presunte streghe furono trovate e uccise10. Da allora la caccia delle streghe fu sporadica e continua a essere così anche nei nostri giorni11.
Gli esseri umani hanno anche la propensione a obbedire all’autorità e spesso a farlo anche quando viene chiesto loro di fare cose terribili12. La più parte ha difficoltà a credere di appartenere a coloro che obbedirebbero agli ordini commettendo delle atrocità. Mentre è vero che alcune persone che hanno la forza di resistere all’autorità, laddove è giusto lo fanno, non è vero che tutti coloro che pensano di rientrare in quella categoria siano così eccezionali come pensano. Infatti, in un famoso esperimento psicologico, che ha dimostrato questa tendenza a obbedire all’autorità, alcuni soggetti che avevano pensato bene di se stessi rimasero scioccati nello scoprire di avere eseguito gli ordini. Uno di loro cominciò a chiamarsi “Eichmann”13, in riferimento a Adolf Eichmann il quale, durante il processo, si difese [dichiarando] di stare obbedendo agli ordini14.
Un esperimento persino più indicativo di come gente comune possa velocemente commettere azioni barbariche è l’esperimento della prigione di Stanford15. In questo esperimento, a ventiquattro studenti volontari del tutto sani, furono assegnati a caso i ruoli di guardie o di prigionieri in una falsa prigione ubicata nei sotterranei del Dipartimento di psicologia di Stanford. Entrambi i gruppi si adattarono piuttosto velocemente ai loro rispettivi ruoli, con le “guardie” che umiliavano e torturavano psicologicamente i “prigionieri”. Il trattamento dei “prigionieri” diventò terribile a tal punto che l’esperimento dovette essere interrotto prematuramente dopo soltanto sei giorni.
Ho messo in evidenza come gli esseri umani non sono né così intelligenti né così bravi come spesso credono di essere. Tutto questo non vuole negare che ci siano anche delle qualità positive. Per esempio, possiamo (anche se non lo facciamo sempre) avanzare ragioni di grado superiore rispetto agli altri animali. Possiamo provare empatia e agire di conseguenza (come anche alcuni animali fanno). Mi sono concentrato sulle qualità negative non per negare l’esistenza degli aspetti positivi, ma per evidenziare ciò che viene ignorato nella concezione generale della nostra specie16. Inoltre, il lato oscuro è il più primitivo. Per evitare le sue manifestazioni, bisogna compiere notevoli sforzi nell’educare le persone, nel costruire e nel mantenere circostanze e istituzioni che inibiscano questi sbandamenti morali ai quali essi sono propensi.
Homo Perniciosus
Gli esseri umani potrebbero superare gli altri animali rispetto alle loro facoltà intellettive, ma sorpassiamo le altre specie anche rispetto alle nostre potenzialità distruttive. Molti animali fanno del male, ma noi siamo la specie più letale che abbia mai abitato il nostro pianeta. È significativo che non facciamo riferimento a questa impareggiabile caratteristica nell’identificare noi stessi. È evidente che siamo Homo Perniciosus – un essere pericoloso e distruttivo17.
In ciò che segue, illustrerò prima di tutto quanto danno gli umani rechino. Considererò tre tipologie di un simile danno: nei confronti degli altri umani; nei confronti degli animali; e nei confronti sia degli esseri umani sia degli animali mediante il danno [provocato] all’ambiente. Sebbene sia impossibile, ovviamente, fornire un elenco completo delle potenzialità che l’umano ha di distruggere, ho intenzione di esaminare un’ampia gamma di casi e di fornire alcuni esempi.
Disumanità nei confronti degli umani
Gli esseri umani hanno da sempre danneggiato altri esseri umani. Le prime forme di distruzione si verificavano su scala relativamente piccola, se non altro perché c’erano pochi individui all’inizio della storia della nostra specie. I mali inflitti erano, con molta probabilità, aggressioni o omicidi compiuti da singoli individui o piccoli gruppi nei confronti di singoli individui o di piccoli gruppi. In altre parole, il portato complessivo [della loro] devastazione sarebbe stato molto simile a quella visibile oggi in alcune specie di primati non umani.
Sebbene gli umani continuino a infliggere questi tipi di danni, quando oggi pensiamo alla distruzione che Homo sapiens semina, siamo più propensi a pensare prima di tutto a una distruzione su larga scala. La nostra specie ha ucciso milioni di altri uomini in guerre e altre atrocità di massa, quali la schiavitù, le epurazioni e i genocidi.
Il numero è aumentato, in parte a causa della forte espansione del numero di coloro che sono da uccidere, in parte perché le capacità distruttive sono significativamente cresciute. Detto ciò, è allarmante quanto possano essere letali gli umani armati in modo primitivo.
Diverse centinaia di milioni di uomini sono state uccise in omicidi di massa. Nel ventesimo secolo, i genocidi includono quelli contro gli Herero nell’Africa tedesca del Sud-Ovest; gli Armeni in Turchia; gli ebrei, i rom e i sinti in Germania e nell’Europa occupata dal nazismo; i tutsi in Ruanda; i musulmani bosniaci nell’ex Jugoslavia. Altri omicidi di massa del ventesimo secolo furono quelli perpetrati da Mao Zedong, Joseph Stalin, Pol Pot e i khmer rossi. Ma questi non furono affatto i primi. Nel tredicesimo secolo, Genghis Khan, per esempio, fu responsabile dell’omicidio dell’11,1% degli abitanti della terra durante il suo regno18.
Numeri così alti non devono escludere i dettagli raccapriccianti su come queste morti sono state provocate e sulle sofferenze che le vittime hanno patito prima di morire. Alcuni uomini ne hanno uccisi altri facendoli a pezzi, accoltellandoli, impiccandoli, picchiandoli, decapitandoli, sparando, facendoli morire di fame o di freddo, soffocandoli, annegandoli, schiacciandoli, asfissiandoli, avvelenandoli o bombardandoli.
Qualche volta le vittime vengono uccise una alla volta mentre altre volte in un’unica azione di massa. Benché talvolta l’omicidio si sia verificato a distanza laddove la sofferenza può essere camuffata dal carnefice, in altre occasioni tocca da vicino; il killer, coperto di sangue e fatte saltare le teste delle sue vittime, continua nel suo intento distruttivo provocando ancora vittime.
Gli omicidi di massa non sono certamente l’unica tipologia di danno inflitta dalla nostra specie. Ci sono omicidi di portata inferiore ma ci sono [anche] altre barbarie oltre l’omicidio. Gli umani stuprano aggrediscono, frustano, mutilano, marchiano, rapinano, riducono in schiavitù, torturano e tormentano altri esseri umani. Vengono inflitte punizioni brutali a causa di crimini effettivamente compiuti, a volte semplicemente a causa delle posizioni religiose o politiche, della razza o dell’etnia, dell’orientamento o delle pratiche sessuali.
Ci sono i cosiddetti “delitti d’onore” e le mutilazioni perpetrate per la violazione effettiva o sospetta di rigide norme. Gli esseri umani hanno offerto sacrifici umani alle loro divinità.
È difficile cogliere la profondità e la molteplicità delle barbarie. Consideriamo, per esempio, il caso di René de Permentier, un ufficiale belga del Congo nel 1890:
Fece abbattere tutti i cespugli e gli alberi attorno alla sua casa…così che dal suo portico potesse usare i passanti per esercitarsi nel tiro a bersaglio. Se nel cortile, che le prigioniere avevano spazzato, trovava una foglia, ordinava la decapitazione di una dozzina di loro. Se nel bosco trovava un sentiero non ben tenuto, avrebbe ordinato l’uccisione di un bambino nel villaggio più vicino19.
O consideriamo cosa fu fatto ad Ahmad Qabazard, un diciannovenne del Kuwait trattenuto dagli iracheni. I suoi genitori furono avvertiti che sarebbe stato presto liberato. Quando sentirono un’auto avvicinarsi, si recarono alla porta:
Quando Ahmad uscì dall’auto, si accorsero che le sue orecchie, il suo naso e i genitali erano stati tagliati. Uscì fuori dall’auto con gli occhi nelle mani. Poi gli iracheni gli spararono una volta nello stomaco e una volta in testa, e dissero alla madre di assicurarsi di non spostare il corpo per tre giorni20.
I miliziani del Congo tagliarono la carne di alcune vittime ancora vive e obbligarono loro a mangiarla, un’esperienza macabramente nota come “autocannibalismo”21. Altre pratiche includono l’asportazione del feto dall’utero per poi farlo mangiare ai suoi amici, inserire l’estremità di un fucile AK-47 nella vagina e premere il grilletto22. Quasi ogni anno, i combattenti della Lord’s Resistance Army «colpiscono a morte centinaia di persone saccheggiandone i villaggi e rapendone i bambini»23.
In alcuni contesti il rapimento dei bambini è il primo passo per renderli bambini-soldati. Talvolta sono costretti a uccidere i membri della loro famiglia24 o di altre, di solito in modi raccapriccianti. In un caso, a un ragazzo fu detto di pestare a morte il bambino di una donna che conosceva25. Se i coscritti rifiutano gli ordini vengono brutalmente picchiati e persino uccisi. L’indottrinamento è un’altra componente del loro “allenamento”. Si stima che ci siano attualmente circa trecentomila bambini soldati nei conflitti in Asia, in Africa, in America e altrove26.
In altre situazioni coloro che sono stati rapiti sono stati venduti in schiavitù. Sono stati allontanati dai loro familiari e talvolta mandati molto lontano, spesso in condizioni fetide e sovraffollate nelle quali molti hanno perso la vita. Sono soggetti a percosse, stupri e altri oltraggi. Né l’interesse commerciale degli schiavi significa che non venissero uccisi. Una volta, 133 schiavi ancora vivi vennero buttati in mare su ordine del capitano che li aveva assicurati per £30 dollari ciascuno27.
Alcuni pensano che la schiavitù non venga più praticata. Ma persiste persino in alcune giurisdizioni in cui è considerata illegale28. In alcuni paesi, le ragazze sono ancora vendute per scopi sessuali. Una giovane della Cambogia, Long Pross, rapita e obbligata a prostituirsi ha raccontato del modo in cui veniva picchiata e soggetta a elettroshock. Subì due aborti. Quando il secondo le lasciò molto dolore, implorò di potere riposare. In risposta, il suo “protettore” le cavò l’occhio destro29.
Ora, si potrebbe obiettare che per quanto terribili siano queste azioni, è una minoranza a comportarsi effettivamente così. In risposta a questo pensiero consolatorio, bisogna considerarne pochi altri, meno confortanti. In primo luogo, alcuni dei danni che gli umani infliggono ad altri esseri umani non sono così aberranti come uno potrebbe pensare. Per esempio, c’era un tempo in cui il possesso degli schiavi era diffuso. I commercianti di schiavi potrebbero essere stati una piccola minoranza, ma i proprietari erano di gran lunga più comuni. Lo stupro rimane diffuso ancora oggi. Probabilmente gli stupratori sono una minoranza, ma non è una minoranza trascurabile.
In secondo luogo, anche quando le persone non sono perpetratori spesso hanno facilitato le efferatezze commesse da altri. Potrebbero, per esempio, supportare la tortura o le punizioni cruente, o che i poliziotti discriminino altre persone sulla base della loro razza, della religione, del sesso, o dell’orientamento, o chiedere al governo di implementare tali misure pratiche e politiche. Moltissimi sostengono una visione del mondo nella quale il delitto d’onore fiorisce, o nella quale i terroristi sono salutati come eroi. Talvolta la facilità del male deriva non dal sostenerlo ma dalla stupidità, dalla creduloneria, dal dogma o da altri atti sbagliati. Consideriamo, per esempio, i cosiddetti “idioti utili”, quei benintenzionati che supportano una causa senza comprendere quanto sia veramente malvagia. I benintenzionati dell’est che simpatizzarono con i sovietici sono esempi comuni. Molti di loro sarebbero stati sconvolti dalla brutalità e dalle repressioni perpetrate dall’Unione Sovietica, ma la loro ingenuità li ha accecati rispetto alle realtà del regime. Forse le situazioni più tragiche sono quelle nelle quali dei benintenzionati causano inavvertitamente persino più sofferenza. Per esempio, è evidente che l’attenzione dei media occidentali sulle amputazioni [perpetrate] in Sierra Leone le abbia effettivamente incoraggiate da parte di coloro che cercavano l’attenzione dei media30.
In terzo luogo, non dovremmo dimenticare con quanta facilità persone comuni abbiano assunto comportamenti spregevoli. Una situazione di questo tipo si può trovare nelle file di persone che si avventano nei negozi per degli articoli in saldo o dei prodotti con disponibilità limitata. Alla fine del 1998 negli Stati Uniti, Furby (un pupazzo di pezza) fu il pupazzo più richiesto della stagione e i clienti sgomitavano per comprarne uno. Una donna in fila «fu schiacciata alla porta, le sue braccia graffiate in modo grave»31.
In un altro negozio una ragazzina di tredici anni ha riportato che quando prese Furby, una donna le prese le «mani e gliele masticò» per costringerla a lasciarlo32. Il problema della folla violenta di acquirenti è ricorrente33. Un anno, un dipendente di Wal-Mart in Valley Stream, a New York, fu calpestato a morte dai clienti che si erano fiondati in negozio per fare affari34.
Né questo è il peggior tipo di comportamento della folla. I Lynch mobs, che si mobilitano per uccidere, sono esempi noti. I soggetti di questa folla inferocita erano spesso stati membri “rispettabili” della società. Nel 1672 nell’Aia, i fratelli De Witt furono massacrati. L’intenzione della folla era di impiccarli, ma «vennero così spietatamente attaccati che morirono prima di raggiungere il patibolo. I loro corpi furono poi appesi per i piedi, messi a nudo, e letteralmente fatti a pezzi»35. Il filosofo, Baruch Spinoza, «restò sbalordito da queste barbarie, perpetrate non da una qualche banda errante di ladri, ma da una folla di cittadini che comprendeva i rispettabili membri della società piccolo borghese»36.
Sebbene questo specifico esempio e alcuni degli altri che ho fornito appartengano al passato, non si può certamente ritenere che la potenzialità distruttiva più devastante dell’essere umano sia limitata al passato. Ci sono molte prove del danno continuo che gli umani recano37. Inoltre, i riferimenti storici sono spesso validi per il presente e per il futuro. Ciò che le persone hanno fatto nel passato fornisce un segnale del tipo di cose che le persone sono capaci di compiere in certe circostanze. Talvolta circostanze simili riemergono. Una delle ragioni del perché l’olocausto sia così scioccante fu che esso fu pensato e implementato da ciò che era ritenuta una società civile. È ingiustificatamente ottimistico pensare che una civiltà non possa ricadere in tali barbarie. Abbiamo visto prima, quando ho descritto il lato oscuro della natura umana, alcuni degli aspetti del carattere umano che rendono questo possibile. Pertanto, è troppo conveniente convincersi che siano poche le persone malvage responsabili di atti dei quali il resto dell’umanità è incapace. Qualche volta è soltanto una fortuna morale che evita che qualcuno diventi un genocida, per esempio.
Infine, la portata distruttiva dell’umano si dispiega gradualmente e non tutta implica le più terribili atrocità. Ci sono molti altri danni minori e a volte quotidiani che gli esseri umani infliggono ai loro simili. Dicono bugie, rubano, tradiscono, parlano male, non mantengono le confidenze e le promesse, violano la privacy, agiscono in modo ingrato, ambiguo, impulsivo e infedele. Come risultato un bene viene perso o danneggiato, i sentimenti violati, la confidenzialità perduta, la fiducia tradita, ci si sente feriti interiormente. Non si tratta di omicidi, mutilazioni, torture e rapine ma, nonostante ciò, sono dolori che spesso cambiano profondamente la vita. Nei casi più estremi le vittime se la tolgono a causa di questo dolore, ma non è necessario raggiungere quel livello per suscitare la nostra riprovazione morale.
Sebbene gli umani abbiano un senso di giustizia e le società rispondano spesso alle ingiustizie per punire, per rettificare ed evitare future occorrenze, troppo spesso essa prevale. Per esempio, la maggior parte degli autori responsabili delle peggiori efferatezze della storia ha vissuto liberamente la sua vita senza pene. Il 49% ha continuato a vivere fino alla morte naturale e un ulteriore 11% ha goduto di una pensione pacifica. In aggiunta, per l’8% l’unica pena è stata l’esilio38. Consideriamo, ancora, il numero degli stupri non riportati, degli omicidi irrisolti, e di altri crimini per i quali nessuno viene condannato. Spesso coloro che detengono informazioni e coloro i quali si rifiutano di tollerare il cattivo comportamento di persone potenti pagano un caro prezzo39. Spesso i malfattori agiscono impuniti40.
Non dovremmo perdere di vista la miriade di ingiustizie più piccole. Uno di questi responsabili fu l’anatomista Henry Gray, il quale minimizzava sistematicamente il ruolo del suo collaboratore e illustratore, Henry Carter, nella produzione di ciò che divenne noto come Gray’s Anatomy41. Un altro fu Selman Waksman il quale riuscì con successo a sottrarre al suo studente Albert Schatz il merito per la scoperta della streptomicina. Il Dr. Waksman, e non Dr. Schatz, vinse il premio Nobel per la scoperta42. Nonostante i molti tentativi di rettificare l’ingiustizia, il Dr. Schatz morì senza ottenere il riconoscimento che gli spettava. I “cattivi ragazzi” finiscono regolarmente primi. Mancano degli scrupoli che forniscono loro un freno interiore, mentre i freni esterni sono o assenti o inadeguati.
Brutalità nei confronti dei “bruti”
Ogni anno gli umani infliggono indicibili sofferenze e morti a miliardi di animali e la stragrande maggioranza di loro ne è profondamente complice.
Oltre 63 miliardi di pecore, maiali, bovini, cavalli, capre, cammelli, bufali, conigli, polli, papere, oche, tacchini e altri animali simili sono macellati ogni anno per [ragioni di] consumo43. Inoltre, circa 103,6 miliardi di animali acquatici vengono uccisi per usi alimentari e non alimentari44.
La somma di questi numeri – oltre 166 miliardi – non rappresenta il numero totale degli animali uccisi annualmente nelle industrie che producono carne animale. Sono esclusi centinaia di milioni di polli maschi che vengono abbattuti dalle industrie di pollame perché incapaci di produrre le uova. Sembra non esserci alcuna stima del numero di uccisioni annuali a livello globale. Ci sono delle stime per alcune specifiche nazionalità e regioni, inclusi gli Stati Uniti (260 milioni45) e l’Unione Europea (330 milioni46).
Le cifre ufficiali sulla macellazione non includono i cani e i gatti che vengono mangiati in Asia. È più difficile qui ottenere dei numeri affidabili, ma un calcolo stabilisce un valore annuale tra i 13 e i 16 milioni di cani e circa 4 milioni di gatti47. Allo stesso modo sono escluse le “catture accidentali” – animali come tartarughe, delfini, squali, uccelli di mare che finiscono catturati nelle reti anche quando non sono intenzionalmente cacciati. Non ci sono cifre attendibili sul numero di animali uccisi accidentalmente, ma un sottoinsieme di questa tipologia di cattura, quelli eliminati in mare, ammonta a circa oltre 5 milioni di animali marini48.
Le morti della stragrande maggioranza di questi animali sono dolorose e angoscianti. Gli umani uccidono in una varietà di modi milioni di polli maschi. Negli Stati Uniti la maggior parte viene risucchiata ad alta velocità verso una piastra che talvolta è elettrica49. Altrove vengono uccisi per soffocamento o schiacciamento o, nel Regno Unito, mediante gas o macerazione istantanea50. I polli da carne e le galline ovaiole esaurite sono sospese a testa in giù in nastri trasportatori e le loro gole tagliate, i maiali e altri animali sono picchiati e scioccati per costringerli a muoversi verso i macelli, dove verrà loro tagliata la gola o saranno picchiati, qualche volta dopo essere stati storditi ma qualche volta no.
Gli animali marini non se la passano meglio. Questi vengono di solito soffocati a morte una volta fuori dall’acqua, ma soffrono anche durante il tragitto verso la superficie. I pesci rapidamente trascinati [a galla] dai pescherecci risentono del trauma barometrico. Nel loro corpo si formano bolle di gas che provocano forti dolori. Anche le vesciche natatorie si gonfiano. «Talvolta la pressione è così alta che i loro stomaci e intestini sono buttati fuori dalla bocca o dall’ano. Anche gli occhi si storcono e sono spinti in fuori»51. I pesci catturati su scala minore, con esca e filo, risentono del trauma dell’amo dal momento che lottano per la loro vita. Ad alcuni umani piacerebbe credere che i pesci non sentano dolore, ma questa finzione consolatoria, fatta valere per i mammiferi, si indebolisce alla luce dei fatti52. Le morti dei delfini, mammiferi altamente intelligenti, potrebbero essere persino peggiori. Quando non sono catturati accidentalmente ma piuttosto la preda intenzionale del pescatore, vengono guidati verso insenature dove poi sono arpionati.
La sofferenza degli animali per mano dell’uomo non si limita al momento in cui i secondi uccidono i primi. I polli, per esempio, sono allevati in gabbie a batteria dagli spazi estremamente confinati. Non possono spiegare le ali o muoversi intorno. Non possono svolgere nessuna delle attività, quale fare il bagno nella polvere, che compiono istintivamente. Stanno, con non poca scomodità, in un pavimento inclinato di fil di ferro. Poiché tali condizioni danneggiano gli uccelli e li portano a beccarsi gli uni con gli altri, i polli destinati all’allevamento sono sbeccati con una lama incandescente. Quando la produzione di uova di una batteria si riduce, le galline sono stipate e trasportate ai macelli.
I vitelli da carne e le scrofe da parto sono confinate in spazi talmente piccoli che per tutta la durata della loro vita possono a malapena muoversi. Le mucche vengono nutrite con l’ormone della crescita per aumentare la produzione di latte, ma questo spesso causa mastiti – infiammazioni dolorose delle mammelle. Gli esseri umani mutilano vari animali, compresi i maiali e i bovini tagliandone la coda, castrandoli, rimuovendone le corna, marchiandoli, il tutto senza anestesia. Gli animali sono spesso trasportati da camion per lunghissime distanze e spediti in condizioni anguste e ripugnanti per essere poi macellati nelle rispettive destinazioni.
La produzione di cibo non è affatto l’unico contesto nel quale gli animali sono maltrattati. È difficile sapere quanti milioni di animali siano utilizzati in esperimenti scientifici53 ogni anno, ma un calcolo conservativo suggerisce che sono almeno 115 milioni54. Nonostante l’impegno delle “tre R” in scienza – sostituzione (replacement), riduzione (reduction) e raffinatezza (refinement) – almeno alcune nazionalità stanno in verità aumentando il numero di animali utilizzati ogni anno55.
Sono stati svolti molti esperimenti raccapriccianti. È difficile restituire un quadro completo delle torture che gli animali hanno subito, ma alcuni esempi illustrano alcune delle efferatezze compiute sugli animali. Ci fu un tempo in cui gli animali sarebbero stati dissezionati mentre erano pienamente coscienti56. Nei più recenti anni Sessanta, animali coscienti erano soggetti a microonde d’urto che causavano loro l’ingrossamento della lingua, l’indurimento della pelle e, se le temperature erano alte abbastanza, la morte57. In quel decennio e nei successivi, le scimmie venivano esposte a dosi massicce di radiazioni dalle forze armate statunitensi, che provocavano loro «convulsioni, instabilità, cadute, vomito, il torcersi in un’apparentemente interminabile e futile ricerca di una posizione comoda»58.
Sono stati inflitti anche traumi psicologici. Nell’ambito di un noto esperimento infame ([in]famous), cuccioli di scimmia venivano separati dalle loro madri, provocando, sia per la madre che per il cucciolo, livelli severi di stress. Vennero poi privati di qualsiasi contatto con gli altri esseri viventi. Le madri furono sostituite da manichini che facevano esplodere i cuccioli con l’aria, o li scuotevano fino a fargli sbattere i denti, catapultarli dalle gabbie, o pugnalarli con le punte59. Le femmine “allevate” in questo modo venivano poi forzatamente messe incinte. Una volta avuti i loro cuccioli, si rivelavano incapaci – non sorprende – di occuparsi di loro, e invece li aggredivano, li mutilavano e persino li uccidevano60.
Secondo i criteri etici attuali, molti di tali esperimenti non riceverebbero l’approvazione delle commissioni di ricerca sugli animali. Tuttavia, i criteri in corso permettono ancora agli esseri umani di recare danni significativi, inclusa la morte, agli animali. Per esempio, i test per la tossicità (sia per le medicine e sia per i cosmetici) sono compiuti anche laddove il risultato previsto o atteso è la morte, di solito preceduta dalle sofferenze che accompagnano l’itinerario alla morte da avvelenamento. Altri animali sono geneticamente modificati per sperimentare la degenerazione dei neuroni motori61 o, come nei “topi oncologici”62, per sviluppare il cancro. Gli esseri umani eseguono anche interventi sugli animali per produrre cavie su cui sperimentare condizioni dolorose, come la sciatica63, causano sintomi simili a un ictus in molti animali, inclusi ratti, conigli, gatti, cani e scimmie64. Sottopongono gli animali a sostanze quali l’etanolo65, le metanfetamine66 e agli effetti che queste sostanze hanno su di loro. Coloro che compiono tali esperimenti ricevono acclamazioni dalla maggior parte dei loro simili.
Rispetto ai casi in cui la crudeltà è inflitta con indifferenza, persino peggiori sono i casi in cui la crudeltà è compiuta per divertimento. Pensiamo all’adescamento dei tori, degli orsi, dei tassi e di altri animali. L’animale adescato viene legato a un palo e poi attaccato dai cani per il piacere degli spettatori umani. I combattimenti dei galli, i combattimenti dei cani e le corride continuano persino oggi.
Anche atri “sport” infliggono sofferenza e morte agli animali anche laddove questo non è l’obiettivo. I cavalli vengono frustrati in pista per invogliarli a correre più veloce. Gli sono iniettate droghe per farli performare meglio, spesso illegalmente. Si rompono spesso le ossa mentre corrono e sono infine abbattuti67. Alcuni cavalli molto anziani o deboli per correre sono spediti nei macelli. Altri animali che soffrono a causa del divertimento degli umani sono quelli confinati negli zoo o fatti esibire al circo.
Anche quegli animali con i quali gli esseri umani hanno i legami più stretti – gli animali da compagnia come cani e gatti – non sono immuni dai comportamenti maligni su scala colossale. Alcuni esseri umani li confinano in spazi piccoli, li picchiano, e sbagliano a farli muovere o a nutrirli adeguatamente. Le possibilità di violenza sono infinite. Per esempio, Henry Morton Stanley, il famoso esploratore del XIX secolo, tagliò la coda del suo cane, la cucinò e gliela diede in pasto68. Terribili crudeltà persistono nei nostri tempi. Nell’agosto 2006, una donna in Inghilterra tentò di annegare un cucciolo nell’acqua bollente. Il cucciolo sopravvisse a quell’attentato e fu poi lasciato morire, [morte] che richiese «forse fino a una settimana»69. Recentemente un uomo ha ucciso un cane cucinandolo al forno70, e un altro ha decapitato il gatto con un machete71. Ci sono migliaia di altri episodi simili.
Milioni di cani e di gatti sono abbandonati ogni anno. Nei canili nei quali sono mandati, la stragrande maggioranza viene uccisa perché non si riesce a trovare una casa per loro72. È sorprendente che nel contesto di così tanti animali domestici non voluti, gli esseri umani li facciano riprodurre attivamente, visto che ciò incrementa il problema. Qualche volta queste attività di incrocio sono informali e in piccola scala. Un problema molto più ampio, comunque, sono i cosiddetti “allevamenti canili” (o “allevamenti di gatti”), che producono un gran numero di animali spesso cresciuti in condizioni povere e senza la giusta attenzione. Lo scopo è di massimizzare i profitti per gli allevatori mentre si dà scarsa, se non del tutto assente, attenzione al benessere degli animali.
La propensione per gli animali “di razza” reca anche sofferenza. Molti di questi animali soffrono per problemi congeniti che compromettono la loro capacità di respirare, rendono la colonna vertebrale vulnerabile alle lesioni, o le loro anche alla displasia73, per esempio. Altre bizzarre preferenze estetiche portano i cani ad avere la coda o le orecchie tagliate, spesso senza anestesia. Si privano spesso anche degli artigli per la comodità degli esseri umani con cui dividono la casa.
Questi tipi di danni non includono l’insieme degli altri modi nei quali la nostra specie diffonde miseria. Per esempio, in Asia, gli orsi sono munti per la loro bile, una sostanza ancora usata nella “medicina” tradizionale, anche se non c’è nessuna evidenza medica dimostrata. Per facilitarne la raccolta, gli orsi vivono rinchiusi in “gabbie di schiacciamento” nelle quali non possono stare in piedi o muoversi. In queste condizioni i muscoli si atrofizzano e impazziscono. Il catetere causa loro dolore, le ferite possono infettarsi portando spesso alla morte.
Ancora più diffuso dell’abuso degli orsi è l’industria della pelliccia. Le vittime sono visoni, volpi, conigli, cani, gatti e altri animali. Molti di questi sono cresciuti in allevamenti di pelliccia in condizioni che causano loro molte sofferenze. Vengono poi uccisi affinché gli esseri umani possano indossarne le pelli. Alcuni sembrano pensare che la moda sia una buona ragione per fare soffrire o morire gli animali.
Tossici per l’Ambiente
Alcuni dei danni causati agli altri animali umani e non umani passano per gli effetti devastanti che gli esseri umani hanno sull’ambiente. Per gran parte della storia umana, la portata del danno è stata locale. I gruppi defecavano nelle loro immediate vicinanze. Negli ultimi secoli l’impatto della nostra specie è aumentato esponenzialmente e la minaccia è adesso di dimensioni globali. Tale minaccia è il prodotto di due fattori correlati – la crescita esponenziale della popolazione combinata con il significativo aumento degli effetti negativi pro capite. Quest’ultimo è il risultato dell’industrializzazione e dell’aumento dei consumi.
Ciò implica livelli mai visti di inquinamento. I rifiuti sono rilasciati in enormi quantità nell’aria, nei fiumi, nei laghi e negli oceani, con ovvie conseguenze per quegli umani e quegli animali che ne respirano l’aria, vivono vicino una sorgente acquifera, o prelevano acqua da quelle fonti. Le emissioni di anidride carbonica stanno avendo un “effetto serra”, portando al surriscaldamento globale. Ne segue, il progressivo scioglimento dei ghiacciai, l’innalzamento dei livelli del mare, il cambiamento climatico. Lo scioglimento dei ghiacciai sta privando alcuni animali del loro habitat naturale. L’alzamento dei mari mette in pericolo le comunità costiere e minaccia di travolgere le piccole isole di bassa quota, come Nauru, Tuvalu e le Maldive. Un tale scenario sarebbe naturalmente devastante per i loro cittadini e gli altri abitanti. L’assottigliamento dello strato di ozono espone le specie che abitano il pianeta a livelli più forti di raggi ultravioletti. Gli esseri umani stanno occupando le regioni selvagge, portando all’estinzione di animali (e piante). La distruzione delle foreste pluviali contribuisce al riscaldamento globale rimuovendo alberi che aiuterebbero a contenere l’aumento dei livelli di diossido di carbonio.
Alcuni certamente negano che gli esseri umani stiano provocando almeno alcuni degli effetti negativi sull’ambiente. Ad ogni modo, non è questo il posto – e io non sono la persona – per argomentare contro i negazionisti del cambiamento climatico. Coloro che negano che gli esseri umani stiano avendo un effetto deleterio sull’ambiente potrebbero semplicemente escludere tali danni. La nostra specie è talmente distruttiva anche senza questi danni che la seconda premessa può facilmente sopravvivere a tale esclusione. Al contrario, coloro che riconoscono che gli esseri umani stiano danneggiando l’ambiente possono semplicemente aggiungere questo alla lista precedente74.
La premessa normativa
Abbiamo visto che gli esseri umani sono responsabili di un’enorme quantità di sofferenza e di morte. Avendo dimostrato la verità della seconda premessa, mi volgo adesso alla prima premessa dell’argomento morale di tipo misantropico per l’antinatalismo:
Abbiamo il (presunto) dovere di desistere dal portare al mondo nuovi membri di una specie che causa (ed è probabile che continuerà a farlo) un’ampia quantità di dolore, di sofferenza e di morte.
La prima cosa che occorre notare su questa premessa è ciò che essa non afferma. Non afferma che dovremmo abbattere i membri di una specie pericolosa. Né che abbiamo il dovere di impedire agli altri di portare al mondo nuovi membri di una specie pericolosa. L’affermazione è assai più modesta. Essa indica che bisognerebbe desistere dal portare esseri simili al mondo.
Affinché questa premessa sia vera non è necessario che ogni singolo membro della specie causi dolore, sofferenza e morte. Per vedere perché le cose stanno così, consideriamo un altro presunto dovere: il dovere di non guidare se il semaforo è rosso. Abbiamo quest’obbligo perché guidare quando il semaforo è rosso è pericoloso, sebbene tale condotta non provochi sempre un danno.
La premessa normativa è neutra rispetto al fatto che la specie in questione sia la nostra o un’altra. A tal proposito è interessante notare con quanta convinzione si accetterebbe la premessa se la specie non fosse umana. Immaginiamo, per esempio, che alcuni allevino una specie di animali non umani tanto distruttiva (nei confronti degli umani e degli altri animali) quanto la specie umana. Ci sarebbe una generale e condivisa condanna di coloro che allevano questi animali. Oppure immaginiamo che alcuni scienziati replichino, e mettano in circolo un virus che causa tanta sofferenza e morte quanto quella che gli umani recano. Ancora, ci sarebbe poca esitazione nel condannare un simile comportamento75.
La domanda allora è se faccia differenza [il fatto che] la specie altamente distruttiva sia la nostra. Nel dare una risposta affermativa, alcuni potrebbero sostenere che c’è qualcosa di paradossale nell’affermare che abbiamo il dovere di desistere dal portare al mondo membri di una specie che è dannosa per sé stessa. C’è, da questo punto di vista, qualcosa di strano nel richiamare il dolore causato agli esseri umani da parte dei loro simili come ragione per desistere dal crearli. In altre parole, l’argomento misantropico sembra essere in conflitto con quello filantropico. Se i membri della specie sapiens meritano di essere protetti dal danno allora non sono così pericolosi da non doverli replicare. E se sono tanto cattivi quanto la seconda premessa suggerisce, allora non dovremmo considerare il danno che recano a se stessi come rilevante nella prima premessa.
Questa linea argomentativa fallisce. In primo luogo, il danno che homo sapiens causa agli esseri umani è soltanto una parte del danno che gli umani compiono. Siamo estremamente nocivi anche per le altre specie. Quindi, anche se potessimo non citare il male che gli umani recano ai loro simili, per gli scopi dell’argomento morale e misantropico, la tesi sarebbe ancora sostenibile a causa della portata del danno che gli umani causano agli animali. Questo certamente implica che gli interessi degli animali siano moralmente rilevanti. Ci sono argomenti molto forti per questa conclusione ma non li discuterò qui76.
In secondo luogo, è un errore confondere le nostre attitudini nei confronti delle vittime e le nostre attitudini nei confronti dei perpetratori – anche quando le vittime sono anche perpetratori. La raccomandazione di mantenere queste attitudini separate non è inusuale. Nelle società civilizzate si è d’accordo che ci sono dei limiti in ciò che potremmo fare anche nei confronti dei peggiori perpetratori, non consideriamo i perpetratori di minore portata. Coloro che torturano o che stuprano le loro vittime prima di ucciderle non sono soggetti a un trattamento simile da parte dello Stato (almeno nelle società civilizzate). Questo perché il perpetratore rimane moralmente rilevante nonostante le sue azioni e, da questo punto di vista, ci sono dei limiti su ciò che possiamo fare nei confronti di esseri moralmente rilevanti. La separazione delle attitudini non si limita al contesto delle punizioni. Una donna può essere colpevole di avere aggredito fisicamente suo figlio, ma questo non significa che non dovremmo preoccuparci delle aggressioni fisiche che subisce dal marito, o che non dovremmo occuparci della violenza che lui subisce da parte di altri. Dovremmo preoccuparci del danno inflitto persino a coloro che infliggono un danno agli altri. Questo punto diventa ancora più importante quando vengono imposte pene più grandi a dei perpetratori di minore entità. L’argomento filantropico e l’argomento misantropico non sono quindi incompatibili. Possiamo credere sia che sarebbe meglio se gli umani non subissero il dolore di esistere sia che non ci fossero umani a infliggere dolore.
Ora, si potrebbe obiettare che ciò che è strano dell’argomento morale misantropico sia il modo particolare mediante il quale raccomanda di evitare il dolore. Evitare di danneggiare gli esseri umani evitando gli esseri umani stessi. Questa obiezione avrebbe maggiore forza se ci fossero prospettive ragionevoli di ridurre la capacità distruttiva degli esseri umani a livelli trascurabili alquanto tempestivamente e poi garantire che non salga nuovamente. Se fosse [questo] il caso allora si potrebbe affermare che invece di evitare gli umani dovremmo ridurre la loro potenzialità distruttiva. Nei fatti, tuttavia, non possiamo aspettarci che la componente distruttiva dell’umano venga mai ridotta a un simile livello. La natura umana è troppo fragile e le circostanze che tirano loro fuori il peggio sono troppo pervasive e con un’alta probabilità di rimanere tali. Anche dove si possono realizzare delle istituzioni che tengano a freno i peggiori eccessi della nostra specie, esse rimangono sempre vulnerabili all’entropia morale. È un’utopia ingenua pensare che una specie tanto distruttiva quanto la nostra smetterà – o quasi, ma smetterà – di essere distruttiva.
Sono troppo pessimista? Dopo tutto, si dice che i tassi di violenza stiano costantemente diminuendo e adesso ce ne sono molte di meno rispetto a quante se ne verificavano ai tempi della preistoria77. Questa traiettoria non soppianta il pessimismo implicito nell’argomento misantropico. Finora, è soltanto il tasso di violenza a essere diminuito. Ormai le persone hanno meno probabilità rispetto a prima di subire violenza78. Ma la quantità di sofferenza e di morte inflitta è complessivamente aumentata, prima di tutto perché ci sono molte più persone a infliggere e a soffrire dolore per mano altrui. Non creare nuovi esseri umani significherebbe che ce ne saranno di meno a essere danneggiati e dunque, complessivamente, meno dolore. Mentre i tassi di violenza sono importanti, la somma totale di violenza è importante almeno quanto la decisione di generare nuovi esseri. Ci sarebbe meno violenza se ci fossero meno umani.
Anche se restringessimo la nostra attenzione al tasso di violenza, il suo valore potrebbe ancora aumentare. Considerata la natura di homo sapiens, non possiamo presumere che questa tendenza sia inflessibile. Anche se mettessimo da parte quella preoccupazione, i tassi attuali sono lontani dall’essere trascurabili nonostante la loro riduzione. Anche se non fosse ingenuo credere che nel lungo periodo le potenzialità distruttive potrebbero essere ridotte a livelli trascurabili, sarebbe comunque inaccettabile portare al mondo nuovi esseri umani che nel frattempo causerebbero molto dolore, sofferenza e morte.
Un presunto dovere
Se il mio argomento finora è corretto, allora si presume che abbiamo il dovere di desistere dal portare al mondo nuovi esseri umani. È possibile disfarsi di questa supposizione?
Coloro che rispondono di sì, potrebbero suggerire che mentre le potenzialità distruttive degli umani creano il presupposto, tale presupposto può essere superato dal bene che gli stessi umani compiono. Una versione alternativa sostiene che il bene è abbastanza diffuso da potere regolarmente (anche se non sempre) vincere l’ipotesi anti-procreativa; considererò prima questa idea.
Tanto più regolarmente un presupposto può essere confutato, tanto meno chiaro è che un presupposto sia effettivamente tale. Tuttavia, l’ipotesi contro la generazione di nuovi membri di una specie così distruttiva come la nostra deve sicuramente essere [un’ipotesi] forte. Perciò, a coloro che la ritengono regolarmente superabile spetta l’onere della prova e dimostrare che l’umanità compie abbastanza bene da oltrepassare tutto il danno che causa. Non sono ottimista sul fatto che questo onere possa essere affrontato.
Certamente in merito al trattamento degli animali, la bilancia pesa fortemente a nostro sfavore. Sebbene sia vero che alcuni compiono del bene nei confronti degli animali, gran parte di questo consiste semplicemente nel mettere loro in salvo dal maltrattamento degli altri umani. Tali benefici non possono essere usati per compensare il male dell’Homo perniciosus. Se la nostra specie non ci fosse a infliggere dolore, questi benefici non sarebbero necessari. Certamente gli umani conferiscono qualche altro vantaggio, per esempio le cure dal veterinario per i loro animali da compagnia. Ma il numero di animali che le ricevono e la quantità di bene compiuta è di gran lunga superata dal male che gli umani compiono nei [loro] confronti.
La nostra specie elargisce più benefici per i suoi simili di quanto facciano per le altre. Tuttavia, mi sembra chiaro che il bene che compiono non sia sufficiente a oltrepassare il presunto dovere contro la generazione di nuovi esseri. Non ci potrebbero essere argomenti convincenti per provare ciò a coloro che la pensano diversamente. Si possono tuttavia fare una serie di considerazioni a supporto del mio giudizio. In ultimo, queste considerazioni mostrano che coloro che pensano che l’ipotesi anti-procreativa sia vinta non riescono a dimostrare che sia così.
Prima di tutto, i vantaggi che gli umani forniscono agli altri umani devono compensare non solo il danno recato loro ma anche quello causato agli animali, e questi danni sono enormi. Quando i livelli di distruzione sono così alti, la quantità di benefici che si dovranno dimostrare per eliminare il presunto dovere è immensa. Se i pro-natalisti ritengono infatti che il bene che gli umani compiono superi le terribili atrocità che ho descritto, allora abbiamo bisogno di qualche dettaglio esplicito. Approssimativamente quanto bene supera lo smembramento di un essere vivente? Quanto bene supera gli stupri di massa? Quanto i genocidi in Ruanda o le purghe di Stalin? È quando si ricordano concretamente tali atrocità piuttosto che parlarne astrattamente come del «male che gli umani compiono» che l’affermazione secondo la quale queste efferatezze sono superate si rivela indecente.
Inoltre, abbiamo bisogno di capire cosa significa che il bene supera il male. Potrebbe non essere così semplice come sembra. Per esempio, immaginiamo di avere scoperto che se si concepisse un bambino, da adulto questi ucciderà qualcuno. Quante vite dovrebbe salvare durante il corso della sua esistenza (che non sarebbero altrimenti state salvate) questa persona potenziale per superare l’ipotesi di non portarlo al mondo? Dubito che quel numero sia due o qualcosa di simile.
Questo esempio indica che la nozione di «bene che supera il male» è più complicata di come all’apparenza potrebbe sembrare. Ora, si obietterà forse che questo caso particolare rappresenta una semplice analogia rispetto al problema in questione. Che le cose stiano o meno così, si può fare lo stesso identico discorso per il caso considerato. Pertanto, una specie che in un certo periodo uccide n-miliardi di animali umani e non-umani non si redimerebbe salvando nello stesso arco di tempo n-migliaia + 1 di vite.
Forse alcuni utilitaristi, in ciascuno dei casi menzionati, sosterrebbero che salvare una sola vita in più sarebbe sufficiente per compensare le vite spente. Tuttavia, gli utilitaristi non si impegnano in tale direzione e qualsiasi forma di utilitarismo adottata risulterebbe semplicistica. Una visione più sfumata riconoscerebbe che di solito (anche se non sempre) uccidere ha effetti secondari anche peggiori rispetto a fallire nel salvarne delle altre. Un omicida, per esempio, incute più paura di una persona che non riesce a salvare nessuna delle vite che potevano essere salvate.
I non-utilitaristi avrebbero ulteriori ragioni per accettare una concezione più complicata di ciò che si considera per «bene che supera il male». Per loro, considerazioni come la violazione dei diritti potrebbero avere un costo morale che non viene compensato salvando poche più vite di quante se ne perdono. Almeno da un punto di vista non utilitaristico, ci potrebbe essere una soglia di dolore superata la quale nessuna quantità di bene potrà compensarlo. E se ci fosse una tale soglia, gli esseri umani probabilmente la supererebbero.
Ancora, alcuni benefici sono discutibili per stabilire se il presupposto [anti-procreativo] venga battuto. Per comprendere quali sono, consideriamo due intersezioni distinte:
1 (a) benefici per coloro che già esistono;
(b) benefici per le persone future che verranno portate a esistenza solo se il presunto dovere contro la loro generazione verrà eliminato.
2 (a) ottenere un beneficio evitando il dolore;
(b) ottenere un beneficio donando qualche bene (intrinseco).
I benefici compresi tra l’intersezione di 1(b) e 2(a) sono discutibili79. Lo sono in quanto quelli che rientrano in questa intersezione possono essere raggiunti in due modi: (1) ignorando il presupposto [di non generare] e generando persone che eviteranno il danno; (2) rimettendosi all’ipotesi [non generativa] e non portando al mondo le persone che subiranno il danno. Per questo motivo, questi non sono benefici netti derivanti dalla procreazione di nuovi esseri umani. Ciò significa che non rappresenterebbero un vantaggio rispetto alla situazione che risulterebbe dall’ipotesi [contraria] di non generare nuovi esseri umani. Pertanto, non dovrebbero essere presi in considerazione nel decidere se tale presunto dovere sia superato o no.
Almeno nelle condizioni attuali, la generazione di ogni nuovo individuo o di ogni nuovo gruppo di individui non produce benefici con la stessa quantità in cui produce danni. Considerate le attuali dimensioni della popolazione e i livelli attuali di consumo, ogni nuovo individuo o gruppo di individui aumenta esponenzialmente la quantità di sofferenza e di morte negli animali e, attraverso l’impatto ambientale, il danno provocato ai suoi simili (e agli [altri] animali). Tale danno in più causato da ciascun umano generato potrebbe essere impercettibile ma è pur sempre una somma che quando si aggiunge alle altre impercettibili, diventa percepibile. Tuttavia, la somma di ogni nuovo individuo o gruppo di individui non apporta benefici. La maggior parte del bene compiuto poteva essere raggiunto da meno persone. Perciò, anche se non sempre generare nuovi esseri comporta un danno netto, è certamente un danno netto quando la popolazione umana è abbastanza numerosa (e distruttiva).
Per queste ragioni rifiuto l’idea che si possa superare con regolarità l’ipotesi antiprocreativa. In risposta, coloro che pensano di poterlo superare potrebbero ripiegare su una versione meno ambiziosa di questa visione – e cioè, che tale presupposto possa occasionalmente essere oltrepassato. Pertanto, i procreatori potenziali potrebbero essere d’accordo che l’umanità sia in generale una specie molto pericolosa. Tuttavia, potrebbero sostenere che è molto più probabile che la loro prole potenziale compirà abbastanza bene e poco male per eliminare il presunto dovere antiprocreativo80.
Dipende da ciò che consideriamo essere «abbastanza bene e poco male», potrebbe essere vero per alcuni (un piccolo numero) individui potenziali. Possiamo comunque aspettarci con certezza che la maggior parte dei procreatori potenziali non riterrà che la sua prole potenziale rientrerà in questa categoria. L’attitudine ottimista, insieme alla tendenza a giustificare che l’azione che si vuole compiere produrrà un bene maggiore, condurrà la maggioranza dei procreatori potenziali (o almeno la vasta maggioranza di coloro che pensano prima di procreare) alla conclusione che il presunto dovere dell’argomento misantropico verrà battuto nel loro caso. La stragrande maggioranza di loro si sbaglierà. Coloro che ne dubitano dovrebbero considerare gli effetti distruttivi che ciascuno ha sugli animali e sull’ambiente. Abbiamo visto che ben oltre 166 miliardi di animali vengono uccisi ogni anno per essere consumati o nelle industrie che forniscono tale consumo. La stragrande maggioranza degli abitanti sul pianeta sta contribuendo a questi omicidi e alla sofferenza che li precede. Con l’eccezione dell’India, dove una significativa parte degli abitanti non mangia carne81, negli altri paesi solo una minima parte è vegetariana o vegana82. Ciò significa che, in media, ogni consumatore di carne è responsabile per le morti (e le sofferenze) di almeno ventisette animali ogni anno83 – che ammonta ad almeno 1690 animali lungo tutto il corso della vita84. Si tratta di una stima per difetto, ma, nonostante ciò, rappresenta molta distruzione per un singolo individuo.
Ogni nuovo individuo ha anche un impatto sull’ambiente e perciò su quegli esseri senzienti che risentono [di tale] danno. Nei Paesi sviluppati, l’impatto di ogni singolo individuo è notevole. Negli Stati Uniti, per esempio, una persona produce in media 28,6 tonnellate di CO2 all’anno85. Nei Paesi in via di sviluppo le emissioni pro-capite sono più basse, ma non sono pari a zero. In Bangladesh e in India, le medie annuali di emissioni di anidride carbonica di una singola persona corrispondono, rispettivamente, a 1.1 e a 1.8 tonnellate86. Ogni nuovo bambino contribuirà quindi all’inquinamento ambientale. Un pronatalista obietterà forse che non potremo aspettarci che la presenza di un nuovo essere vivente non abbia nessuno impatto sull’ambiente [ma] che alcuni di questi sono accettabili. Qualsiasi sia la forza di questo argomento, viene indebolita dall’aumento del numero di umani. Quante più persone ci sono e tanto meno giustificabile sarà aggiungere un ulteriore incremento del danno ambientale. I Paesi in via di sviluppo hanno spesso un elevato tasso di natalità rispetto ai Paesi sviluppati. In queste nazionalità gli individui avranno difficoltà a giustificare le loro continue procreazioni.
L’umanità è un disastro morale. Ci sarebbe stata molta meno devastazione se non ci fossimo mai evoluti. Meno esseri umani ci saranno in futuro, meno devastazione ci sarà.
Conclusione
Gli argomenti antinatalisti variano nella portata delle loro conclusioni. Nella sua forma più radicale l’antinatalismo si oppone nei confronti di qualsiasi procreazione, ma versioni più moderate rifiutano soltanto alcuni casi specifici.
Gli argomenti filantropici generano una conclusione radicale. Essa sostiene che venire al mondo è sempre un male. Dal momento che questo male è effettivamente grave, almeno da alcuni punti di vista, è sempre sbagliato avere figli. (Altre versioni potrebbero permettere un certo tipo di procreazione in quanto parte di un piano che elimini gli esseri umani dall’esistenza87).
La conclusione dell’argomento misantropico è che è potenzialmente sbagliato avere figli. È possibile che questo presupposto venga talvolta confutato. Ho sostenuto che le persone penseranno di poterlo superare molto più spesso di quanto effettivamente accada e che è veramente difficile, se non impossibile, sapere quando questo presunto dovere sia infatti superato. Tuttavia, si può ancora affermare che ci sono circostanze nelle quali un nuovo essere umano produrrà abbastanza bene da oltrepassare il male causato.
Quando l’argomento misantropico viene considerato insieme a quello filantropico scopriamo che il rifiuto della procreazione, specialmente nelle circostanze attuali, è quasi sempre determinato da più fattori.
Appendice
Dal cattivo al brutto: considerazioni (anti)estetiche
Le persone tendono a considerare la nascita di un bambino qualcosa di bello. Ma ci sono buone ragioni per ritenere che sia vero il contrario – e cioè che generare nuove persone è un disastro [anche] dal punto di vista estetico. Queste riflessioni (anti)estetiche non costituiscono un argomento forte contro la procreazione. Queste riflessioni – che in un certo senso sono misantropiche88 – si possono però aggiungere agli argomenti morali che ho già avanzato. Almeno alcune di esse sembrano fornire delle ragioni per avere meno figli sebbene questi non supportano la conclusione che non dovrebbero averne affatto.
Il parto difficilmente è invitante. Non è una bella sensazione: la donna di solito non prova nessun divertimento e non è piacevole nemmeno per il bambino. Né sembra molto bello. Plutarco lo descrive così:
Poiché non c’è niente di così imperfetto, di così indifeso, di così nudo, di così informe, di così disgustoso, di osservare un uomo nascere, al quale solo, si potrebbe quasi dire, la natura non ha concesso nemmeno un passaggio pulito alla luce; ma macchiato di sangue, sporco e somigliante più a uno appena ucciso che a uno appena nato, egli è un oggetto che nessuno [vuole] toccare, o sollevare, o baciare, o abbracciare eccetto colui che lo ama con affetto naturale89.
Agostino di Ippona (o, secondo alcuni, Bernardo di Chiaravalle) ci ricorda che “Inter faeces et urinam nascimur” – siamo nati tra le feci e le urine (o, in modo più colloquiale, tra la merda e la piscia). La nostra [porta di ingresso] nel mondo è localizzata tra gli orifizi dai quali sono evacuate le feci e le urine. Rabbi Akavya ben Mahalalel fa risalire la bruttezza al momento del concepimento o prima. Questi afferma che ciascuno dovrebbe ricordare di venire «da una putrida goccia» [di sperma]90.
Inoltre, ogni nuovo bambino produrrà una enorme quantità di scorie lungo il corso della vita. Una persona produce in media circa 2066 ml di urina91 e almeno 100 grammi92 di feci ogni giorno. Questo ammonta a circa 754 litri di urina e ad almeno 36,5 kg di feci all’anno. Lungo tutta la vita, una persona93 espelle circa 50,969 litri di urina e più di 2467 kg di feci.
Considerata la popolazione attuale94, la produzione annuale di urina supera di gran lunga i 5 trilioni di litri. L’intestino umano al momento contribuisce a più di 256 miliardi di chilogrammi di feci all’anno. Dal momento che la popolazione è in crescita la quantità aumenta ogni anno. Tenendo conto di simili cifre, il contributo complessivo di un nuovo essere umano potrebbe sembrare trascurabile. Ma il totale di tredici cifre è certamente la somma delle decisioni di molti individui di creare più produttori di urine e di feci.
Queste non sono le uniche scorie. Una donna espelle in media 14,97 litri di sangue mestruale durante il periodo di fertilità95, e un uomo eiacula in media 11,08 litri di sperma tra la pubertà e la morte96. È più difficile calcolare la quantità di muco nasale o di saliva, solo una parte dei quali viene espulsa. Alle secrezioni umane si aggiungono i miliardi di fogli di carta igienica sporca, fazzoletti, tamponi e assorbenti. Non tutte le emissioni umane sono solide o liquide. Dalla pubertà in avanti, il corpo tende a fare cattivo odore e bisogna profumarlo per evitare il disgusto olfattivo. Ma la spiacevole realtà dei rifiuti umani deve essere nascosta dalla buona società. [Questi] stessi atti sono tipicamente tenuti nascosti in modo diverso in base alla tipologia di scoria in questione. (Molte persone si sentono libere di espettorare sul marciapiede o in altri posti pubblici, ma il resto di noi ha una cattiva opinione su di loro). Ciò che sopraggiunge dai vari orifizi umani deve essere riposto discretamente.
La bellezza fisica è statisticamente un’eccezione. Poche sono le persone belle anche se la maggior parte di esse non sono ripugnanti. Ma la natura segue una [sua] entropia estetica. L’acne, una vera e propria piaga estetica, si manifesta principalmente – per una crudele ironia – nella parte del corpo più visibile a tutti: il viso. Perdiamo i capelli [nel punto] dove si vedono meglio – sulla parte superiore della testa – mentre crescono nei posti meno attraenti: dalle narici e dalle orecchie, per esempio. Il grasso si accumula. I seni e i glutei si afflosciano. La pelle [invecchia]. La vecchiaia che avanza non è uno spettacolo piacevole. Infine, il corpo che si decompone è così ripugnante, sia visivamente che olfattivamente, che dobbiamo nascondere meticolosamente questi effetti ai nostri sensi eliminando con cura i morti.
I rifiuti e i resti umani non sono il nostro unico attacco estetico. La nostra specie sporca e fa rumore. Emette fumo dalle industrie, dalle auto e dalle sigarette, produce enormi quantità di spazzatura. Meno esseri umani ci sono, meno bruttezza ci sarà.
In risposta a queste considerazioni estetiche, si potrebbe obiettare che la bruttezza, come la bellezza, è negli occhi di chi guarda, per questo gli argomenti estetici sono troppo personali per essere invocati a supporto dell’antinatalismo. Ovviamente i giudizi estetici differiscono. Ma il grado di disaccordo varia a seconda dell’ambito. Per quanto riguarda le scorie, il declino fisico e la decomposizione del corpo, c’è un ampio accordo, almeno tra coloro che non sono più neonati. Gli effluvi del corpo sono un rifiuto – qualcosa che deve essere scartato, non esteticamente ammirato. Nessuno desidera o è felice dinnanzi alla vista dell’acne o alla deturpazione o putrefazione del corpo. Sembrano esserci buone ragioni per avere una reazione negativa piuttosto che una positiva o addirittura neutra dinnanzi a tale vista (anche se in altre situazioni le risposte estetiche sono spesso inappropriate). Anche se non potremmo criticare quei pochi che non hanno una reazione negativa di fronte ai rifiuti del corpo umano, tuttavia potremmo ancora riconoscere che per la maggior parte di coloro che li reputano sgradevoli, la presenza di rifiuti di tale portata offre dei giudizi estetici contro la generazione di nuove persone.
Una seconda risposta possibile potrebbe essere concedere questi giudizi (anti)estetici ma negare che il quadro complessivo sia negativo. In altre parole, si potrebbe essere d’accordo nel sostenere che gli esseri umani producono molti elementi di scarto ma il loro contributo estetico è complessivamente positivo. In alcune circostanze ciò non è del tutto sbagliato – per esempio il lavoro di alcuni artisti e compositori produce un risultato estetico significativamente positivo. Tuttavia, è molto difficile vedere in che modo l’essere umano possa raggiungere valori estetici abbastanza apprezzabili da superare i secchi di effluvi che ciascuno produce.
Generare bruttezza non è sempre sbagliato ma tanti più umani ci sono a inquinare la terra, tanto più vigorosamente i giudizi estetici si opporranno alla creazione di ulteriore sporcizia. A volte alcune riflessioni estetiche confluiscono in quelle morali. Per esempio, laddove le società sono troppo povere per fornire strutture sanitarie e per processare i rifiuti di un numero eccessivo di persone, potrebbero esserci delle effettive ragioni di carattere morale per desistere dal creare nuovi facitori di rifiuti in quanto la loro creazione imporrebbe indebite misure/oneri per coloro che già esistono.
Pochi sono i genitori potenziali che valutano l’impatto estetico dei loro figli potenziali. Ma di quanti produttori in più di escrementi e di urina, di flatulenza, di sangue mestruale e di sperma, di sudore, di muco, di vomito e di pus abbiamo ancora bisogno? Quanti altri rifiuti umani occorre smaltire? Quanti altri cadaveri dobbiamo seppellire? Le cose andrebbero esteticamente meglio se ci fossero meno persone97.
Note
1 Nell’appendice alla fine di questo capitolo propongo alcune considerazioni estetiche contro la procreazione.
² Una variante di questo argomento si concentrerebbe sulla natura umana piuttosto che su cosa gli umani facciano. Certamente c’è una stretta connessione tra queste due versioni. I comportamenti umani potrebbero essere presi come prova della natura imperfetta dell’umanità, e la sua natura imperfetta spiegherebbe parzialmente il suo pessimo comportamento. Pertanto, la differenza tra le due versioni è perlopiù una questione di focus o di enfasi.
3 Questo non significa negare che la visione del mondo religiosa non raccomandi umiltà alla nostra specie – ma lo fa soltanto rispetto a Dio.
4 Alcuni animali potrebbero superarci in alcune capacità cognitive, ma a conti fatti nessuno lo fa.
5 Si veda, per esempio, Dan Ariely, Predictably Irrational (Revised and Expanded Edition) (New York: HarperCollins, 2009); Daniel Kahneman, Thinking, Fast and Slow (London: Penguin, 2011).
6 Consideriamo l’esempio di Joe DiMaggio, a proposito del quale ci siamo chiesti come mai lui, «ritiratosi dal liceo e la cui lettura preferita fossero i fumetti di Superman, un uomo che era un padre disgustoso, un marito infedele e violento con la moglie… una persona che non ha mai avuto una giornata di lavoro significativa negli ultimi 47 anni della sua vita, enormemente vanitoso, meschino e diffidente – è diventato una star americana?» La risposta che ci siamo dati è semplice: «Sapeva colpire, lanciare e correre con una grazia leggiadra, e quando non poté fare più queste cose …. Beh, lui stava benissimo in giacca e cravatta», (Daniel Okrent, «Say It Ain’t So, Joe», Time, November 20, 2000, p. 74).
7 Nel momento in cui scrivo, l’ultimo esempio è rappresentato dall’isteria apocalittica di coloro i quali temevano che il mondo sarebbe finito il 21 dicembre 2012. Il governo russo lasciò una dichiarazione, affermando che «aveva avuto accesso ai metodi di monitoraggio di ciò che stava accadendo sul pianeta terra» e che «poteva affermare con sicurezza che il mondo non stesse finendo a dicembre». Si veda Ellen Barry, «In Panicky Russia, It’s Official: End of World Is Not Near», in New York Times, 1 Dicembre 2012, consultato il 2 dicembre 2012, https://www.nytimes. com/2012/12/02/world/europe/mayan-end-of-world-stirs-panic-in-russia-and-elsewhere.html [il link riportato nella traduzione è stato consultato il 12.9.2023].
8 Solomon E. Asch, «Studies of Independence and Conformity: I. A Minority of One Against a Unanimous Majority», in Psychological Monographs 70, no. 9 (1956): pp. 1-70.
9 Rod Bond e Peter B. Smith, «Culture and Conformity: A Meta-Analysis of Studies Using Asch’s (1952b, 1956) Line Judgement Task», in Psychological Bulletin 119, no. 1 (1996): pp. 111-137.
10 Steven T. Katz, The Holocaust in Historical Context, Vol. 1: The Holocaust and Mass Death Before the Modern Age (New York: Oxford University Press, 1994), pp. 403-404.
11 Sharon LaFraniere, «African Crucible: Cast as Witches, Then Cast Out», in New York Times, 15 novembre 2007, consultato il 15 novembre 2007, https://www.nytimes.com/2007/11/15/world/africa/15witches.html [il link riportato nella traduzione è stato consultato il 12.9.2023].
12 Stanley Milgram, Obedience to Authority (New York: Harper Torchbooks, 1974).
13 Ivi, p. 54.
14 Hannah Arendt, Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil (New York: Penguin Books, 1965).
15 Philip Zimbardo, The Lucifer Effect: Understanding How Good People Turn Evil (New York: Random Hose, 2007).
16 Naturalmente, gli psicologi e tutti coloro che hanno studiato la mente umana sono consapevoli dei difetti che ho indicato. Il problema è che le loro scoperte non hanno fatto vacillare l’autocompiacimento degli esseri umani.
17 Proviamo diniego per le nostre capacità distruttive. Quando gli umani si comportano in tutti quei modi terribili che descriverò, li definiamo “disumani”. Tale comportamento è ancora così rampante nella storia umana che la negazione del prefisso ‘dis-’ in ‘disumano’ corrisponde di fatto alla negazione delle nostre pretese (o, più modestamente, delle nostre aspirazioni) su ciò che significa essere umano. Non indica una deviazione rispetto al modo in cui le specie effettivamente agiscono. È singolarmente ironico che quando gli umani agiscono male – e anche quando si comportano male nei confronti degli animali – diciamo che questi stanno agendo come degli animali, e cioè brutalmente. Quando utilizzo i termini “disumano” e “brutale”, li sto usando ironicamente.
18 «Population Control, Marauder Style», in New York Times, 6 novembre 2011, consultato l’8 novembre 2011, https://www.nytimes.com/2011/11/06/opinion/ sunday/population-control-marauder-style.html [il link riportato nella traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
19 Adam Hochschild, King Leopold’s Ghost (Boston: Houghton Mifflin Company, 1998), p. 234.
20 Julie Flint, Observer, March 3, 1991, citato in Jonathan Glover, Humanity: A Moral History of the Twentieth Century (New Haven, CT: Yale Nota Bene, 2001), p. 32.
21 Nicholas Kristof, «The Grotesque Vocabulary in Congo», in New York Times, 11 febbraio 2010, consultato l’11 febbraio 2010, https://www.nytimes.com/2010/02/11/ opinion/11kristof.html [il link riportato nella traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
22 Jeffrey Gettleman, «The World’s Worst War», in New York Times, 15 dicembre 2012, consultato il 16 dicembre 2012, https://www.nytimes.com/2012/12/16/ sunday-review/congos-never-ending-war.html [il link riportato nella traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
23 Ibidem.
24 Neil G. Boothby e Christine M. Knudsen, «Children of the Gun», in Scientific American, Giugno 2000, p. 43.
25 «Midnight’s Children», Harper’s Magazine, Agosto 2004, p. 23.
26 Boothby e Knudsen, «Children of the Gun», pp. 40-45.
27 Adam Hochschild, Bury the Chains: The British Struggle to Abolish Slavery, (London: Macmillan, 2005), pp. 79-80. (Uno degli schiavi sopravvisse aggrappandosi a una fune della nave e tornando in barca senza essere notato).
28 Lydia Polgreen, «Court Rules Niger Failed by Allowing Girl’s Slavery», New York Times, 28 ottobre 2008, consultato il 24 dicembre 2012, https://www.nytimes. com/2008/10/28/world/africa/28niger.html [il link riportato nella traduzione è stato consultato il 14.9.2023]
29 Nicholas Kristof, «If This Isn’t Slavery, What Is?», New York Times, 4 gennaio 2009, consultato il 24 dicembre 2012, https://www.nytimes.com/2009/01/04/ opinion/04kristof.html [Il link riportato nella traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
30 Sierra Leone Truth and Reconciliation Commission, Witness to Truth, 2004.
31 Jo Thomas, «What’s Furry, Literate and, Judging by Events, Indispensable?», New York Times, 11 dicembre 1998, consultato il 25 dicembre 2012, https://www. nytimes.com/1998/12/11/us/what-s-furry-literate-and-judging-by-events-indispensable.html [Il link riportato nella traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
32 Ibidem.
33 Michael Barbaro, «Attention Holiday Shoppers: We Have Fisticuffs in Aisle 2», in New York Times, 25 novembre 2006, consultato il 27 novembre 2006, https:// www.nytimes.com/2006/11/25/business/25shop.html [Il link riportato nella traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
34 Robert D. McFadden e Angela Macropoulos, «Wal-Mart Employee Trampled to Death», in New York Times, 29 novembre 2008, consultato il 1° dicembre 2008, https://www.nytimes.com/2008/11/29/business/29walmart.html [Il link nella traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
35 Steven Nadler, Spinoza: A Life (New York: Cambridge University Press, 1999), p. 306.
36 Ibidem.
37 Per un esempio più recente di omicidi di massa, si veda «Murder Most Pointless», in Time, 5 luglio 1999, p. 14.
38 Il resto (32%) fu imprigionato, giustiziato, assassinato, ucciso in battaglia o si tolse la vita. Matthew White, The Great Big Book of Horrible Things (New York: W.W. Norton & Co., 2012), p. 534.
39 Si veda, per esempio, Nicholas Kulish, «Speculation Surrounds Case of Albanian Whistle-Blower’s Death», in New York Times, 8 ottobre 2008, consultato l’8 ottobre 2008.
40 Per esempio, Simon Romero e Taylor Barnes, «In Brazil, Officers of the Law, Outside the Law», in New York Times, 9 gennaio 2012, consultato il 10 gennaio 2012, https://www.nytimes.com/2012/01/10/world/americas/in-parts-of-brazil-militias-operate-outside-the-law.html [il link della traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
41 Ruth Richardson, The Making of Mr. Gray’s Anatomy: Bodies, Books, Fortune, Fame, (New York: Oxford University Press, 2008).
42 Peter Pringle, «Notebooks Shed Light on an Antibiotic’s Contested Discovery», in New York Times, 11 giugno 2012, consultato il 14 giugno 2012, https://www. nytimes.com/2012/06/12/science/notebooks-shed-light-on-an-antibiotic-discovery-and-a-mentors-betrayal.html [Il link della traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
43 Questi dati provengono dalla Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO). Secondo queste statistiche nel 2010, il numero degli animali macellati appartenenti a queste e ad altre categorie correlate, ammonterebbe a 63,544,184,849. Si veda faostat.fao.org, consultato il 4 dicembre 2012.
44 Questa cifra si riferisce al 2009 e si basa sulla stima della FAO secondo cui quell’anno furono “pescate” 145.1 milioni di tonnellate di vita animale acquatica (The State of the World Fisheries and Aquaculture [Rome: Dipartimento FAO per la Pesca e l’Acquacultura, 2010] e presuppone che «il peso medio di un animale marino» è di circa 1.4 kg (si veda http://adaptt.org/killcounter.htm consultato il 4 dicembre 2012). È degno di nota che agenzie ufficiali come la FAO non calcolano il numero degli animali, ma stimano soltanto il peso delle catture. Gli animali acquatici, da questo punto di vista, non sono esseri senzienti individuali ma piuttosto mera biomassa).
45 Michael C. Appleby, Joy A. Mench, e Barry O. Hughes, Poultry Behaviour and Welfare (Wallingford, UK: CABI Publishing, 2004), p. 184.
46 Questa cifra viene citata nella circolare dell’Unione Europea: «Questions and Answers on the proposal for the protection of animals at the time of killing», circolare/08/574, Bruxelles, 18 settembre 2008, consultato il 19 dicembre 2012, https://www.eubusiness.com/topics/agri/animals-slaughter.01 [il link della traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
47 «How Many Dogs and Cats Are Eaten in Asia?», in Animal People, Settembre 2003, consultato il 19 dicembre 2012, http://www.animalpeoplenews.org/03/9/ dogs.catseatenAsia903.html
48 The State of the World Fisheries and Aquaculture, 83-84, cita una cifra di 7 milioni di tonnellate. Sulla media del peso degli animali marini citati, questo ammonta a circa 5 miliardi di animali.
49 Appleby, Mench e Hughes, Poultry Behaviour and Welfare, p. 184.
50 Ivi, pp. 184-186.
51 Victoria Braithwaite, Do Fish Feel Pain? (Oxford: Oxford University Press, 2010), p. 177.
52 Ibidem. Per il dolore inflitto dagli ami, si veda pp. 164-168.
53 Sono scettico riguardo al valore della sperimentazione animale, ma anche se uno pensasse che questa pratica fosse giustificabile per il bene della nostra specie, sarebbe ancora il caso di dire che se non ci fossero esseri umani questi danni non sarebbero inflitti agli animali.
54 Katy Taylor, Nicky Gordon, Gill Langley, e Wendy Higgins, «Estimates for Worldwide Laboratory Animal Use in 2005», in Alternatives to Laboratory Animals, 26 (2008): pp. 327-342.
55 Ingrid Torjesen, «Animal Experiments Rose in 2011 Despite Coalition Pledge to Reduce Them», in British Medical Journal, 345 (2012): e4728.
56 Si veda, per esempio, Kathryn Shevelow, For the Love of Animals: The Rise of the Animal Protection Movement (New York: Henry Holt, 2008), p. 144.
57 Deborah Blum, The Monkey Wars (New York: Oxford University Press, 1995), p. 82.
58 Ivi, p. 83.
59 Ivi, p. 90.
60 Ivi, p. 91.
61 Mark E. Gurney et al., «Motor Neuron Degeneration in Mice that Express a Human Cu, Zn Superoxide Dismutase Mutation», in Science 264, no. 5166 (1994): pp. 1772-1775.
62 Alun Anderson, «Oncomouse Released», in Nature 336, no. 6197 (1988): p. 300.
63 Si veda, per esempio, Peter M. Grace, Mark R. Hutchinson, Jum Manavis, Andrew A. Somohyi, e Paul E. Rolan, «A Novel Animal Model of Graded Neuropathic Pain: Utility to Investigate Mechanisms of Population Heterogeneity», in Journal of Neuroscience Methods 193 (2010): pp. 47-53.
64 Juliana Casals et al., «The Use of Animal Models for Stroke Research: A Review», in Comparative Medicine 61, no. 4 (2011): pp. 305-313.
65 Si veda, per esempio, Kathryn L. Gatford, Penelope A. Dalitz, Megan L. Cock, Richard Harding, e Julie A. Owens, «Acute Ethanol Exposure in Pregnancy Alter the Insulin-like Growth Factor Axis of Fetal and Maternal Sheep», in American Journal of Physiology – Endocrinology and Metabolism, 292 (2007): e494-e500.
66 Si veda, per esempio, Kelly J. Clemens, Jennifer L. Cornish, Glenn E. Hunt, and Iain S. McGregor, «Repeated Weekly Exposure to MDMA, Methamphetamine or their Combination: Long-term Behavioural and Neurochemical Effects in Rats», in Drug and Alcohol Dependence 86 (2007): pp. 183-190.
67 Si veda, per esempio, Walt Bogdanich, Joe Drape, Dara L. Miles, and Griffin Palmer, «Mangled Horses, Maimed Jockeys», in New York Times, 24 marzo 2012, consultato il 25 marzo 2012, https://www.nytimes.com/2012/03/25/us/death-and-disarray-at-americas-racetracks.html [il link della traduzione è stato consultato il 14.9.2023].
68 Hochschild, King Leopold’s Ghost, p. 196.
69 http://www.pet-abuse.com/cases/10007/EN/UK/ (consultato il 17 dicembre 2012).
70 http://www.pet-abuse.com/cases/16982/WI/US/ (consultato il 17 dicembre 2012).
71 http://www.pet-abuse.com/cases/16970/WA/US/ (consultato il 17 dicembre 2012).
72 È molto difficile determinare quanti milioni di cani e di gatti vengono uccisi ogni anno nei rifugi animali perché non possono essere ospitati. L’Associazione Umana Americana stima che negli Stati uniti il numero è di circa 3.7 milioni per anno e afferma che questo «dato rappresenta una statistica generalmente accettata che è ampiamente utilizzata da molte organizzazioni per il benessere animale, inclusa la Società Americana per la Prevenzione della Crudeltà sugli Animali (ASPCA)». (http://www.americanhumane.org/animals/stop-animal-abuse/fact-sheets/animal-shelter-euthanasia.html ultima consultazione il 4 dicembre 2012). Tuttavia, il Consiglio Nazionale per lo Studio e la Politica degli Animali Domestici, che nel 1997 ha condotto il sondaggio su cui si basano queste cifre, constata che «non è possibile utilizzare queste statistiche per stimare il numero degli animali che entrano nei rifugi negli Stati Uniti, o il numero di quelli sottoposti a eutanasia su base annuale» perché «i centri di raccolta di questi dati potrebbero non rappresentare un campionamento casuale dei rifugi degli U.S.», (https://www.petpopulation.org/statsurvey.html consultato il 4 dicembre 2012).
73 Nicola Rooney e David Sargan, Pedigree Dog Breeding in the UK – A Major Welfare Concerm? (RSPCA, 2009).
74 Ci sono studiosi di etica ambientale i quali ritengono che il danno ambientale sia moralmente rilevante di per sé, indipendentemente dagli effetti sugli umani e sugli animali. Ciò è una posizione controversa che non accetto. Coloro che la sostengono possono aggiungerla alla lista dei danni (moralmente rilevanti) che gli umani recano.
75 Alcuni possono obiettare che queste altre specie non producono così tanto bene come gli umani e perciò non sono uguali. Valuterò dopo se il bene che gli umani compiono possa battere la presunzione di non crearne di altri.
76 Questi argomenti sono stati avanzati in dozzine di libri e di articoli. Si veda, per esempio, Peter Singer, Animal Liberation (New Revised Edition) (New York: Avon Books, 1990), e David DeGrazia, Taking Animal Seriously (New York: Cambridge University Press, 1996).
77 Le prove e gli argomenti a questo scopo sono stati presentati con notevole dettaglio in Steven Pinker, The Better Angels of our Nature: The Decline of Violence in History and its Causes (London: Allen Lane, 2011).
78 Lo stesso non può essere vero degli animali. Sebbene alcuni, come cani e gatti, sono trattati meglio di come venivano trattati nel passato, altri animali, perlopiù gli animali da allevamento, oggi sono trattati peggio di quanto accadesse prima. L’allevamento intensivo e la sofferenza che ne segue è un prodotto degli ultimi decenni.
79 Se si accetta l’asimmetria, allora i benefici dell’intersezione 1(b) e 2(b) sono anch’essi opinabili.
80 È piuttosto raro per le persone pensare che i loro figli produrrebbero un netto danno mentre i figli degli altri un netto beneficio.
81 Esistono stime variabili sul numero di vegetariani in India. Qui prenderò in considerazione una stima generosa del 42% della popolazione (R. Mehta et al., «Annex II: Livestock, Industrialization, Trade and Social-Health-Environment Issues for the Indian Poultry Sector», Food and Agricultural Organization, Giugno 2002, consultato il 15 gennaio 2013, https://www.fao.org/3/CA1201EN/ca1201en. pdf [il link della traduzione è diverso da quello riportato da Benatar e rimanda alla versione pdf del testo].
82 Non ci sono dati per calcolare i vegetariani nel mondo. Ce ne sono per alcuni paesi sviluppati, dove le stime sono comprese tra 1% e il 9%. (Si veda Matthew B. Ruby, «Vegetarianism: A Blossoming Field of Study», in Appetite 58 [2012]: 142). Per i miei scopi assumerò che il 5% del mondo (non tenendo conto dell’India) è vegetariano o vegano. Questa è sicuramente una sovrastima dal momento che il tasso di vegetariani nei paesi in via di sviluppo (sempre non tenendo dell’India) è probabile che sia più basso.
83 Questo calcolo considera una popolazione globale di 7,021,836,029 e la popolazione dell’India di 1,205,073,612 (The World Fact Book, Central Intelligence Agency, consultato il 15 gennaio 2013, https://www.cia.gov/library/publications/ the-world-factbook/geos/xx.html).
84 Questo considera una aspettativa media di vita di 67,59 anni che è l’attuale media globale (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/ geos/xx.html, consultato il 27 dicembre 2012), con un consumo di carne che inizia all’età di 5 anni. (Certamente gli onnivori iniziano a mangiare carne prima dei 5 anni ma i loro livelli di consumo sono bassi nelle prime fasi).
85 Edgar G. Hertwich e Glen P. Peters, «Carbon Footprint of Nations: A Global, Trade-Linked Analysis», in Environmental Science and Technology 43, no.16 (2009): p. 6416.
86 Ibidem.
87 Per un ulteriore approfondimento, si veda David Benatar, Better Never to Have Been (Oxford: Oxford University Press, 2006), pp. 182-193.
88 Come l’argomento filantropico, questo argomento estetico misantropico potrebbe essere fatto valere per gli animali. Ci sono molte cose esteticamente sgradevoli in merito agli animali. Tuttavia, gli esseri umani sono in un certo senso esteticamente peggiori. Ciò è dovuto in parte al numero e all’impatto degli umani.
89 Plutarco, «On Affection for Offspring», in Moralia, vol. VI, trans. W.C. Helmbold, (London: William Heinemann Ltd., 1939), p. 349.
90 Ethics of the Fathers, 3,1.
91 Ovviamente la quantità dipende in parte dall’assunzione di acqua e dalle differenze tra le persone, comprese se si tratta di un adulto o di un bambino. I numeri che ho citato qui derivano da un attento studio degli adulti: Dick Parker e S.K. Gallagher, «Distribution of Human Waste Samples in Relation to Sizing Waste Processing in Space», in The Second Conference on Lunar Bases and Space Activities of the 21st Century, ed. W.W: Mendell (NASA Conferences Publication 3166, Vol. 2, Part 6, 1992), p. 564.
92 Con molta probabilità questa è una sottostima poiché i partecipanti allo studio non mangiavano frutta e verdura fresca il che, notano gli autori, aumenterebbe il volume delle feci. Si veda Parker e Gallagher, «Distribution of Human Waste Samples in Relation to Sizing Waste Processing in Space», pp. 563 e 566.
93 Questo considera un’aspettativa di vita media di 67,59 anni.
94 Stimata a 702,183,6029 a luglio 2012. Ibidem.
95 Questo implica 36,7 ml per mestruazione (http://ebm.rsmjournals.com/content/32/9/1458.short, consultato il 27 dicembre 2012); che l’età media tra il menarca e la menopausa sia rispettivamente 14 e 50 anni (Alfredo Morabia, Michael Costanza e World Health Organization Collaborative Study of Neoplasia and Steroid Contraceptives, «International Variability in Age at Menarche, First Livebirth, and Menopause», in American Journal of Epidemiology 148, no. 12 [1998]: 1195-1205); che la donna abbia in media 2,47 figli (https://www.cia.gov/library/ publications/the-world-factbook/geos/xx.html, consultato il 27 dicembre 2012) raggiungendo 408 mesi di ciclo mestruale.
96 Questo dato considera 1,5 ml per eiaculazione (Trevor Cooper et al., «World Health Organization Reference Values for Human Semen Characteristics», in Human Reproduction Update 16, no. 3 (2010): pp. 231-245), un’età di circa 13,5 anni per la prima eiaculazione (http://europepmc.org/abstract/MED/6106006/reload=0;jsessionid=raWEbqG5dSAVKzRoikTM.14, consultato il 27 dicembre 2012), un’aspettativa di vita media di 65,6 anni (https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/geos/xx.html, consultato il 27 dicembre 2012) e 142 eiaculazioni all’anno (secondo Michael Leitzmann et al., «Ejaculation Frequency and Subsequent Risk of Prostate Cancer», in Journal of the American Medical Association 291, no. 13 [2004]: pp. 1578-1586).
97 Sono grato ad Anna Hartford per il suo aiuto, e ai partecipanti al workshop «Permissible Progeny», (London, Ontario, Giugno 2013) per i loro commenti.
*This chapter was published in Aa. Vv., Permissible Progeny? The Morality of Procreation and Parenting, edited by S. Hannan, S. Brennan and R. Vernon, Oxford University Press, New York 2015. The original English version can be consulted at the following link: https://academic.oup.com/book/26703/chapter-abstract/195504756
I am grateful to Oxford University Press for giving me the permission to translate «The Misanthropic Argument for Anti-natalism» and to Vita Pensata Journal for accepting to host this work.
I sincerely thank Professor David Benatar for entrusting me with the translation of this important argument for Anti-natalism; for his always kind availability; for his generous and interested way of following my study.
Sarah Dierna
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