“Stella variabile” di Vittorio Sereni
Ancora non lo sai
– sibila nel frastuono delle volte
la sibilla, quella
che sempre più ha voglia di morire –
non lo sospetti ancora
che di tutti i colori il più forte
il più indelebile
è il colore del vuoto?
(Vittorio Sereni, Autostrada della Cisa)
Stella variabile è definita la stella del firmamento che non possiede uno splendore costante e la cui luminosità varia quindi nel tempo. Stella variabile è definita in questa raccolta di poesie la nostra esistenza: «Una scheggia di luce», direbbe Céline, «che finisce nella notte»1.
Tra il crepuscolo e la notte, tra la calura estiva e l’inizio della stagione autunnale sono infatti ambientati molti dei versi di Vittorio Sereni che racconta qui la vita e la morte, la memoria e il ricordo, il male e l’oblio con una saggezza e una distanza che solo un’età matura gli ha reso possibile, quando «sei già mare d’inverno:/ estraniato, come chiuso in sé./ Amare non sempre è conoscere (“non sempre/ giovinezza è verità”), lo si impara tardi» (Un posto di vacanza, p. 74).
Si impara tardi che il mestiere di vivere è il mestiere della «rammendatrice» che rappezza il giocattolo e rattoppa lo strappo, che ricuce il graffio e sutura «paziente» e «caparbia» le ferite del proprio esistere, «che pure non molla la presa/ sulla mia vita che va per farfalle/ e per baratri…» (Di taglio e cucito, p. 43).
Pazienza e caparbietà, dedizione e abnegazione appartengono infatti non solo al trombettista di Toronto in un sabato sera, a meno di dire che Toronto sia una Varese più grande o una Tipperary, che il trombettista non sia da meno del grande Satchmo (Louis Armstrong) e che quest’ultimo sia stato disposto poi a suonare anche laddove l’essere umano è sbarcato per la prima volta nel 1969 (Sereni assume lo stesso significante per significare due referenti diversi), cosa tutto questo significa «se non tutti i possibili aldilà di dedizione/ al niente che di botto può infiammare una qualunque sera/ a Varese a Toronto a…» (Toronto di sabato sera, p. 28), a Parma, a Luino e cioè un’universale condizione che accompagna l’esserci in ogni luogo e in ogni tempo perché non è il luogo e non è il tempo a essere inospitale, ma la vita stessa; non è quella Lugano bella a cui Sereni deve dire addio perché «non vuole saperne,/ mi rinnega in effigie, rifiuta/ lo specchio di me (di noi) che le tendo» (Addio Lugano bella, p. 35); non è la «maestà della notte» che «non ti vuole ti espatria/ si libera di te/ rifiuto dei rifiuti» (Notturno, p. 86); è l’esistere monotono, ripetitivo e stanco dei giorni come confessa Sereni in Paura prima:
Ogni angolo o vicolo ogni momento è buono/ per il killer che muove alla mia volta/ notte e giorno da anni./ Sparami sparami – gli dico/ offrendomi alla mira/ di fronte di fianco di spalle – / facciamola finita fammi fuori./ E nel dirlo mi avvedo/ che a me solo sto parlando (Paura prima, p. 94).
Non bisogna ingannarsi però. Sereni cerca e riflette la morte ma non se la darà mai: «Non serve, non serve. Da solo/ non ce la faccio a far giustizia di me» (Ibidem). È «introvabile», infatti, il traghettatore e non gli giungerà quindi il suo «richiamo» come scrive nel poema Un posto di vacanza; ancora, la morte condivide con l’estate «l’invisibile cicala solista dell’ultima ora di luce» (Verano e solstizio, p. 91) l’invigorirsi della «vermiglia voce abbuiandosi» (Ivi, p. 92) ma non la luce e non il calore. E tuttavia è già nel ‘verano’ la parola morte, è già nella luce la tenebra.
Nei versi di Sereni c’è un dire che sembra rifiutare il morire perché spegne l’allegria e soffoca il coraggio; il poeta intuisce quindi il sonno ristoratore ed eterno della morte ma in qualche modo si accontenta ancora di quella tregua solo temporanea dalla quale il Canto del gallo silvestre ci risveglierà.
A conferma di ciò il poeta indossa il lutto (Poeta in nero) per gli altri ma non per se stesso. Vittorio piange la scomparsa dell’amico Niccolò ma non la sua.
Sempre in Un posto di vacanza scrive infatti:
Qui si rompe il poema sul posto di vacanza/ travolto da tanto mare – / e vinto il naturale spavento/ ecco anche me dalla parte del mare/ fare con lui tutt’uno/ senza zavorra o schermo di parole,/ fendere il poco di oro che rimane/ sulle piccole isole/ postume al giorno tra le scogliere in ombra già:/ ancora un poco, ed è daccapo il nero (Un posto di vacanza, pp. 66-67).
Sereni galleggia nelle acque di questo mare d’inverno godendo dell’oro che rimane, lo stesso che sarà poi intarsiato nelle tombe vuote di eternità della Valle delle Regine (Un tempio laico); segue il calare del sole: è «il giorno che si abbuia e poi ritorna»2 e in questo abbuiarsi il ricomparire della cicala; aspetta la notte e il suo sonno.
L’altro nome della morte è la dimenticanza, quella che «miniaturizza» coloro che lo desiderano morto d’infamia, quella che porterà il padre del poeta, che probabilmente perse la vita sull’Autostrada della Cisa, a morire una seconda volta.
Ma la memoria non è soltanto ritenzione, come ricordo/aculeo che centra la carne, supera gli anni per incastrarsi tra gli indugi della mente, essa è prima di tutto protensione, per questo Damiano Scaramella, nella postfazione a questa raccolta, scrive:
Come ogni storia, anche ogni memoria è apocrifa, e dolorosa. Non perché ricostruisce strazianti passati, ma perché genera nell’immaginazione futuri colmi di gioia e poi li allontana, li ritarda, li confonde nell’intrecciarsi di falsi segnali, di incerti intravedimenti e miraggi3.
Come dispositivo semantico l’essere umano ha bisogno di risemantizzare il proprio mondo e in questo lavorio «la memoria:/ non si sfama mai» (La malattia dell’olmo, p. 98) perché mai sazia dei suoi ricordi essa si spinge in avanti immaginando una realtà che ancora non è ma che si spera sarà e che in realtà sarà sempre e solo una costruzione mentale, una storia che l’individuo si racconta perché la narrazione del proprio sé possa continuare. Nel componimento La malattia dell’olmo l’aculeo viene rimosso ma rimane il suo fuoco a sfavillare, sfavilla allo stesso modo la memoria in un altro poema:
Fabbrica desideri la memoria, poi è lasciata sola a dissanguarsi/ su questi specchi multipli. / […] / Amalo dunque – da cosa a cosa/ è la risposta, da specchiato a specchiante – /amalo dunque il mio rammemorare/ per quanto qui attorno s’impenna sfavilla si sfa:/ è tutto il possibile, è il mare (Un posto di vacanza, p. 68).
È proprio questo che si impara tardi. «Ci si sveglia vecchi/ con quella cangiante ombra nel capo, sonnambuli/ tra esseri vivi discendenti/ su un fiume di impercepiti nonnulla recanti in sé la catastrofe/ – e non vedono crescere e sbiadire attorno a sé i più cari» (Ivi, p. 73). Discenti sono i volti ancora giovani che attendono gettati in avanti fiduciosi che il meglio ha ancora da essere, che quello della mente sia un futuro prossimo e non anteriore, destinato cioè a sbiadirsi nel sopraggiungere. E il contrasto tra i primi e i secondi risiede in quello tra l’ausiliare essere e avere proposto da Sereni In una casa vuota: gli anni della gioventù a desiderare una storia che fosse squisita e il presente adesso irreparabilmente vuoto: «Oggi si è – e si è comunque male, parte del male tu stesso tornino o no sole e prato coperti» (In una casa vuota, p. 26).
Lo scacco segna l’inizio della stagione autunnale, il punto dove la luce si fredda, lì comincia una nuova rampa di scale (Posto di lavoro).
Una distanza e una maturità tra la vita adulta e quella ancora frenetica e infantile confermata anche dalla più breve delle poesie contenute in questa raccolta (Crescita) in cui l’autore parla di una figlia che non piange e che sopraggiunge a mezzogiorno. Una figura enigmatica che solo dopo si rivela nella sua identità: la figlia che non piange è la vita ancora giovane che rincorre il suo domani e che a mezzogiorno si scopre essere diventata adulta; i versi di Sereni – ormai esperiente della vita – arrivano infatti quasi sempre al crepuscolo, prima che il giorno si abbui. Ha inizio qui «l’ora del tempo la non più dolce stagione» (Un posto di vacanza, p. 72).
Note
1 L.-F. Céline, Viaggio al termine della notte [Voyage au but de la nuit, Gallimard, Paris 1952], trad. di E. Ferrero, Corbaccio, Milano 2022, p. 366.
2 E. Mazzarella, L’uomo che deve rimanere. La smoralizzazione del mondo, Quodlibet, Macerata 2017, p. 120.
3 D. Scaramella, Postfazione. Perdimi tu, stella variabile, in V. Sereni, Stella variabile, cit., p. 128.
Vittorio Sereni
Stella variabile
Prefazione di Franco Fortini
Postfazione di Damiano Scaramella
Il Saggiatore, Milano 2017
Pagine 132
€ 17,00
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