Le reinvenzioni delle arti
In questo articolo propongo una spiegazione del costante rinnovamento delle arti ricorrendo al concetto di ‘reinvenzione’ ed esaminando la tecnologia in relazione alla natura umana, alle trasformazioni culturali e al molteplice scenario delle arti contemporanee.
Il presupposto tecnologico
Uno degli insegnamenti che può essere tratto dagli studi svolti nel corso dei secoli sulle arti è quello sulle loro trasformazioni: sono riconoscibili nelle opere delle artiste e degli artisti e sono rese possibili dalle loro pratiche, ossia dalle attività che svolgono sulla base dei loro programmi di lavoro (le poetiche) e dei diversi modi in cui fanno arte (gli stili). Da questo insegnamento si può trarre una tesi: il rinnovamento delle arti è reso possibile dalla tecnologia. Una concezione tutt’altro che stravagante. La stessa definizione del concetto moderno di ‘arte’, nel senso illustrato da Charles Batteux1 – ossia quale insieme circoscritto di pratiche orientate dal principio della imitazione, che possono essere più o meno espressive e che hanno per obiettivo la verosimiglianza e la piacevolezza – poggia anche su dinamiche tecnologiche. Il principio della imitazione è condizione di possibilità per l’artificio, il suo conseguimento è una questione evidentemente tecnologica. Batteux osserva infatti come ciascuna arte possa imitare la natura attraverso più strumenti: i colori in pittura, i suoni in musica, le parole in poesia. Proprio perché vi è un legame profondo tra conoscenze e uso di risorse e strumenti, le arti non solo perfezionerebbero gli elementi e gli aspetti che imitano traendoli dalla natura – che secondo Batteux sarebbe il loro modello imprescindibile – ma anche le espressioni ossia i modi di renderli manifesti che la natura offre2.
Il ruolo che la tecnologia svolge nelle arti è spiegabile considerando risorse e strumenti che le artiste e gli artisti possono scegliere di utilizzare poiché, in ultima analisi, essa concerne intrinsecamente la natura umana, le possibilità stesse di fare le cose in un modo o in un altro. La tecnologia è legata tanto alla operatività quanto alla conoscenza. Come mostrano le storie delle arti, i due soggetti ricorrenti che orientano le indagini sono le opere e le pratiche. Indagare le vite degli artisti, come osservava già Giorgio Vasari3, significa esaminare i lavori le maniere e le condizioni di possibilità per fare le opere. Queste ultime, spiegava Ernst Gombrich4, permettono di riconoscere le trasformazioni delle forme che avvengono nel corso del tempo nella misura in cui ciascuna accenna al futuro e rievoca il passato. Rinnovare le forme vuol dire anche, come ha scritto George Kubler5, avviare, continuare o interrompere sequenze formali in relazione a una più generale storia delle cose prodotte dagli esseri umani.
Nuovi mezzi, nuove arti
Gli studi sul ruolo delle tecnologie nelle arti contemporanee evidenziano la loro natura di risorsa cognitiva e operativa poiché esse permettono di organizzare e sviluppare il lavoro necessario per elaborare le opere attraverso l’implementazione di opportune risorse strumenti e mezzi.
Secondo Christiane Paul6 gli sviluppi delle pratiche artistiche si basano infatti sulle tecnologie che le artiste e gli artisti scelgono nel periodo storico in cui lavorano, contestualmente a trasformazioni scientifiche culturali e sociali. Per esempio, la diffusione globale del World Wide Web, le nuove possibilità offerte dalle ricerche svolte nell’informatica e nelle scienze della comunicazione, gli strumenti per la produzione di video e immagini mediante computer e dispositivi mobili hanno consentito di rinnovare numerosi ambiti di ricerca artistica inaugurati nella seconda metà del Novecento. Le tecnologie, precisa Paul, formano continuamente la storia degli sviluppi delle arti.
Quelle che oggi sono chiamate ‘computer art’ e ‘digital art’ sono profondamente legate a cambiamenti avvenuti nel più ampio contesto della ‘new media art’. Come nota Michael Rush7 la stessa varietà dei mezzi di espressione che possono essere scelti per fare arte permette di riconoscere quanto sia importante la tecnologia nella misura in cui la storia dei nuovi media nelle arti possa essere considerata come una storia delle tecnologie.
Paul e Rush riconoscono che gli esiti più recenti delle arti sono legati a cambiamenti avvenuti durante il secolo scorso in più ambiti: sociali, sperimentali, artistici. In quest’ultimo campo, insieme alle importanti novità introdotte con le pratiche di avanguardia, sono stati altrettanto cruciali i cambiamenti avvenuti dalla seconda metà del Novecento – determinati da Fluxus, dalle diverse pratiche di orientamento concettualista, dai nuovi modi di fare arte: con l’uso del video, di oggetti e materiali naturali o quotidiani, organizzando eventi sociali e partecipativi. Secondo Paul questi cambiamenti hanno contribuito a rinnovare soprattutto le possibilità di ibridazione nelle arti8; secondo Rush, le ricerche svolte nella fotografia nel cinema e nelle produzioni video, sono state determinanti per gettare le basi di ciò che oggi chiamiamo ‘multimedia art’9.
Punto di svolta, segnalato da entrambi gli autori, sono state le pratiche artistiche basate sul concettualismo: decisive per anticipare molte delle possibilità offerte oggi dalle applicazioni delle tecnologie più recenti nelle arti, in particolare attraverso l’uso del video durante gli anni Settanta. «Using ‘new technology’ such as video and satellites, artists in the 1970s also began to experiment with ‘live performances’ and networks that anticipated the interactions now taking place on the Internet and through the use of ‘streaming media’, the direct broadcast of video and audio»10. E questo è stato possibile proprio perché, come Rush scrive, «[t]he technology improved when artists adopted it but the technology came first»11.
La svolta concettualista
La priorità della tecnologia nelle arti insieme al suo profondo legame con le possibilità cognitive e operative degli esseri umani, sono stati messi in risalto specialmente dalle pratiche concettualiste.
Piuttosto che come una tendenza o persino una filosofia applicata all’arte, il concettualismo è considerabile come un ‘codice operativo’ ossia un insieme di regole per creare opere diverse da quelle tradizionali12. Accettando tali regole, rifiutandone altre o combinandole, le artiste e gli artisti scelgono di dare più importanza ai processi anziché alle forme. Vale a dire, caratterizzano le loro opere sottolineando la centralità della operosità umana anziché dei risultati visivi. Come dimostrano i cambiamenti avvenuti soprattutto durante gli anni Settanta, sono arti concettuali quelle che prevedono nuovi modi di usare materiali e tecnologie all’insegna non della dematerializzazione, bensì della rimaterializzazione. Fare arte concettuale significa svolgere molteplici attività con più mezzi: le performance, l’esposizione di oggetti ordinari e naturali, gli interventi in ambienti urbani e naturali, l’organizzazione di eventi sociali che coinvolgono altre persone. In particolare, le artiste e gli artisti concettuali si concentrano sulle relazioni con i contesti, sul ruolo della conoscenza e delle possibilità strutturali nella elaborazione delle loro opere13. Così facendo, incentivano interrogazioni e sviluppano riflessioni sulle tecnologie e i loro usi proprio attraverso le loro opere14. Queste ultime si aggiungono alle opere delle arti tradizionali consentendo a chi le crea di mostrare possibilità tecnologiche alternative ed evidenziando le potenzialità del fare arte e di altre modalità di trasmissione delle informazioni che il suo rinnovamento rende possibili15.
Il concettualismo è stato fondamentale per le reinvenzioni delle arti contemporanee. Ma che cosa significa questo? Almeno due cose. Da una parte, come sottolinea Paul16, la digital art odierna eredita aspetti originariamente portati in primo piano attraverso l’adozione del concettualismo: la centralità dei processi e delle esperienze, il rinnovato ruolo dell’artista come mediatore17. Dall’altra, questi cambiamenti si basano proprio sui diversi modi in cui le artiste e gli artisti si sono serviti della tecnologia: ossia, come hanno organizzato le loro risorse e strumenti e come li hanno scelti e implementati nelle loro poetiche. I loro modi di lavorare sono infatti differenziabili, come ha osservato Stephen Wilson18, in relazione all’impostazione all’orientamento e allo sviluppo delle loro ricerche. Ed è precisamente il ruolo della ricerca, ossia della indagine sulle possibilità offerte dalla tecnologia, che ha consentito a numerose artiste e artisti di esplorare nuove frontiere – per esempio, indagando possibilità di movimento, contatto, visione e manipolazione a partire dalle interfacce offerte dai computer e da altri dispositivi per rielaborarle e metterne anche in discussione le potenzialità19.
Differenziare reinventando
Questa, in estrema sintesi, è la formula che potremmo usare per descrivere che cosa accade nelle arti. Il loro rinnovamento avviene in più modi, anche attraverso l’elaborazione di opere che, nonostante siano nuove, concorrono comunque a conservare la natura dei generi alle quali apparterranno. Per esempio, per quanto le opere di Francis Bacon e Anselm Kiefer siano diverse da quelle di Tiziano Vecellio e Parmigianino, essendo dipinti rientrano nel genere della pittura rinnovandolo. Ma come possiamo spiegare questo fatto? Non con una risposta di ordine cronologico – del tipo: ciò che arriva dopo trasforma quello che c’era prima – poiché, come noto, è ben possibile che si producano anche opere che nonostante il momento storico della loro produzione, rievochino comunque un evidente legame con il passato. Va così, per esempio, con l’opera di Damien Hirst Veil of Ignorance: nonostante sia stata realizzata nel 2017, potrebbe essere scambiata per un dipinto astrattista del secondo Novecento o persino per un esito poco noto di pittura puntinista di tardo Ottocento.
Piuttosto, una spiegazione ben più fruttuosa possiamo formularla se consideriamo la tecnologia. Il ruolo che svolge ai fini del rinnovamento delle arti può essere spiegato valutando in particolare due temi: (i) il suo profondo legame con la natura umana, ossia con la conoscenza e l’operatività; (ii) la sua implementazione, ossia la sua integrazione strumentale finalizzata al conseguimento di nuove possibilità e scopi altrimenti irraggiungibili. Entrambi sono temi imprescindibili per riconoscere il periodico rinnovamento delle arti, ovvero ciò che potremmo chiamare le loro ‘reinvenzioni’. Mutuo questo termine da alcune osservazioni formulate dal filosofo Gilbert Simondon sulla natura della tecnologia. A suo modo di vedere, le arti sono uno degli ambiti umani in cui la relazione tra conoscenza e operatività consegue scopi particolari proprio sulla scorta della natura trasformazionale della tecnologia che egli considera essenzialmente come una ‘reinvenzione’20. Affrontiamo anzitutto il primo tema.
Tecnologia e natura umana
Come fare qualcosa e con quali strumenti riuscirci. Sono due presupposti che possono essere riconosciuti alla base della tecnologia. Considerarla in relazione alla natura umana vuol dire, in ultima analisi, prendere in esame il nesso tra conoscenza e operatività ossia indagarla in rapporto all’organizzazione di un determinato lavoro e al suo svolgimento. La conoscenza è pensabile come un insieme di risorse che possono essere decisive tanto per orientare le scelte e le attività che saranno svolte quanto per affrontare repentini cambiamenti. L’operatività si basa su più elementi: l’applicazione della conoscenza, l’individuazione degli strumenti da utilizzare, le scelte concernenti la loro implementazione.
Secondo Simondon il nesso tra conoscenza e operatività caratterizza quel complesso sistema di attività reso possibile da come siamo – dalla natura umana – e da quello che facciamo. Certamente cruciale per i progressi conseguiti e conseguibili in diversi ambiti, la tecnologia è considerabile anche come un indice dei limiti e delle possibilità che possono essere incontrati dagli esseri umani nelle sedi operativa e applicativa21. In proposito, Simondon osserva che se da una parte la tecnologia andrebbe esaminata alla luce del suo ruolo di medium tra chi opera in qualche modo e la materia che viene scelta per l’attuazione del lavoro22, dall’altra essa è legata a quella che propone di chiamare ‘mentalità tecnica’23. In quanto medium la tecnologia è un insieme di più elementi concatenati tra loro attraverso relazioni che si basano su dinamiche macchiniche che determinano la ‘trasduttività’ ossia il «passaggio da un insieme costituito a un insieme da costituire»24. Tuttavia, se per queste ragioni la tecnologia sarebbe essenzialmente una ‘reinvenzione’25, lo è anche nella misura in cui è legata alla mentalità tecnica.
Come chiarisce Simondon26, la mentalità tecnica ha tre caratteristiche: una positiva coerenza sul piano cognitivo; l’incompletezza e la conflittualità sul piano affettivo; si struttura mediante la volontà. Sul piano cognitivo la mentalità tecnica è caratterizzata da una conoscenza transcategoriale poiché si orienta attraverso l’operatività, ossia modi diversi di agire riconducibili a più categorie, e l’applicazione degli schemi cognitivi ad ambiti operativi diversi. La coerenza della mentalità tecnica si baserebbe proprio su questa plasticità degli schemi cognitivi, che sono adattabili a seconda delle esigenze che si presentano di volta in volta. Sul piano affettivo la conflittualità è determinata dalle applicazioni della mentalità tecnica all’artigianato e all’industria: nel primo caso (artigianato) le fonti di informazione e di energia sono riunite nelle attività dell’essere umano; nel secondo caso (industria) sono separate poiché l’essere umano è solo fonte di informazione che richiede energia alla natura. L’energia richiesta alla natura è quella che alimenta la macchina di cui si serve l’essere umano; diversamente, lo strumento artigianale richiede per il suo funzionamento energia offerta dall’essere umano. Il conflitto ha dunque origine nella relazione tra l’uomo e la macchina, nelle difficoltà che naturalmente si pongono nell’uso di quest’ultima. Per far fronte a queste difficoltà, la mentalità tecnica si organizza attraverso schemi di azione e l’istituzione di un codice di valori. Simondon scrive infatti che il perfezionamento della mentalità tecnica nelle scelte volontarie avviene con l’individuazione di norme attraverso gli schemi cognitivi e l’applicazione di «categorie di un’etica comune della relazione tra le persone»27. Individuare tali norme e categorie vuol dire affrontare i problemi che di volta in volta si pongono insieme al conflitto insito nelle relazioni tra esseri umani e macchine. Superando queste difficoltà è possibile istituire le relazioni necessarie per la elaborazione della struttura di un oggetto. Una struttura che, osserva Simondon, deve essere reticolare – ossia suscettibile a modifiche, miglioramenti, interventi di manutenzione ed eventuale riparazione delle sue parti – per favorire al meglio la sua rinnovabilità.
Oltre a osservare che la struttura dell’oggetto sia «altamente suscettibile di essere continuata, completata, perfezionata, prolungata»28, Simondon riconosce che una estensione della mentalità tecnica si manifesti con ancor apiù successo proprio nelle arti. Rispetto ad altri ambiti di attività umana, nelle arti è possibile cogliere con evidenza il senso di quella che egli chiama ‘operazione tecnica’. Piuttosto che «una messa in forma secondo uno scopo prestabilito» e uno strumento transitorio che lo rende possibile, l’operazione tecnica «è un movimento, una commutazione, una transizione»29. Torneremo su questo tema nell’ultima sezione.
Lo sfondo culturale
Quelli introdotti fin qui sono alcuni presupposti utili per tracciare una via, ossia per iniziare a chiarire anche quali siano i ruoli di una mentalità tecnica e di una operazione tecnica nelle arti. Prima di affrontare il tema dell’implementazione tecnologica, è importante chiarire anche in che modo questa via sia percorribile. Per farlo, possiamo provare ad assimilare le arti alle tecnologie.
Secondo il filosofo Stephen Davies30 le condizioni di possibilità delle arti sono certamente biologiche, tuttavia l’apprendimento dei comportamenti che consentono di farle avviene mediante le culture. Perciò, se da una parte «[t]here are choirs only because people can sing, and they can sing only because they have biologically evolved body parts adapted to vocal production and control, minds adapted to coordinated action, and so forth»31; dall’altra, le arti sarebbero anche frutti delle culture. A suo modo di vedere, poiché i comportamenti che consentono agli esseri umani di fare arte sono abilitati dalla nostra natura biologica, in ultima analisi le arti sarebbero tecnologie. Dunque, la cultura svolge un ruolo importante poiché è attraverso di essa che è possibile imparare le arti e conseguirle mediante più esiti. Davies condivide infatti la concezione antropologica di una relazione simbiotica tra biologia e cultura, secondo la quale «evolution is ongoing and not necessarily separable from cultural process and change»32.
Un aspetto importante dell’arte come tecnologia è quello che può essere detto ‘trasformazionale’, ossia il suo profondo legame tanto con l’insegnamento e la progettazione necessari per svolgere una pratica artistica quanto con l’effetto che le opere producono in chi ne fa esperienza. Da una parte, osserva Davies33, si fa arte sulla base di capacità e intenzioni orientate a ottenere un determinato risultato; dall’altra, questo darà origine a esperienze che influenzano in modi diversi i comportamenti dei fruitori delle opere. Il legame con la cultura è ancora una volta decisivo poiché rende possibile sia gli insegnamenti per fare arte sia la sua condivisione pubblica e sociale. Per conseguire questi risultati, gli strumenti possono essere diversi. Si consideri la musica. Proprio come avviene con il linguaggio – in cui si ascolta, si scrive e si producono nuovi proferimenti – scrive Davies, anche la musica rivelerebbe la sua natura adattiva. Questo perché, a suo modo di vedere, anche i comportamenti musicali emergerebbero spontaneamente nel quadro dello sviluppo umano.
Rispetto alla nostra indagine, sono rilevanti due questioni che Davies mette in luce. Primo, la concezione delle arti come tecnologie rivelerebbe che la loro base è la biologia umana e il modo per imparare a farle e per condividerle è la cultura. Secondo, considerare le arti come tecnologie consente di riconoscere ancora meglio il nesso tra operosità umana, quello che fanno le artiste e gli artisti, e le potenzialità che riescono a rendere condivisibili. Come Davies chiarisce, questo si deve al legame tra fare arte e gli esiti che si possono ottenere attraverso di esso. Perciò, oltre a questi ultimi sono i comportamenti delle artiste e degli artisti a essere un importante oggetto delle nostre valutazioni34.
L’implementazione tecnologica
Nelle sezioni precedenti abbiamo mostrato che la tecnologia anticipa e alimenta le pratiche artistiche e che attraverso di essa è possibile conseguire i loro sviluppi in direzione delle reinvenzioni delle arti nel quadro della loro profonda relazione con le culture.
Come le artiste e gli artisti riescano a conseguire i propri scopi è una questione tecnologica nella misura in cui concerne essenzialmente come si servono degli strumenti e delle risorse che scelgono, ma è anche questione di come si organizzano per svolgere le loro attività.
Entrambe le questioni possono essere ulteriormente chiarite considerando la natura delle pratiche artistiche. Secondo il filosofo Alva Noë35 a differenza di quelle umane, che naturalmente prevedono gradi diversi di organizzazione in relazione alla condizione biologica degli esseri umani, le pratiche artistiche permettono loro di riorganizzare le proprie attività. Per esempio, la danza è un insieme di attività che sono svolte da chi la pratica. Più precisamente, sono attività che organizzano i danzatori: il modo di svolgerle e ordinarle concorrono a rendere manifesta l’organizzazione – o, si potrebbe dire un secondo livello di organizzazione, la riorganizzazione – e insieme a essa l’assorbimento del praticante nella pratica. Tali possibilità, come spiega Noë, sono determinate dalla coreografia36.
Alla luce della relazione tra rinnovamento dell’organizzazione e assorbimento nella pratica artistica è possibile riconoscere, come propone Noë, che le arti siano «reorganizational practices»37. Il ruolo della tecnologia è determinante poiché permette alle artiste e agli artisti di trovare, potremmo dire, nuovi modi di organizzarsi proprio attraverso le pratiche in cui sono assorbiti e gli strumenti e le risorse che possono implementare per svolgerle e conseguire i propri scopi.
Le reinvenzioni
Illustrate le principali ragioni per esaminare le arti alla luce della loro relazione con la tecnologia, è ora necessario chiarire in che modo esse siano basilari per ragionare sulle loro reinvenzioni.
Insieme al nesso tra tecnologia e cultura indicato da Davies38 e il ruolo della riorganizzazione umana che le pratiche artistiche determinano, messo in luce da Noë39, vi è un ulteriore aspetto che è importante considerare. Si tratta dall’effettiva modalità operativa che è resa possibile dalla tecnologia. Oltre a riconoscere il ruolo della tecnicità per le diverse attività che gli esseri umani possono svolgere mediante la tecnologia, esaminando la relazione tra forma e materia, Simondon propone una interessante spiegazione del ruolo della trasduttività. La sua proposta è di provare a considerare gli oggetti non in termini di isomorfismo bensì di ilomorfismo:
occorrerebbe pensare insieme la forma e la materia senza discontinuità, secondo uno schema trasduttivo: un insieme può essere realizzato a partire da un centro di gravità qualitativo corrispondente, per esempio, alle condizioni termiche e alle condizioni gravitazionali di utilizzazione della macchina. […] È proprio in questa direzione che bisogna ricercare una delle migliori condizioni di concretizzazione, quella della materia e dell’insieme materia-forma40.
Difendendo una concezione monista, Simondon mostra dunque che il potenziale trasduttivo della tecnologia – ossia la possibilità di passare da un insieme costituito a uno da costituire – possa essere determinato, in termini operativi, ponendo attenzione a limiti e possibilità imposti e offerti anzitutto dalla materia. Egli ammette infatti che «[e]siste anche nella scelta della materia un’influenza delle condizioni del lavoro di presa di forma»41, tant’è che la trasduttività si compie attraverso l’individuazione della materia che rende possibile la genesi dell’oggetto42. L’identificazione tra operazione tecnica e transizione è riconoscibile anche in questa dinamica operativa, proprio perché è possibile lavorare sulla forma non solo secondo uno scopo ma anche mediante la variabilità e l’influenza della materia su di essa.
Queste tesi di Simondon sono importanti anche per spiegare i periodici moti di rinnovamento che determinano la continua evoluzione delle arti. Il presupposto – condiviso anche da Davies e Noë – è che quello artistico sia un problema tecnologico non solo per l’utilizzo delle più sofisticate attrezzature per affrontarlo ma perché essenzialmente umano e più che umano.
Scegliere il suo concetto di ‘reinvenzione’ per procedere in questa direzione, significa ammettere che esse si trasformino in relazione a più fattori, ai medium e alle operosità umane, nel quadro di oscillazioni concernenti principalmente il rapporto con la forma, ossia dovute a pratiche che possono essere orientate dall’isomorfismo o dall’ilomorfismo.
Ci sono almeno tre ragioni per sostenere questa posizione. Primo, il passaggio da un sistema costituito a uno da costituire si compie anche durante lo svolgimento delle pratiche artistiche. Avviene in relazione tanto alla materia e ai mezzi che le artiste e gli artisti scelgono per svolgerle quanto al loro modo di attuarle. Secondo, come mostrano le pratiche artistiche basate sul concettualismo è ben possibile elaborare opere nelle quali la forma è meno importante del processo. Infatti, le artiste e gli artisti possono stabilire un ordine di priorità tra forma e processo nelle pratiche poiché le opere non sono solamente esiti della conoscenza ma anche delle stesse attività che svolgono: si può ottenere un’opera lavorando sulla forma ma anche “imparando” dalla materia nonché dall’unicità tra esse. Terzo, le opere rendono manifesta – per come sono fatte concretamente – l’inversione di quell’ordine di priorità nelle loro forme (ossia, per esempio, che il processo è più importante rispetto alla forma) principalmente perché, da un punto di vista metafisico, esse sono strutture. Vale a dire, le opere sono sistemi di relazioni che possono naturalmente essere suscettibili alla variabilità. Alcune opere – tipicamente quelle dei generi artistici tradizionali – rivelano la pretesa dell’artista di conseguire l’univocità della forma; altre – tipicamente quelle delle arti concettuali – mostrano la consapevolezza del ruolo delle trasformazioni ammettendo la non univocità della forma. Naturalmente, vi sono numerosi casi in cui le opere d’arte possono anche mostrare entrambi gli aspetti, va così con le ibridazioni43.
A emergere è dunque anche una corrispondenza: tra le reinvenzioni e le pratiche artistiche. La riuscita delle prime si deve anche al carattere mutevole delle seconde, alle transizioni che le animano, a quei movimenti operativi determinati dalle operazioni tecniche che le guidano. Tutte conferme dell’imprescindibile ruolo della tecnologia nelle evoluzioni delle arti.
Note
1 C. Batteux, Les Beaux Arts réduits àun même principe, Durand, Paris 1746; trad. it., Le belle arti ricondotte ad unico principio, a cura di E. Migliorini, il Mulino, Bologna 1983.
2 Ivi, pp. 54-56.
3 G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architetti, Giunti, Firenze 1568; edizione integrale, con una introduzione di M. Marini, Newton Compton, Roma 2012.
4 E. Gombrich, The Story of Art, Phaidon, London 1950.
5 G. Kubler, The Shape of Time: Remarks on the History of Things, Yale University Press, New Haven-London 1962.
6 C. Paul, Digital Art, third edition, Thames and Hudson, London 2015.
7 M. Rush, New Media in Late 20th-Century Art, Thames and Hudson, London 1999.
8 Per approfondire si veda C. Paul, Digital Art, cit., pp. 11-28.
9 Per ulteriori dettagli rinvio a M. Rush, New Media in Late 20th Century Art, cit., pp. 36-77.
10 C. Paul, Digital Art, cit., p. 25.
11 M. Rush, New Media in Late 20th-Century Art, cit., pp. 27-28.
12 Per ulteriori dettagli sulle regole per la creazione artistica e sul ruolo del concettualismo nelle arti mi permetto di rimandare a D. Dal Sasso, Nel segno dell’essenziale. L’arte dopo il concettualismo, Rosenberg & Sellier, Torino 2020, cap. 3.
13 Cfr. R. Hobbs, «Affluence, Taste, and the Brokering of Knowledge: Notes on the Social Context of Early Conceptual Art», in M. Corris (ed.), Conceptual Art: Theory, Myth, and Practice, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 200-222.
14 Cfr. E. Shanken, «Art in the Information Age: Technology and Conceptual Art», in ivi, pp. 235-250.
15 Cfr. J. Drucker, «The Crux of Conceptualism: Conceptual Art, the Idea of Idea, and the Information Paradigm», in M. Corris (ed.), Conceptual Art: Theory, Myth, and Practice, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 251-268.
16 Cfr. C. Paul, Digital Art, cit.
17 Ivi, p. 28.
18 Cfr. S. Wilson, Information Arts: Intersections of Art, Science, and Technology, The MIT Press, Cambridge (MA) 2003.
19 Per una introduzione al lavoro degli artisti sulle interfacce orientata da indagini sui sistemi digitali in rapporto a cinestesia e propriocezione, con una utile selezione di opere incentrate sui temi di movimento, sguardo, azioni complesse e riconoscimento facciale si veda in particolare S. Wilson, Information Arts, cit., pp. 729-773.
20 Il concetto è tratto dagli studi raccolti in G. Simondon, Sur la technique (1953- 1983), PUF-Presses Universitaires de France, Paris 2014; ed. it. a cura di A.S. Caridi, Sulla tecnica, Orthotes Editrice, Napoli 2017.
21 Cfr. G. Simondon, «I limiti del progresso umano», in Sulla tecnica, cit., pp. 221-230.
22 Cfr. Id., «Nascita della tecnologia», in ivi, pp. 101-140.
23 Cfr. Id., «La mentalità tecnica», in ivi, pp. 245-260.
24 Ivi, p. 379.
25 Ivi, p. 377.
26 Cfr. ivi, pp. 245-260.
27 Ivi, p. 257.
28 Ivi, p. 260.
29 Ivi, p. 124.
30 Cfr. S. Davies, The Artful Species: Aesthetics, Art, and Evolution, Oxford University Press, Oxford 2012.
31 Ivi, p. 149.
32 Ivi, p. 150.
33 Nel suo resoconto Davies cita le ricerche del neuroscienziato Aniruddh D. Patel concernenti la musica, in particolare la sua proposta di considerarne l’origine e la condivisione culturale basata su insegnamenti e necessità di adattamento, criticandone taluni presupposti – per esempio, la differenza tra comprensione della musica e quella del linguaggio – e propone di estendere le sue osservazioni anche ad altre arti. Per ulteriori dettagli si veda S. Davies, The Artful Species, cit., pp. 149-158.
34 Cfr. S. Davies, The Artful Species, cit., p. 158.
35 A. Noë, Strange Tools: Art and Human Nature, Hill and Wang, New York 2015.
36 Cfr. ivi, p. 15.
37 Ivi, p. 16.
38 S. Davies, The Artful Species, cit.
39 A. Noë, Strange Tools, cit.
40 G. Simondon, «Antropo-tecnologia», in Sulla tecnica, cit., pp. 308.
41 Ivi, p. 309.
42 Cfr. ibidem.
43 Per approfondire sulla identità delle opere d’arte come strutture si veda D. Dal Sasso, The Ground Zero of the Arts: Rules, Processes, Forms, Brill, Leiden-Boston 2021; in particolare i capitoli 2 e 3.
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