Corpi, enti, realtà nella Ontologia Orientata agli Oggetti

Di: Alberto Giovanni Biuso
4 Gennaio 2022

 

Corpi, enti, oggetti, cose. In questi e in altri modi è possibile definire ciò che emerge dal tutto. Per una forse comprensibile ma in ogni caso implausibile e bizzarra abitudine e tendenza, gli esseri umani ritengono che nell’innumerabile insieme di corpi, enti, oggetti e cose uno di essi occupi un luogo speciale, possieda un’ovvia centralità, sia il parametro del significato e del valore di tutti gli altri enti. Tale tendenza intride soprattutto le religioni monoteistiche ma anche varie altre filosofie e culture. È in particolare dal pensiero cartesiano in avanti che ha preso forza «la strana convinzione moderna secondo cui la nostra specie umana, pur essendo alquanto minoritaria, meriti di occupare un buon cinquanta percento di tutta l’ontologia» (p. 68). Convinzione strana, triste e anche un poco patetica «visto che esiste un numero infinito di composti che non hanno al loro interno nemmeno una componente umana» (85).
Anche per questo sono stati numerosi nel corso della storia i momenti e le forme nelle quali la tendenza antropocentrica è stata in vari modi decostruita. La Object-Oriented Ontology si pone su questa linea con argomenti originali, alcuni evidenti e altri più complessi. La prospettiva generale è un solido realismo teso a superare le debolezze di ogni idealismo possibile, soprattutto di quello che definisce se stesso idealismo assoluto, da Hegel a Gentile. La collocazione storica della ‘OOO’ è dunque così riassunta:

Un ritorno a quella tendenza segretamente orientata agli oggetti, riemersa a fasi alterne nel corso del tempo […] che ha avuto, tra i suoi momenti chiave, le sostanze di Aristotele, le monadi di Leibniz, le cose in sé di Kant, le ontologie piatte delle entità e degli attori rispettivamente di Whitehead e di Latour, e lo slancio verso gli oggetti che si ritrova nelle opere di Husserl (oggetti intenzionali) e Heidegger (la Cosa). Ma c’è un altro modo di interpretare la OOO: ha imboccato la strada opposta a quella che, dopo Kant, aveva intrapreso l’idealismo tedesco (Hegel, Fichte, Schelling), eliminando la cosa in sé kantiana mentre affermava il pregiudizio in base al quale la filosofia deve parlare principalmente dell’influenza reciproca tra pensiero e mondo, lasciando ai metodi matematici delle scienze naturali tutte le interazioni tra gli oggetti che avvengono a prescindere dagli esseri umani (213).

Il realismo si può dire in molti modi. La sua tesi di fondo, molto chiara, è che il mondo esiste autonomamente da ogni possibile sguardo, pensiero, interpretazione che di esso si possa dare; che il mondo sia esistito e continuerà a esistere anche dove e quando non ci sono state e non ci saranno menti a osservarlo e a decifrarlo (praticamente dappertutto nell’universo); che la densità delle cose sia indipendente da qualunque consapevolezza delle cose.
Peculiare alla OOO è tuttavia il disaccordo con «qualsiasi forma di realismo che ritiene di poter arrivare direttamente all’oggetto reale o alle sue qualità reali» (143). La OOO concorda invece con l’ontologia kantiana che ritiene che gli enti esistano in sé e che la mente umana non possa coglierli per quello che sono. La mente infatti esperisce sempre le proprie costruzioni del reale, che dal punto di vista ontologico sono delle semplificazioni della profonda complessità del mondo, sono delle «pure finzioni: modelli esemplificati degli oggetti ben più complessi che continuano a esistere anche quando allontano il mio sguardo da loro, per non parlare poi di quando sto dormendo o di quando non sarò più in vita» (42). Non solo: gli enti sono autonomi gli uni rispetto agli altri, ciascuno costituisce un ‘io’ perché essere qualcosa di individuale e separato non ha come condizione esserlo in modo consapevole.
La parola chiave -oggetto- ha dunque in Harman un significato assai ampio poiché nella OOO «‘oggetto’ indica semplicemente qualsiasi cosa che non può essere ridotta né verso il basso né verso l’alto; e ciò significa qualsiasi cosa dotata di un surplus maggiore delle parti che lo compongono e inferiore alla somma totale dei suoi effetti sul mondo» (56). Quindi l’essere di un oggetto è indipendente dalle parti che lo compongono e dagli effetti che produce: «un oggetto  è più dei suoi componenti e meno dei suoi effetti» (58).
Per quanto riguarda le parti, l’oggetto può benissimo essere un composto ma in quanto oggetto è irriducibile a ciò che lo compone, emergendo in modo da costituire un oggetto, appunto, e non una sua parte. La OOO tende dunque a superare lo smallism, il ‘piccolismo’, che riduce un oggetto alle sue componenti microscopiche, atomiche, molecolari. E tende a superare la riduzione operazionistica e pragmatistica di un ente al suo agire, agli effetti che produce su altri enti.
Vive qui un rispetto veramente profondo e radicale verso le cose, verso tutte le cose. Rispetto che prende il nome assai plastico di flat ontology; un’‘ontologia piatta’ convinta che la filosofia debba partire (non rimanere) dall’aspirazione a parlare di tutto, ponendo ogni ente sullo stesso piano di consistenza e di valore, senza gerarchie precostituite da uno di tali enti, senza cedere «alla tipica ipotesi modernista secondo cui il pensiero umano possiede una natura completamente diversa da tutte le migliaia di miliardi di entità non umane che esistono nell’universo» (98). Se questa è l’identità piatta di tutti gli enti, si deve poi lavorare per cogliere le differenze tra di essi, senza che queste differenze costituiscano delle gerarchie che pongono inevitabilmente al centro di tutto l’entità che istituisce tali gerarchie. È la feconda dinamica di identità e differenza: «Ci aspettiamo che la filosofia ci parli delle qualità che caratterizzano ogni cosa, ma vogliamo anche che ci dica quali differenze ci sono tra i diversi tipi di oggetti» (59).
Gli oggetti sono reali e sono sensuali. I primi sono gli oggetti a sé stanti, gli oggetti di per sé. I secondi sono gli oggetti come correlati della nostra mente e della nostra esperienza. La fiamma che brucia è un oggetto reale, la fiamma percepita dai nostri sensi è, appunto, un oggetto sensuale. Gli oggetti hanno qualità reali e a loro intrinseche, il cui variare modifica l’oggetto in sé, e qualità sensuali le cui modifiche -di luce, di prospettiva, di contesto, di grado e diversità della percezione- variano con il modificarsi del contatto percettivo. L’oggetto reale e le sue qualità reali esistono indipendentemente dalla percezione, l’oggetto sensuale e le qualità sensuali esistono in relazione alle modalità percettive, come correlati degli stati di coscienza.
Per Harman la fecondità della fenomenologia sta nella straordinaria ricchezza delle analisi che Husserl conduce sull’oggetto sensuale e sulle sue qualità; il limite consiste invece nel ritenere che l’oggetto non possieda autonomia ontologica rispetto a tali percezioni. La fecondità dell’ontologia di Heidegger sta anche nel riconoscere piena autonomia alla Ding, alla Cosa, oggetto di alcune tra le analisi più feconde di questo filosofo. Il libro conduce una analisi molto accurata e tecnica del quadrato ontologico ed epistemologico che scaturisce da tali prospettive: Oggetto Reale; Qualità Reali; Oggetto Sensuale; Qualità Sensuali (p. 79), i cui risultati provo a riassumere.
Tutti gli oggetti sono eventi. Harman non condividerebbe affatto tale formula e preferirebbe dire che  tutti gli eventi sono oggetti ma si tratta di una questione in gran parte nominalistica; entrambe le definizioni scaturiscono da una affermazione come questa: «La maggiore o minore durata nel tempo non è un buon criterio per dividere le cose in due gruppi: quello che risponde al nome di ‘oggetti’ e quello che risponde al nome di ‘eventi’» (58). Il mondo è infatti composto da oggettieventi, dove il flusso -contrariamente a quanto sembra temere Harman- non indebolisce per nulla la densità ontologica degli oggetti ma al contrario è garante di una costanza che scaturisce dalla tensione e dalla dinamica tra l’oggetto e le sue qualità,

tra un oggetto sensuale duraturo e una lunga serie di qualità che cambiano da un momento all’altro. Tale tensione si può definire tempo, nel senso della nostra esperienza del tempo, non quello che scorre oggettivamente su un orologio. Proprio come lo spazio presuppone sia la prossimità che la distanza, il tempo implica sia la durata che il cambiamento; se incontrassimo soltanto un caleidoscopio stroboscopico di proprietà in costante variazione, l’esperienza che proveremmo sarebbe quella di un caos totale, non del tempo. Ciò che ci offre il tempo, invece, è l’esperienza del continuo cambiamento che balugina davanti ai nostri occhi su uno sfondo che muta più lentamente, fatto di oggetti sensuali duraturi (141-142).

A questa tensione, la OOO aggiunge quella tra Oggetto Sensuale e Qualità Reali, che Harman come Husserl chiama eidos, le qualità costanti in sé al di là della costanza della percezione che una mente ha dell’oggetto. Il riferimento più empatico non è quindi a Husserl ma a Heidegger. Esattamente all’intuizione che l’essere non è soltanto presenza, che l’essere non si esaurisce nella presenza. Non si esaurisce non soltanto nella presenza alla mente ma nella presenza in se stessa. Insieme e oltre l’ente c’è infatti lo sfondo dal quale l’ente emerge, che è semplicemente l’essere: «Perorerò questa causa in modo diverso da Heidegger, anche se sono d’accordo con la sua fondamentale linea di pensiero: la realtà delle cose è sempre ritratta o velata, anziché direttamente accessibile, e di conseguenza qualsiasi tentativo di cogliere tale realtà attraverso un linguaggio diretto e letterale fallirà inevitabilmente» (45).
Quest’ultima affermazione apre a uno degli elementi più originali e radicali della OOO. Esso consiste nell’ammissione che la conoscenza delle cose in sé è preclusa alla mente umana, proprio perché si tratta delle cose in sé. Cogliere la loro natura non è possibile con gli strumenti della gnoseologia e delle scienze dure. Lo è invece con le modalità estetiche, con il linguaggio, le prospettive e la profondità delle arti. Il secondo capitolo del libro ha come titolo «L’estetica alla radice di tutta la filosofia», formula che viene così giustificata:

Al giorno d’oggi, intere branche della filosofia sono ossessionate dal bisogno di smascherare l’assurdità’ o l’‘approssimazione’ di chi parla in maniera evasiva, anziché in modo diretto e verificabile. Eppure esiste una lunga tradizione intellettuale pienamente consapevole dell’importanza del fatto che il contesto delle cose passi inosservato e sia persino insondabile; una tradizione che forse è culminata proprio in Heidegger, che si domandava quale fosse il significato dell’essere al di là di tutti gli enti individuali visibili. Lo stesso Aristotele ha contribuito non poco a questa tradizione oscura, in una serie di modi che spesso finiscono per essere nascosti dalla sua caratteristica opposta: quella di essere il padre della logica occidentale (87).

La metafora, modalità non letteralista del discorso, diventa quindi non un’espressione più o meno piacevole e intrigante ma una vera e propria modalità di conoscenza di ciò che di più complesso e profondo sta negli oggetti, di ciò che gli oggetti sono. È chiaro, ormai, che nella OOO la parola ‘Oggetto’ ha un significato e un orizzonte assai più ampi rispetto a quelli del linguaggio comune e non si contrappone al ‘Soggetto’ proprio perché tale dualismo è uno degli elementi del moderno che la OOO intende oltrepassare, ritenendo del tutto sterile e ingiustificato il dualismo tra «il pensiero umano da un lato e ogni altra cosa nell’universo dall’altro» (60). Non è necessaria alcuna relazione originaria tra la mente e gli enti. Gli enti esistono in modo indipendente da qualunque mente possibile. Esistono. E basta.
Bisognerebbe dunque, coerentemente, oltrepassare anche il dualismo che ancora permane in una delle affermazioni riassuntive e conclusive del libro: «Gli oggetti agiscono perché esistono, anziché esistere perché agiscono» (217). Gli oggetti agiscono esistendo e la filosofia è la comprensione di questa loro modalità d’esserci, la comprensione vale a dire della struttura temporale degli oggettieventi. Comprensione che si fonda anche sul dissolvimento di una delle modalità più nascoste ma più operanti del moderno, che Harman fa emergere con chiarezza: l’occasionalismo. Se nessuno oggi prende sul serio l’ipotesi che la corrispondenza tra la mente, le cose e gli eventi sia garantita ogni volta dall’intervento divino, la tendenza soggettivistica e idealistica sostituisce semplicemente al Dio cristiano (o islamico) la mente umana, che diventa la garante della corrispondenza tra il pensiero e la cosa. Ad esempio, Kant e Hume «hanno in comune con l’occasionalismo l’idea che la causazione abbia luogo in una specifica entità in particolare: vale a dire, la mente umana» (146).
La OOO di Graham Harman, di Ian Bogost, di Levi R. Bryant, di Timoty Morton e in parte anche di Jane Bennett e Tristan Garcia, ha delle debolezze ma ha soprattutto grandi meriti, tra i quali l’assenza di qualunque complesso di inferiorità verso le scienze dure. Essa presenta la OOO come una ‘teoria del tutto’ molto più coerente e plausibile rispetto a un’altra teoria che rivendica per se stessa la formula di ‘una teoria del tutto’, vale a dire l’ipotesi cosmologica delle stringhe di Brian Greene e di altri. Vera o no che sia, la teoria delle stringhe non può presentarsi come una ‘teoria del tutto’ a causa dei suoi presupposti riduzionistici, del presupposto per il quale «tutto ciò che esiste dev’essere necessariamente di natura fisica. Un’efficace teoria delle stringhe riuscirebbe a riassumere tutto ciò che sappiamo sulla struttura e sul comportamento della materia fisica. Ma questo la rende comunque una ‘teoria del tutto’ solo a patto che quel ‘tutto’ sia di natura fisica» (34-35). E invece, ad esempio, la Compagnia Olandese delle Indie Orientali «non è stata un pezzo di materia, per quanto complesso nell’aspetto, bensì una forma che è durata più o meno 193 anni, nonostante il costante mutamento dei suoi componenti materiali» (37).
A tale presupposto invalidante se ne aggiungono altri: che tutto ciò che esiste sia semplice (il ‘piccolismo’ al quale ho accennato prima); che esista o sia esistito occupando un luogo nello spazio, quando il tutto è invece composto anche da Odisseo, da Sherlock Holmes, dalla giustizia, dall’amicizia, dal numero 318 (e non dal modo in cui è scritto), da tutti gli enti insomma che non occupano un luogo. Se aggiungiamo che ogni pensiero è una finzione tesa a interpretare il mondo, «qualsiasi ‘teoria del tutto’ che rifiuti la realtà delle finzioni, o le passi sotto silenzio, già solo per questo non è in grado di raggiungere il suo obiettivo di essere onnicomprensiva» (43). Altrettanto debole è il presupposto che tutto ciò che esiste si possa e debba predicare con un linguaggio proposizionale. Basta riflettere un poco sulle esperienze psicologiche, estetiche ed esistenziali per rendersi conto che moltissime conoscenze sono inesprimibili con il linguaggio della fisica e diventano invece predicabili con altre forme di linguaggio.
Il maggior elemento di fecondità dell’Ontologia Orientata agli Oggetti sta dunque nel rivendicare la natura metafisica del discorso e dell’indagine filosofica, la natura metafisica del mondo.

 

Graham Harman
Ontologia Orientata agli Oggetti
Una nuova teoria del tutto
(Object-Oriented Ontology: A New Theory of Everything, Penguin Books, 2018)
Trad. di Olimpia Ellero
Prefazione e cura di Francesco D’Isa
Carbonio Editore, Milano 2021
Pagine 234

 

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