Ma i cani non miagolano!

Di: Gianni Rigamonti
8 Luglio 2021

 

Signora,

se le scrivo in forma privata, senza passare attraverso un avvocato, non è per un qualsiasi sentimento, positivo o negativo, nei suoi confronti; né potrei averne, visto che non ci siamo mai incontrate. Quello che mi spinge è il rispetto per la memoria di Robi (so che dovrei scrivere Roberto, ma mi viene troppo innaturale): lui non avrebbe mai voluto che lei, la sorella che da trent’anni non lo praticava ma comunque sorella, e io, l’amante (ma qui, penso, lei preferirebbe dire “la puttana preferita”: e dica pure) ci scontrassimo in tribunale. Così le propongo un accomodamento bonario: a me la custodia di Kira e Lula, più tutte le attrezzature, cucce e quant’altro, a lei il resto cioè la casa con tutto quello che contiene, a parte le cose delle bestiole. Se è d’accordo eviteremo un sacco di parole, e non solo parole, antipatiche. Ma adesso lasci che le spieghi le mie ragioni. Non sarà un discorso breve ma non lo salti a piè pari, la prego.

Io ho conosciuto Robi dieci anni fa, quando ne avevamo tutti e due cinquanta giusti. Ero entrata da poco in menopausa ma continuavo a lavorare, del resto continuo anche ora, per di più col vantaggio che da allora il rischio di rimanere incinta non c’è più, e la prima volta con lui me la ricordo benissimo, è un bel ricordo; quelle dopo no, cioè le ricordo volentieri anche loro, ma tolta qualche eccezione non riesco a separarle l’una dall’altra, sono state troppe. E insomma arriva questo qui che oltre a essere bello e ben educato e questo lo sa pure lei fa anche bene l’amore e questo lo so solo io, e quando va via io mi domando se tornerà perché nel nostro mestiere è così, quando sono simpatici una vorrebbe vederli tornare e certi lo fanno ma altri no, e una ci rimane male. E invece lui è tornato, non una volta ma tante, che siamo diventati amici e poi amicissimi e a un certo punto non l’ho più fatto pagare, prima di allora mi era successo solo un’altra volta, tanti tantissimi anni prima, con uno del quale non so più niente da un pezzo. Era da molto che Robi non pagava, e a ogni compleanno pretendeva quello che per lui, parole sue, era il più bel regalo del mondo, ventiquattro ore tutte per lui, e io gliele davo volentieri, erano un regalo anche per me. E da un pezzo l’amore lo facevamo a casa sua, non da me, dove ricevo tutti gli altri. È stato così che ho conosciuto Kira e Lula, e prima di loro Ianca, e prima ancora Moro. Tutti simpatici: ma i cani, se li tratti bene, lo sono sempre. Dei batuffolini di quattro chili al massimo, e a volte neanche due: Kira e Lula sono Chihuahua, Ianca era Yorkshire, e Moro pure, che allora Robi lavorava anche coi maschi ma poi aveva smesso, diceva che le femmine imparano meglio.. “L’uomo è l’unico mammifero con maschi e femmine che hanno voci diverse”, mi spiegava. “Pensa ai cavalli, ai bovini, a tutte le scimmie, anche ai leoni o ai gatti: non c’è differenza. Fra gli uccelli sì invece, però all’incontrario, cioè quando le voci sono diverse sono le femmine ad averla grave e i maschi acuta, pensa ai galli e alle galline: proprio l’opposto di noi umani, che le femmine sono soprani e i maschi tenori o bassi. Però i cani ce le hanno, le voci più o meno acute: ma secondo la taglia, non secondo il sesso. Un San Bernardo, femmina o maschio, è un basso profondo; uno Yorkshire, femmina o maschio, un soprano. È per questo che io lavoro coi piccoli”. Qui di solito si fermava un momento, ma riattaccava subito: “Come potrebbe miagolare un San Bernanrdo? Sarebbe come se uno pretendesse di suonare un pezzo per clarinetto col basso tuba. No no, ammettiamo pure, per assurdo, che un cane grosso impari a modulare la voce e magari diventi anche melodioso: ma ti pare che miagoli Fischer-Dieskau?” E mi spiegava e rispiegava che Dietrich Fischer-Dieskau è stato il più grande baritono-basso del Novecento; e aveva ragione, adesso lo so anche io, non si contano le volte che me l’ha fatto ascoltare.

Lei saprà, sicuramente, che il grande scopo della sua vita era proprio insegnare ai cani a miagolare, e per dedicarcisi tutto aveva rinunciato a farsi una famiglia e chiuso il negozio di elettrodomestici, che era sempre andato bene, accontentandosi dell’affitto di quei due appartamenti in più che aveva. Le spese le sapeva misurare, non sperperava proprio, e il necessario se l’era saputo difendere ma questo sicuramente lei lo sa già, come saprà che mai un viaggio, mai ristoranti di lusso o macchine sportive, mai capi firmati, non gliene fregava niente, il meglio solo per i cani, e per lui le puttane, ma non di lusso, quelle come me, che lui diceva che siamo più simpatiche delle signore per bene, lei naturalmente non sarà d’accordo. E a parte questo, tutto ma proprio tutto per il suo grande sogno, però lui diceva progetto, far miagolare i cani. “I latrati, anche quelli dei cani piccoli”, diceva, “sono disarmonici, non c’è mai niente che si possa dire nota, nota precisa. Invece i miagolii sono musicalissimi, una nota sola, bella pulita, chiara, e non cala per niente, caso mai – qualche volta – arrivano perfino a modularla. Il gatto quando non è in calore o arrabbiato è intonatissimo. Il cane invece è quanto di più lontano dalla musicalità di possa immaginare, ma ha sempre una gran voglia di imparare, per far piacere al padrone, e allora io gli insegno”.

Dava i numeri? Ma era la persona più tranquilla, più serena, più imperturbabile che io abbia mai conosciuto, non gridava mai, e se succedeva qualcosa di seccante diceva sì “Questa è una scocciatura”, ma come un altro avrebbe detto “Oggi forse pioverà. O forse no”.

E il tempo della vita passava, ogni anno le gambe andavano un po’ più piano, i cani cambiavano perché vivono poco povere stelle e il lavoro fatto con uno doveva ricominciare da capo con quello nuovo ma lui, pazientissimo, non mollava mai anzi negli ultimi tempi era su di giri da morire, grazie soprattutto a Kira che proprio lo entusiasmava, diceva “Ti dico è sempre latrato, d’accordo, ma adesso in certi momenti ci si sente dentro un re sovracuto, chiarissimo, aspetta ti faccio sentire la registrazione, ecco, ascolta ascolta, non lo senti anche tu il re?” Io stavo zitta, non sono persona da dire sì quando non è convinta, ma intanto il mio sì lui se lo fabbricava dentro e ci godeva, e perché togliergli il piacere, se per lasciarglielo non avevo bisogno di dirgli nemmeno la metà, nemmeno la decima parte di una bugia? Come se non ne dicessimo mai, fra l’altro.  Ma ripeto, non ce n’era bisogno.

Quando parlava così si agitava tutto, ma per la gioia, non la rabbia, che lui non sapeva che cosa fosse. Ma forse è stata lo stesso l’agitazione a fargli male.

*      *          *

Lei sa già che è successo l’altro ieri, martedì, ma il modo non lo sa ancora. Adesso glielo racconto. E allora: anche quel giorno, dopo tutti ‘sti bei discorsi (li ripeteva sempre) avevamo fatto l’amore come al solito – ma no, non come al solito, lui era stato un uragano, le giuro, proprio un uragano, e non dica “Ma dài, a sessant’anni, quante balle!”, non sono balle, che lei mi creda o no, e dopo mentre riposavamo abbracciati, che lo facevamo sempre, tutto insieme lui fa un respiro lungo, ma proprio lungo, e poi tace. Io stavo benissimo così, ma mi è venuta la voglia di chiacchierare. “Robi”, gli ho detto.

Niente.

“Robi”.

Ancora niente.

L’ho guardato bene in faccia, e lui non spostava gli occhi. Gli sono andata vicinissima, viso a viso, e il respiro non si sentiva. Gli ho toccato il petto, proprio dove c’è il cuore, e non si muoveva niente; gli ho toccato la gola, le carotidi, nemmeno lì si muoveva niente; e allora ho sentito la pace, una pace più grande di qualsiasi altra cosa, perché niente l’avrebbe più interrotta. Niente più preoccupazioni, niente più inseguire scadenze, portare pazienza con le persone antipatiche, spiegare le cose a chi è troppo stupido per capire o capire non vuole, difendersi dai falsi amici, rispettare le convenienze. D’ora in poi, solo pace. E a me, dentro, si è acceso un lumino. Perché dentro ognuno di noi, signora, è un santuario dove brillano tante lucine, una per ognuna delle persone che ha amato. Ma è un santuario che morirà, e allora quelle luci si spegneranno; solo che ci saranno altri santuari dove se ne accenderà una nuova, quella per te.

E dopo sono venuti due poliziotti, un uomo e una donna, giovani e carini tutti e due, gentilissimi, mi hanno fatto un po’ di domande, e neanche tutte quelle che mi aspettavo, se lo sono portati via perché bisognava fare l’autopsia, che ha dato il risultato che lei sa già, e io mi sono presa Kira e Lula con tutte le loro cose, e adesso stanno da me e ci resteranno, se lei come spero non farà obiezioni. Ma perché dovrebbe farne? E Kira è vecchia, non ci va più in calore, ma a Lula farò conoscere qualche ragazzo simpatico, mi rifiuto di credere che in tutta la città non ci sia nessun bel Chihuahuino adatto a lei.

So che in giro si spettegola molto su Robi, sulla sua morte e ancora più sulla sua vita, e tanti dicono che l’ha buttata via, che sì, l’ha dedicata per intero a una cosa in cui credeva ma questa cosa non voleva dire niente anzi era proprio balorda, e una vita così non vuol dire niente neanche lei. Ma che ne sappiamo noi, presuntuosi arroganti esseri umani, di quel che vuol dire la nostra vita? O di quel che vogliamo dire noi?

So che in giro si spettegola molto su Robi, sulla sua morte e ancora più sulla sua vita, e tanti dicono che l’ha buttata via, che sì, l’ha dedicata per intero a una cosa in cui credeva ma questa cosa non voleva dire niente anzi era proprio balorda, e una vita così non vuol dire niente neanche lei. Ma che ne sappiamo noi, presuntuosi arroganti esseri umani, di quel che vuol dire la nostra vita? O di quel che vogliamo dire noi?

PDF del racconto

Categoria: Scrittura creativa | RSS 2.0 Commenti e pingback sono attualmente chiusi.

Nessun commento

I commenti sono chiusi.

Accedi | Gestione | Alberto Giovanni Biuso e Giusy Randazzo © 2010-2024 - Periodico - Reg. Trib. Milano n. 378 del 23/06/2010 - ISSN 2038-4386 -

Free hit counters