L’attualismo e il problema dell’arte in Giovanni Gentile*
Tema privilegiato delle seguenti pagine è il nesso di arte e pensiero che sta a fondamento della Filosofia dell’arte (1931) di Giovanni Gentile. È bene chiarire sin da adesso che non si indagherà passo passo l’intero impianto della Filosofia dell’arte, né tantomeno verrà argomentato nei dettagli come Gentile proponga, in polemica con Benedetto Croce, la sua ‘estetica filosofica’ contro l’‘estetica empirica’, bensì sarà proprio il nesso cui si è appena accennato a guidare il discorso lungo la corposa Introduzione e la I parte dell’opera.
1. Prima di affrontare di petto la questione dell’arte – mai ridotta da Gentile ad argomento di semplice disquisizione estetica, se per ‘estetica’ s’intende quella disciplina speciale che presuppone il suo oggetto come un fatto già dato – l’Introduzione alla Filosofia dell’arte dipana a tutti gli effetti una teoria dell’oggetto, della cosa.
Difatti, il vero problema dell’attualismo è capire anzitutto che cosa è un problema, e più in generale capire cosa c’è e che cos’è quello che c’è. Sostiene Gentile che un «problema è ogni ostacolo che il pensiero deve superare per procedere oltre in quello svolgimento in cui è la sua vita, anzi il suo stesso essere», e poi avverte il filosofo che «s’intenda per pensiero non l’attributo dell’essere pensante (poniamo, dell’uomo), ma l’essere pensante medesimo (l’uomo)»1. Un problema, quindi, è qualcosa che limita il pensiero, e che il pensiero umano ha il dovere di superare. Tale superamento non è un che di esteriore o di possibile ma è necessario, è d’obbligo che il pensiero, per essere tale, superi quel qualcosa che lo limita. E il pensiero non è un aggetto dell’uomo, bensì l’uomo è uomo soltanto perché «vivere è pensare»2.
Assicurata questa prima posizione, per cui pensare è sempre superare qualcosa, resta da comprendere però cosa realmente c’è e che cos’è che il pensiero ha da superare.
Attingendo alla Teoria generale dello spirito come atto puro si legge che: «Chi dice soggetto, dice insieme oggetto»3. Con questo postulato di tutto l’attualismo, Gentile fa chiarezza sul fatto che porsi il problema del problema, e così il problema dell’oggetto in generale, significa sin da subito stare sotto il dominio del soggetto, poiché «l’oggetto quantunque pensato fuori d’ogni mente, è sempre mentale»4. L’oggetto, dunque, è il riflesso soggettivo del pensiero: il soggetto riflette l’oggetto – limitandosi in esso – per rientrare, superando l’oggetto, in se stesso arricchito, potenziato della sua vera realtà dialettica. Questo non implica per Gentile che l’oggetto possa preesistere ed esistere prima e al di là del pensiero – situazione che comporterebbe una limitazione assoluta -, bensì l’oggetto è autoconcetto in atto, è autoctisi del pensiero. In tale moto oppositivo, circolare – «lo spirito è circolo»5 – si realizza il reale divenendo conoscibile, pensabile.
2. Questa angolatura concettuale, che depone ogni limite che non sia posto dal soggetto, ha come primaria conseguenza la negazione di ogni autonomia del reale – se per ‘reale’ s’intende ciò che non è informato dal pensiero. Astratto è pertanto l’empirismo, secondo il quale da un lato vi è il soggetto che conosce e dall’altro l’oggetto conosciuto, senza che quest’ultimo dipenda ontologicamente e gnoseologicamente dalla mente che lo conosce e senza che si comprenda la intrinseca mediazione fra soggetto e oggetto. L’empirismo è per ciò stesso una forma di «assurdo»6 realismo ontologico che ritiene esserci un mondo che possa presentarsi al di là di chi lo pensa, quando invece «esserci è sempre esserci per lo spirito»7.
In tal modo, entrando nel cuore dell’ermeneutica radicale che sta al fondo della Filosofia dell’arte, non ci sono fatti ma soltanto atti del soggetto, in quanto il reale è sempre un concetto frutto dell’attività ermeneutica e semantica del soggetto stesso. Questa tesi non fa cadere il pensiero gentiliano nel ‘soggettivismo’, dal momento che il presupposto fondamentale dell’attualismo è che l’unico fatto universale e insieme positivo è che nulla si dà al di fuori del pensiero attuale. Vale a dire che la realtà, il mondo, gli enti, gli eventi e i processi sono dialetticamente sviluppati dal soggetto; per cui l’oggettivarsi del soggetto è l’esito di un atto libero e insieme necessario dello spirito, il quale per attuarsi limita e a un tempo oltrepassa se stesso. Tale negazione originaria del ‘reale’ è per il sistema gentiliano una necessità logica; poiché se lo spirito avesse un antecedente o un conseguente che lo determini, non sarebbe più spirito incondizionato, assoluto, libero, bensì già da sempre limitato: di un limite invalicabile che annullerebbe la sua autoproduttività.
3. L’esito teoretico dell’Introduzione concerne, dunque, l’impossibilità di risolvere il problema dell’arte e dell’opera d’arte mediante la concettualità dell’empirismo, ma soltanto attraverso il punto di vista della filosofia attualistica, dove la vitale unità dello spirito traspare in modo concreto.
Per non ricadere, infatti, nella sola prospettiva del logo astratto, è d’obbligo saper scorgere, nella sua piena dinamicità, l’unità immanente dello spirito rispetto alle sue forme – una delle quali è appunto l’arte. Ma le forme dello spirito, pensate nella loro molteplicità, sono mera astrattezza. Lo spirito, dunque, è come se fosse una matrioska sempre scomponibile ma comunque unitaria: solo a partire dell’unità iniziale è astrattamente possibile scorgere la molteplicità, anche se tale molteplicità è tutta interna all’unità stessa.
All’inizio, l’Introduzione è stata compresa come una ‘teoria dell’oggetto’, adesso tale definizione dovrebbe risultare parzialmente scorretta. Difatti, e ora si capisce il motivo, l’oggetto, il vero oggetto è sempre e in ogni caso il soggetto: dalla cui dinamicità autopoietica a esso intrinseca si dipana l’oggettività del reale, fatta di processo e sviluppo. Assicurarsi l’oggetto significa per Gentile fondare, giustificare la soggettività umana fin dentro alla sua più fonda radice spirituale che non conosce limiti né spaziali né temporali.
Si fa chiaro, pertanto, che l’aspetto centrale dell’attualismo di Gentile, e di conseguenza della sua estetica filosofica, è l’incondizionatezza della soggettività quale attività e forma del pensiero autocosciente.
Sembra, però, che tale aspetto decisivo, ed è questo il problema che più interessa, nella I parte della Filosofia dell’arte venga meno, o meglio: sembra che Gentile scorga una ‘realtà’ originaria che preceda il pensiero, e che quindi ponga le basi per individuare una profonda contraddizione interna al sistema attualistico. Questa ‘realtà’ originaria, che sta al cuore della concettualizzazione dell’arte, è il sentimento. Ma prima di arrivare a una comprensione specifica di questo problema e di come Gentile lo superi, è opportuno affrontare il nesso cruciale di attualità e inattualità dell’arte.
4. Per scorgere la prima forma, e forse meno problematica, di attualità dell’opera d’arte, si deve tenere a mente il divieto gentiliano di adoperare le categorie concettuali dell’empirismo. L’arte, come in parte anche la storia, non è un fatto, ma è sempre in atto. La sinfonia n. 7 di Beethoven, ad esempio, non è un fatto, né tantomeno meno è il supporto sul quale è incisa. La Divina commedia, nella sua prima edizione del 1472, è un oggetto fra i tanti, ma non è l’opera in quanto tale. Il potente Trionfo della morte che si trova su una parete del Palazzo Abatellis in Palermo, non è altro appunto che una parete sulla quale vi sono impressi delle forme, dei volti, dei gesti. Certamente, è possibile collocare tali opere d’arte nel loro periodo storico, indagandole da un punto di vista tecnico e anche artistico, e provando a distinguerle da ciò che è e non è arte. Ma, in tal modo, si asseconderebbe una prospettiva che è propria del modo di pensare empirico, e che dunque non è adatta, oltre a essere errata per l’attualismo, a cogliere la cosa.
Alla luce di ciò, resta da chiedersi come l’opera d’arte si fa attuale nonostante anche le grosse distanze che intercorrono fra noi e il tempo in cui l’opera è stata concepita? Gentile, prendendo a esempio una poesia, scrive: «Durante la lettura, la distanza è sparita» e pertanto «il lettore si oblia nel mondo dell’autore, in questo mondo vibrante di commozione»8; e conclude in seguito il filosofo siciliano che «insomma, se la lettura ci mette d’innanzi l’opera d’arte nella sua effettiva esistenza, quando essa riesca al suo fine è bensì raggiunta l’opera d’arte, ma questa è stata sottratta alla sua collocazione cronologica»9.
In altre parole, l’opera d’arte si fa attuale sotto l’aspetto performativo, nonché istituente, della lettura (o dell’ascolto o della visione), così divenendo pensiero in atto. Per questo motivo non soltanto scompare l’oggetto nel soggetto perdendo i suoi connotati cronologici, ma anche il soggetto si oblia nell’oggetto in quanto da esso posto, portato in atto, ricreato nel suo ventre, in cui solo l’opera d’arte è opera d’arte. Qui risiede il primo nesso di arte e pensiero: l’opera d’arte, trovandosi nel soggetto stesso che la pone, è secondariamente mediazione, autocoscienza che affonda nel pensiero. Infatti, l’opera d’arte presa a sé, sia pure come fatto estetico, è pura immediatezza.
Già a partire da queste risultanze, il nesso di arte e pensiero diviene oscuro almeno per due motivi. In primo luogo, la distinzione fra arte e pensiero si fa torbida, divenendo tutto arte in quanto tutto è pensiero; in secondo luogo, l’arte in quanto arte non è stata ancora compresa a fondo. Al contrario, si può obiettare sin da adesso che l’arte più che essere una forma del pensiero autocosciente sembra piuttosto frutto del sogno, di una attività onirica inconsapevole e inattuale, tutta racchiusa nella pura soggettività.
Eppure, Gentile risolve questa impasse assai acutamente: il sogno è tale, cioè esperibile, quando diventa oggetto di giudizio del pensiero cosciente (veglia). Vale a dire: il sogno «senza una forma superiore di esperienza, che lo contenga e perciò lo giudichi superandolo, non è sogno; così d’arte non si può parlare se non si assume a contenuto di un giudizio che non è più arte»10. Qui emerge l’identità dei contrari: sonno (arte) e veglia (pensiero) sono due contrari che non vivono assolutamente l’uno contro l’altro, ma l’uno si realizza relativamente e unitamente all’altro; l’uno, di fatto, compensa la ‘mancanza’ dell’altro, essendo inseparabili i due termini della relazione.
L’ostacolo certo più problematico è comprendere l’arte in quanto attività immanente allo spirito, poiché l’arte, come il sogno, se giudicata dal punto di vista della consapevolezza non è più arte, e questa, in quanto inconsapevole/inattuale, rimarrebbe esterna all’attività dello spirito. Ammette, infatti, Gentile che «l’arte, nella sua esistenza immediata, non si può conoscere e sfugge a ogni sforzo che il pensiero faccia per raggiungerla […] E allora? Quando c’è, non è arte; e quando si potrebbe dire: – Eccola lì, l’arte! – essa non c’è più»11; cosicché ci si trova davanti a un bivio: «O arte o filosofia dell’arte; o sognare o vegliare»12.
5. L’arte diventa un «Deus absconditus»13: pura inattualità che sfugge all’attualità del pensiero, così da apparire una forma dell’Io trascendentale kantiano che tutto informa senza mai ridursi al singolo oggetto informato. Questo è il problema che va risolto, introiettato, portato, in un modo o nell’altro, sotto l’interregno di soggetto e oggetto, affinché l’intera impalcatura dialettica dell’attualismo non si arresti prima di iniziare e non rimanga chiusa nella piena soggettività dell’arte.
Ecco, pertanto, che Gentile nel capitolo II della I parte, intitolato La forma, pur riconoscendo che la «l’arte pura è inattuale» sostiene insieme che ciò «non significa che [l’arte] non esista», ma «che non si può separare, qual essa è e per quel che essa è propriamente, dal resto dell’atto spirituale, in cui esiste, e in cui anzi dimostra tutta la sua energia esistenziale»14.
Questa conclusione, tentando una sintesi, implica che: a) l’arte in quanto arte – e dunque l’arte in generale – è un falso problema; b) l’arte è sì, come voleva Vico, un momento della vita puramente soggettiva, ma non è una parte isolata dal tutto né uno stadio storicamente circoscrivibile. Arte e pensiero, in tal modo, sono distinguibili – così come sono distinguibili le singole opere d’arte – da un punto di vista e dialettico – «la dialettica dell’arte non è la dialettica del pensiero»15 – e formale, ma non lo sono entro l’immanente attualità dello spirito che investe, creandola, la realtà stessa. E dunque:
La forma dell’arte non è la stessa forma del pensare, perché l’arte, come abbiamo veduto, non è pensiero, ma di qua del pensiero. È l’anima del pensiero, non il corpo: l’anima nella sua idealità, come principio del vivente, che da questo principio cava tutto il suo essere, e si fa un determinato corpo, e con questo e in questo vive davvero. L’anima in sé, di qua dal corpo che ne è animato, è quella forma tutta speciale, in cui consiste l’arte16.
L’arte, dall’osservatorio attualistico del filosofo siciliano, è «l’anima del pensiero», è «principio» immediato dal quale emerge la coscienza dello spirito; più dappresso, è quella «infanzia dello spirito»17 che già da sempre cammina liberamente sulle gambe dell’autocoscienza, talché «l’arte dunque, essa stessa, partecipa della dialettica della vita spirituale, in cui si produce»18. Se l’arte, infatti, fosse soltanto immediatezza, essa sarebbe pura necessità priva di volontarietà e dunque priva di libertà; se essa fosse soltanto libertà, e con ciò perfetta autocoscienza illimitata, mancherebbe di quell’attrito, di quella concretezza che restituisce dinamicità, movimento, divenire alla vita dello spirito. E così, l’arte contiene già in sé l’intero germe del pensiero: quell’energia che la estrinseca, la oggettivizza dispiegandone la sua fonda umanità di pensiero.
Proprio sull’immediatezza dell’arte, che è il basso continuo del III capitolo della I parte, dedicato alla Dialettica della forma, Gentile afferma con chiare parole che
questo immediato che è nel fondo dell’esser nostro, inattendibile nella sua naturale immediatezza, si spiritualizza e assume un valore, e viene alla luce; e qui si forma, cioè si nega nel suo puro essere naturale, e si pone come quello che ponendosi si nega: si pone insieme col suo contrario e per sintesi di sé e del suo contrario19.
Gentile conferma quindi che nell’arte si invera la prima forma immediata in cui lo spirito si dà, che però è già una totalità vivente, sintesi/mediazione «che si compie nel processo, di cui essa [l’arte] fa parte, opera dentro di essa, trascendendola o facendovi dentro fermentare i germi di una vita più vasta»20. A seguito di queste conclusioni, l’attualismo ne esce potenziato, rafforzato in senso logico e ontologico dall’includere dialetticamente in sé l’immediatezza/inattualità dell’arte, ora tradotta come pensiero, soggettività che nulla ha fuori del suo prodursi, vera autocoscienza «che vuole se stessa»21.
Certo, si potrebbe sostenere che questi esiti della Filosofia dell’arte siano una diretta negazione dell’arte, un suo annullamento nel pensiero, una sua mortificazione. E tuttavia, per Gentile, in accordo con Hegel, soltanto perché l’arte, negandosi, muore nel pensiero può vivere eternamente. A conferma di ciò, come si legge alla voce Artedell’Enciclopedia Treccani redatta dal filosofo siciliano nel 1929, si legge che: «La morte dell’arte non è morte empirica e di fatto: bensì morte ideale, e quindi vita eterna. Essa è presente e incancellabile nella pienezza della vita dello spirito, in cui la potenza del soggetto, o del sentimento che dir si voglia, viene espressa attraverso la mediazione del pensiero»22.
L’arte, quindi, che è sacello dell’intero germe soggettivo del reale, non può attuarsi se non attraverso il pensiero, il quale non è una protesi di tale realtà artistico-soggettiva bensì è il suo dispiegamento necessario, concreto, autocosciente. Ragione per cui, nella II parte dell’opera del ‘31, Gentile assegna una posizione fondamentale alla ‘critica’: «L’opera d’arte ha la sua attuale esistenza nella critica, come ogni oggetto ha la sua sede nel pensiero che lo pensa»23. Se l’arte, ovvero il puro momento artistico-soggettivo-sentimentale dello spirito, non muore e non si realizza nel pensiero (in questo caso nel pensiero critico), l’arte non esisterebbe, non avrebbe concretezza alcuna.
6. Ritornando alla decisiva questione del sentimento, già nel ’29, come si è letto poc’anzi, Gentile scrive: «del soggetto, o del sentimento che dir si voglia»; una affermazione assai significativa che conduce al cuore dell’opera del ’31, al suo snodo più oscuro che è il IV capitolo della I parte dedicato a Il sentimento.
Afferma il filosofo siciliano: «Questa soggettività, immediata e pure dialettica, questa pura forma soggettiva d’ogni pensiero, in cui l’arte consiste, se si vuol chiamare con un nome del comune vocabolario, non può dirsi se non sentimento, non nella sua volgare accezione psicologica, […] ma in un senso rigorosamente gnoseologico, o filosofico»24. Il sentimento, con ciò, assume un valore «gnoseologico, o filosofico» che esplica la soggettività stessa dell’arte e insieme ne intensifica il fondamento, la sua situazione originaria. Tuttavia, il sentimento secondo Gentile è una «crux philosophorum»25, una pietra d’inciampo che ha assunto sfaccettature diverse lungo tutta la storia del pensiero.
In particolare, dai greci fino a Spinoza, il sentimento è stato dimidiato come forma di sensibilità inferiore, dipendente dai piaceri e dalle sensazioni corporee. Per Spinoza, «la cui Etica è tutta costruita come dottrina della libertà che si conquista mediante l’affrancamento dell’anima dalle passioni»26, il sentimento è un ostacolo che va superato per giungere a una compiuta e universale razionalità dell’umano; «il sentimento», infatti, «lega l’uomo a quella vita materiale e sensibile, per cui egli si accomuna agli animali inferiori»27. Soprattutto con la psicologia moderna il sentimento diviene qualcosa di esteriore che arriva a toccare il soggetto per vie oscure; mentre, per Gentile «bisogna che il sentimento s’intrinsechi alla coscienza, e sia la coscienza stessa, in cui chi prova il sentimento realizza il proprio essere»28. Soltanto con il cristianesimo si inizia a intravedere un vero congiungimento del sentimento alla coscienza; cioè avviene grazie al passaggio epocale che dal realismo proprio dell’ontologia greca porta alla volta dell’interiorità cristiana, giacché «il soggetto cominciava a prevalere sull’oggetto: lo spirito si levava, con tutta la potenza del suo interno principio, al di sopra della natura»29.
Sentimento è quell’energia, quella forza intrinsecamente dialettica che mobilita il pensiero, lo ravviva e lo infiamma, come fosse il combustibile grazie al quale la vita spirituale arde. Questo squadernarsi del sentimento accade sì primariamente nell’umanità spirituale più ampia e infinita, ma soprattutto nella soggettività dell’umano, nel singolo uomo che vive e pensa, che sente di esserci, di «un sentire che non è immediato, ma dialettico: cioè compiacersi, non per quel che si è, né per quello che non si è (che è lo stesso), ma per quel che si diviene»30; sicché l’arte non è espressione dei sentimenti più vaghi e indefiniti, ma è l’effettivo sentimento in cui si invera la forma particolare del soggetto umano che particolarizzandosi si universalizza e «così ogni uomo è uomo, cioè pensiero; ma è prima di tutto artista, che è come dire che ha un’anima, e lo dimostra pensando»31. Il sentimento è ciò che insieme raggruma, unifica l’intero dispiegandolo spiritualmente, dacché «la porta dello spirito è infatti sempre il sentimento», e più ancora è «l’unità fondamentale, il comune denominatore, l’universale linguaggio degli spiriti»32.
Questi sono alcuni assunti che marcano un profondo lirismo della Filosofia dell’arte, che però non è sintomo di un venir meno dell’impianto formale dell’attualismo. Al contrario, è la sua più potente fondazione – che quasi lo oltrepassa, lo spinge ai sui limiti più oscuri e paradossalmente naturali. Infatti, il sentimento-arte, seppur concepito dal filosofo di Trapani quale immediatezza in sé inattingibile e a un tempo inseminata dalla mediazione, non è altro in verità che un prius, un’origine in se unitaria ed emanativa soltanto a partire dalla quale il pensiero accade. Il sentimento, con ciò, diviene condizione dell’incondizionato. Diventa quella forza che precede il pensiero e che, alla lettera, lo avvia, lo mette in funzione. Potrebbero essere prova di ciò le ultime battute della Conclusione dell’opera del ’31, ove si legge: «Il pensiero, sì, è la realtà, il mondo; ma l’Atlante che regge questo mondo in cui si vive e in cui vivere è gioia, è il sentimento, che ci fa talora cercare le maggiori opere d’arte come fonti di vita, ma ci fa rientrare sempre in noi stessi ad assicurarci che il mondo si regge saldamente sulle sue fondamenta»33. Affermazioni, quelle appena lette, che per davvero paiono mettere in crisi l’incondizionatezza del pensiero, fino al punto da far incrinare la potente struttura formale dell’attualismo.
Su questo aspetto assai delicato della Filosofia dell’arte e di tutto il pensiero di Gentile, si è espresso Negri osservando che: «L’attualismo, in questo non meno che l’idealismo hegeliano più consapevole del bisogno che ‘il pensiero si adatti e si acconci all’oggetto’ […], anche quando insiste sull’assunzione che ‘nulla trascende il pensiero’, non riesce a negare alla realtà, all’’infinito mondo delle cose’, lo stare originariamente in una situazione di indipendenza oggettiva»34. L’osservazione di Negri coglie a pieno questa contraddizione insita all’attualismo; e però, come giustamente osserva Vegetti, è insieme vero che «non potendo presupporre nulla, il pensiero in Gentile si trova ad essere creatore di sé e del mondo: ‘[…] la prassi, come autoprassi dell’Io esattamente concepito, dell’Io creatore di Tutto, cioè di se stesso, è quel medesimo pensiero divino’»35.
A questo punto, si fa chiaro che il pensiero non è preceduto originariamente dal momento artistico-sentimentale – come sostiene Negri -, bensì proprio perché il pensiero è creatore, formatore, costruttore del suo mondo è artistico, nel senso che è esposto all’immediatezza originaria che, già informata dalla mediazione, lo attiva: ne fa cioè sintesi attuale della sua stessa inattualità. Difatti, come si legge nel passaggio che Vegetti toglie dalla Logica come sistema di conoscenza, l’Io è l’intero, la totalità ed è «quel medesimo pensiero divino» che genera, pro-duce e perciò realizza il reale traendolo, e così mediandolo, da quel fondo di immediatezza che è il sentimento. In tal modo, l’unità originaria che sta a fondamento dell’attualismo è l’unità creatrice della soggettività di pensiero, sintesi di esistenza ed essenza. Unità dalla quale si squaderna la molteplicità degli oggetti e dei problemi che il pensiero deve superare, divorare, smaterializzare nel formarsi identitario e dinamico dell’autocoscienza. Unità sentimentale che è già da sempre impulso dialettico alla differenza, e in ciò è un dipanarsi e farsi del pensiero, dell’artistico umano pensiero che, trasumanando e facendosi dio, istituisce l’intero perché è l’intero, e l’intero è il mondo istituito come volontà e concetto del soggetto umano.
7. A conclusione del presente percorso, si comprende che mediante il pensiero l’arte e dunque il sentimento «diventa consapevole di sé: diventa Io, che è bellezza, ma è anche pensiero che analizza il bello, lo conosce e teorizza, e così riassume e compie nella sua assoluta realtà l’essere»36. Sicché, come scrive Biuso, l’arte è «il luogo, l’esperienza, la dinamica che supera il dualismo di soggetto e oggetto, di pensiero e mondo, immergendo il pensiero nel mondo e facendo scaturire il mondo dal pensiero»37; e con le parole sempre vive di Gentile, l’arte è
Il soggetto, che è negato dall’oggetto nella sintesi: è uccisa da quella conversione di sé nel suo contrario, per cui il sentimento espresso diventa quasi oggetto di contemplazione indifferente, in cui il soggetto, con la sua soggettività, si oblia e sparisce d’innanzi a se stesso. Ma l’oggetto in cui muore è vivo, a sua volta, in quanto il soggetto lo nega ed uccide, rendendogli la pariglia: l’uccide nella sua pura oggettività38.
Ben lungi dal comportare una cesura entro il sistema attualistico, l’arte è davvero il luogo, la dinamica nella quale il soggetto che pensa si espone all’eterno, alla bellezza creatrice del divenire che è il travaglio d’una madre che partorisce da sé il suo oggetto, e che dipoi lo deve uccidere e inglobare a sé per ristabilire l’unità che non ristagna, ma nella quale sempre mulina il gioco di identità e differenza. Come dice Manuele in Aracoeli di Elsa Morante: «Ma tu, mamita, aiutami. Come fanno le gatte coi loro piccoli nati male, tu rimàngiami. Accogli la mia deformità nella tua voragine pietosa»39. Questa splendida immagine della Morante, che si attaglia perfettamente alle pagine gentiliane, mostra come l’oggetto generato, cioè posto dal soggetto, deve rientrare in quella «voragine» non «pietosa», ma infinitamente lucente e unitaria ove tutto l’umano è arte in quanto è spirito creatore che deve partorirsi motu proprio nel pensiero per istituire il mondo. Giacché è il mondo umano, il mondo morale e bello che il pensiero pone come oggetto e «ponendolo lo conosce, e ponendo se stesso conosce sé nell’oggetto; e in quanto conosce se stesso come quell’oggetto che egli pone, non è conoscenza, ma attività positiva, e perciò pratica: volontà attuosa, libertà»40.
Note
I testi di Gentile vengono citati dal volume L’attualismo, introduzione di E. Severino, indici e bibliografia di V. Cicero, Bompiani, Milano 2014, con le seguenti sigle: TS – Teoria generale dello spirito come atto puro; FA – Filosofia dell’arte.
1 FA, Intr., I, I, § 4, p. 952.
2 Ivi, II, IV, § 7, p. 1088.
3 TS, I, § 15, p. 106.
4 TS, I, § 1, p. 77.
5 FA, II, IV, § 4, p. 1193.
6 FA, II, II, § 6, p.1171.
7 TS, IX, § 10, p. 188.
8 FA, I, I, § 4, p. 1020.
9 Ivi, I, I, § 4, p. 1021.
10 Ivi, I, I, § 9, p. 1035.
11 Ivi, I, I, § 9, p. 1036.
12 Ivi, I, I, § 9, p. 1037.
13 Ivi, I, I, § 10, p. 1042.
14 Ivi, I, II, § 4, p. 1049.
15 Ivi, I, III, § 3, p.1064.
16 Ivi, I, II, § 7, p. 1055.
17 Ivi, I, III, § 5, p. 1068.
18 Ivi, I, III, § 3, p. 1064.
19 Ivi, I, III, § 6, p. 1071
20 Ivi, I, III, § 6, p. 1070.
21 Ibidem.
22 Aa.Vv., «Arte», in Treccani, urly.it/3ck_w, consultato il 16.4.2021.
23 FA, II, II, § 8, p. 1171.
24 Ivi, I, IV, § 1, p. 1074.
25 Ibidem.
26 Ivi, I, IV, § 1, p. 1075.
27 Ivi, I, IV, § 2, p. 1076.
28 Ivi, I, IV, § 5, p. 1081.
29 Ivi, I, IV, § 3, p. 1077.
30 Ivi, I, IV, § 7, p. 1088.
31 Ivi, I, V, § 7, p. 1114.
32 Ivi, I, V, § 10, p. 1123.
33 Ivi, Concl., §7, p. 1242.
34 A. Negri, L’inquietudine del divenire. Giovanni Gentile, Le lettere, Firenze 1992, p. 115, citato da A. Vegetti, in «La filosofia dell’arte di Giovanni Gentile», in ACME, vol. LXV, II, maggio-agosto 2012, p. 278.
35 A. Vegetti, «La filosofia dell’arte di Giovanni Gentile», in ACME, vol. LXV, II, maggio-agosto 2012, p. 278.
36 FA, II, I, § 9, p. 1151.
37 A.G. Biuso, «Giovanni Gentile», in Vita pensata, anno X, n. 22 maggio 2020, p. 71.
38 FA, II, V, § 5, p. 1219.
39 E. Morante, Aracoeli [1982], Einaudi, Torino 2015, p. 109.
40 FA, II, IV, § 4, p. 1194.
* Ho maturato questo contributo sulla filosofia di Giovanni Gentile dopo aver frequentato in presenza il corso di lezioni di filosofia teoretica tenuto dal Professore Alberto Giovanni Biuso nel secondo semestre dell’a.a. 2020-2021 (Disum, Catania), e dedicato ad «Atto, materia, tempo». Grazie a questo corso non soltanto ho studiato il pensiero di Gentile, ma ho anche compreso – in un tempo di completa distruzione del corpo sociale – che una singola lezione in presenza vale più di un intero corso tenuto attraverso gli strumenti di prigionia digitale dei corpi. Il mio ringraziamento va dunque ai Professori Alberto Giovanni Biuso e Giovanni Gentile.
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