La depravazione delle forme: anamorfosi e morfogenesi della soggettività in Jacques Lacan
Lacan mi portò […] in luoghi più segreti. Mi fece conoscere un’anamorfosi, ben nota agli specialisti, nel convento di Trinità dei Monti. Si tratta di un affresco […] che rappresenta san Francesco di Paola.
Catherine Millot1
L’esergo è tratto dalle memorie di una paziente di Jacques Lacan (1901-1981) che, dopo essere stata sua allieva e compagna, ha lavorato in Francia come saggista, psicoanalista e docente universitaria. Il volume non è privo di limiti ed è assurto, per qualche tempo, all’onore delle cronache soprattutto per la divulgazione di alcune gravi scorrettezze cliniche e di aneddoti pruriginosi di Lacan sui quali apologeti e detrattori non hanno mancato di gettarsi2.
Eppure, il testo contiene anche interessanti informazioni che, purgate dai pettegolezzi, rivelano altri aspetti inediti della vita di Lacan; questi, almeno indirettamente, consentono di gettar luce sulla genesi di alcune sue teorie e, soprattutto, di comprendere meglio la loro complessa integrazione. Infatti, non bisogna dimenticare che Lacan ha ampiamente attinto alla propria biografia per trovare materiale, quasi di carattere clinico, utile alla costruzione dei suoi testi dedicati, in primo luogo, alla formazione degli analisti. Tra questi elementi autobiografici hanno particolare importanza alcune opere d’arte, apprezzate e collezionate da Lacan, che hanno anche contribuito, in modo esplicito o implicito, a ispirare importanti snodi della sua speculazione. Le occasioni di riflettere su di esse sono allora preziose perché consentono di chiarire il funzionamento di tali articolazioni del suo sistema teorico nel quale convivono discipline tanto eterogenee come la psicoanalisi e l’ottica3. L’episodio ricordato dall’esergo ribadisce che l’anamorfosi possiede un ruolo di primo piano tra i modelli teorici usati dello psicoanalista francese per sviluppare la propria ricerca. La passione per questo genere di produzione artistica caratterizza la parte centrale dell’itinerario teorico lacaniano ma trova i suoi prodromi già nello stadio dello specchio. La testimonianza della Millot consente di soffermarsi su un affresco di Emmanuel Maignan (1601-1676) alla quale Lacan sembra accennare, seppur velatamente, nei suoi seminari. A motivo di tale criptazione esso viene trascurato dalla letteratura secondaria che si concentra comprensibilmente su un quadro di Hans Holbein il Giovane (1497-1543), intitolato Gli ambasciatori, ampiamente valorizzato da Lacan. Tali ragioni ci inducono a ritenere che le considerazioni sull’affresco di Trinità dei Monti, proposte dal nostro contributo, possano fornire qualche spunto originale per approfondire la comprensione del modello anamorfico della soggettività lacaniana.
1 Una risemantizzazione seicentesca
Il nostro principale riferimento storico-artistico è rappresentato da Jurgis Baltrušaitis (1903-1988), docente presso l’Università di Kaũnas dal 1932 al 1939 ma attivo a Parigi già dal 1924, che nel secondo dopoguerra fornì importanti contributi alla ricerca francese sull’iconologia e agli studi comparativi tra l’arte occidentale e quella orientale. Lo studioso franco-lituano è uno dei più accreditati specialisti delle anamorfosi alle quali ha dedicato un documentatissimo volume che ha conosciuto tre edizioni distinguibili, sin dal frontespizio, per i loro diversi sottotitoli ispirati da quelli usati da Jean-François Niceron (1613-1646)4. La prima edizione, intitolata Anamorphoses ou perspectives curieuses, fu pubblicata nel 1955 a Parigi da Perrin ed è quella citata da Lacan in due suoi seminari5. Nel 1969 lo stesso editore stampò la seconda con il sottotitolo magie artificielle des effets merveilleux e con l’aggiunta di due capitoli dedicati alle superfici riflettenti. La terza, pubblicata a Parigi nel 1984 da Flammarion con il sottotitolo Thaumaturgus opticus, venne ulteriormente arricchita dagli ultimi due capitoli, che affrontano gli sviluppi contemporanei di questa pratica artistica, dove si trova citato anche Lacan; il presente contributo farà riferimento principalmente alla prima e all’ultima edizione del suddetto testo.
Baltrušaitis ricostruisce l’evoluzione dell’anamorfosi partendo dalla sua preistoria costituita dagli studi del geometra greco Euclide e dagli artifici prospettici dell’architetto romano Vitruvio. La vera e propria storia dell’anamorfosi iniziò nel Cinquecento sebbene la sua definitiva affermazione, come autonoma tecnica artistica, si verificò nel Seicento quando le venne attribuito anche il termine tecnico con il quale sarà successivamente conosciuta6. La parola, secondo Baltrušaitis, sarebbe un neologismo seicentesco creato accostando il prefisso greco ana (all’indietro, ritorno verso) con il sostantivo morphé (forma)7. Segnaliamo, tuttavia, che altri autorevoli interpreti considerano ‘anamorfosi’ come un derivato dotto della parola greca anamorphoun, dotata del significato di ‘trasformare’ oppure di ‘formare di nuovo’. Questa ricostruzione è filologicamente più corretta perché giudica ‘anamorfosi’ come una risemantizzazione di un termine già esistente piuttosto che un vero e proprio neologismo8.
Le prime occorrenze tecniche del termine risemantizzato si troverebbero, secondo Baltrušaitis, nel testo del gesuita Gaspar Schott (1608-1666) intitolato Magia universalis naturae et artis; l’opera in quattro volumi, pubblicata a Würzburg, tra il 1657 e il 1659, dedica alla Magia anamorphotica un suo intero libro9. La parola si propagò negli ambienti culturali tedeschi ma si affermò in Francia solamente un secolo dopo quando Jean-Baptiste Le Rondd’Alembert (1717-1783) e Denis Diderot (1713-1784) la accolgono nel primo volume della loro Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers pubblicato nel 1751 a Parigi.
Schott usa i termini anamorphosis e anamorphon per indicare un particolare tipo di opere d’arte, prodotto applicando i principi della «prospettiva accelerata o rallentata», che consente di realizzare, in modo matematicamente rigoroso, delle «forme “depravate”»10. Tali nozioni, come abbiamo visto, erano già conosciute precedentemente ma attraversano nel Seicento una fase di riorganizzazione geometrica che consente anche di ampliare le relazioni dell’anamorfosi con altri «ragionamenti speculativi». Nel diciassettesimo secolo, infatti, nasce la geometria proiettiva di Girard Desargues (1591-1661) che fornisce un quadro matematico entro il quale sistematizzare la ricerca scientifica e i dispositivi tecnici dedicati alla realizzazione delle anamorfosi già sviluppati nel secolo precedente11.
Altro aspetto rilevante è costituito dalla grande influenza del cartesianesimo sugli esponenti dell’ordine dei Minimi, fondato da San Francesco di Paola (1416-1507), tra le cui fila si annoverano alcuni dei principali teorici dell’anamorfosi seicentesca. Tra questi ricordiamo oltre a Maignan e Niceron anche padre Marin Mersenne (1588-1648) che è stato in stretti rapporti di amicizia e di lavoro con lo stesso René Descartes (1596-1650). Quest’ultimo, a sua volta, rappresenta uno dei più importanti riferimenti filosofici di Lacan come dimostrano le numerose occorrenze proposte dalle sue opere e, in particolare, quelle contenute nell’undicesimo seminario.
La seconda edizione del libro di Baltrušaitis dedica un intero capitolo alle anamorfosi catottriche (ovvero realizzate per mezzo di superfici speculari) e delinea, in quelli successivi, l’evoluzione storica di queste tecniche artistiche che durante il Settecento e l’Ottocento sopravvivono solo come mere «curiosità scientifiche» perdendo gran parte del loro fascino barocco. Nei primi decenni del Novecento la passione per l’anamorfosi svanì quasi completamente12 forse anche perché intellettuali e grande pubblico furono ammaliati da una ‘magia artificiale’ assai più potente: quella cinematografica.
L’interesse per questo argomento venne rilanciato, negli anni Trenta del secolo scorso, grazie alla ricerca e alla pratica artistica del surrealismo come dimostra Tristan Tzara (1896-1963) che riproduce una di queste opere anamorfiche nell’esordio di un suo scritto13. Il contributo del surrealismo alla rinascita dell’anamorfosi è attestato anche dall’esposizione del 1936 organizzata presso il Museum of Modern Art di New York e da quella del 1965 ospitata dalla Biblioteca Nazionale di Francia14. Nel contesto di tale ambiente culturale, si deve rilevare l’importanza di Salvador Dalì (1904-1989) la cui ricerca artistica e intellettuale trasse importanti elementi d’ispirazione dalle tecniche anamorfiche. L’artista spagnolo, amico ed estimatore di Lacan sin dai suoi anni giovanili, ha probabilmente contribuito ad attirare l’attenzione dello studioso francese sulle anamorfosi o, almeno, l’ha rafforzata15.
2 Obliquità lacaniana
L’anamorfosi inverte i principi della prospettiva proiettando «le forme fuor di se stesse invece di ridurle ai loro limiti visibili, e le disgrega perché si ricompongano in un secondo tempo, quando siano viste da un punto determinato»16. Una delle condizioni di questo artificio è rappresentata da un punto di vista posto sempre su un piano fortemente inclinato rispetto a quello dell’opera d’arte da guardare che trasgredisce la regola della prospettiva ortogonale alla tela fatta propria dalla maggior parte delle tradizioni pittoriche.
Una simile obliquità si trova anche alle origini dell’interesse lacaniano per le anamorfosi che possiamo rintracciare nel suo fondamentale contributo intitolato Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io. Il testo rappresenta il primo importante intervento pubblico dello psicoanalista francese, pronunciato al congresso della Associazione Internazionale di Psicoanalisi a Marienbad nel 1936, che venne successivamente rimaneggiato e pubblicato nel 1949 e, infine, incluso nell’antologia dei suoi Scritti del 1966. L’articolo insiste sulla funzione morfogenetica dell’immagine speculare che è capace di attribuire al «soggetto […] in un miraggio la maturazione della propria potenza». Queste pagine sono già pervase da diversi riferimenti alle prospettive inclinate che possiedono non poche similitudini con quelle eccentriche caratteristiche delle produzioni anamorfiche17. Una delle prime occorrenze del termine anamorfosi in Lacan è contenuta nella Nota sulla relazione di Daniel Lagache: psicoanalisi e struttura della personalità, pubblicata nel 1960 e successivamente riproposta nei suoi Scritti, dove le precedenti ricerche sullo stadio dello specchio vengono sviluppate per mezzo della sua personale rielaborazione del dispositivo ottico di Henri Bouasse (1866-1953)18. Questo strumento produce un’illusione ottica per mezzo di prospettive ortogonali od oblique, assunte dall’osservatore per visualizzare differenti immagini, che Lacan sfrutta per articolare lo stadio dello specchio con i concetti freudiani di narcisismo, Io ideale e Ideale dell’io. La conclusione del testo rivela come siano stati gli «artifizi dell’anamorfosi» ad aver ispirato le speculazioni lacaniane su tale apparato che possiede alcune interessanti analogie con i dispositivi delle anamorfosi catottriche che saranno trattate, nove anni dopo, dalla seconda edizione del volume di Baltrušaitis19. È opportuno osservare che, a quanto ci risulti, Lacan non menzionerà nei suoi seminari successivi questa edizione del 1969, nella quale è compreso il capitolo intitolato «anamorfosi speculari»: forse perché i suoi interessi si erano ormai rivolti altrove. Inoltre, al momento, non ci è possibile formulare alcuna ipotesi circa l’influenza di Lacan sulla seconda edizione del volume di Baltrušaitis.
Un altro volume di Lacan trascrive le sedute del settimo seminario, tenutesi tra il 1959 e il 1960, riprendendo la sua ricerca sulle teorie geometriche e i dispositivi ottici indispensabili a produrre gli effetti anamorfici20. È interessante che lo psicoanalista francese definisca le anamorfosi in riferimento a
tutti quei tipi di costruzioni fatti in modo tale che, grazie a uno spostamento dell’ottica, una certa forma di primo acchito incomprensibile si compone in un’immagine leggibile. Il piacere consiste nel vederla sorgere da una forma indecifrabile21.
L’importanza generale di tali apparati si evidenzia quando Lacan, nella seduta del 10 febbraio 1960, esordisce proclamando enfaticamente che «questa anamorfosi sta […] su questo tavolo […] per illustrare il mio pensiero»22. Il valore dell’anamorfosi viene ampiamente sviluppato nell’undicesimo seminario che dedica a essa l’intera seduta del 26 febbraio 196423. Questo ciclo seminariale è particolarmente importante per la vicenda biografica e intellettuale di Lacan in quanto è coevo alla rottura con l’Associazione Internazionale di Psicoanalisi e alla fondazione della sua scuola; anche per questo Lacan volle che questo fosse il primo a essere stampato nel 197324. Lacan, in questo cruciale seminario, rimarca di aver «fatto un grande uso della funzione dell’anamorfosi, nella misura in cui essa è una struttura esemplare»25. I riconoscimenti concessi da Lacan a Baltrušaitis saranno sommariamente ricambiati da quest’ultimo nella terza edizione del suo libro dove viene citato un brano proprio di questo seminario sul quale torneremo nella conclusione del presente contributo26.
3 Trinità dei Monti
La lettura secondaria, dedicata all’influenza dell’anamorfosi su Lacan, si concentra giustamente sul quadro di Holbein (1497-1543), intitolato Gli ambasciatori perché esso viene menzionato nel settimo seminario e minuziosamente esaminato nell’undicesimo. Lo psicoanalista francese parte da un’estesa sintesi di alcuni brani del testo di Baltrušaitis (esplicitamente citato) per ribadire l’importanza di questa forma d’espressione artistica e di ricerca scientifica27. Al contrario, lo psicoanalista francese non parla mai esplicitamente dell’affresco di San Francesco di Paola anche se menziona alcune volte l’edificio romano che lo contiene. Ciò avviene nel settimo seminario quando Lacan, allo scopo di correggere un suo precedente lapsus, precisa di voler riferirsi al convento dei Minimi di Parigi e a quello di Roma28.
L’edificio romano si trova sulla sinistra della chiesa di Trinità dei Monti rispetto alla scala che, partendo da Piazza di Spagna, risale un pendio del Pincio. Il convento dei Minimi, fondato a Roma nel 1495, è stato costruito e ampliato nei secoli successivi e ha subito varie fasi di restauro e ristrutturazione soprattutto a seguito delle devastazioni causate dell’acquartieramento di reparti di soldati napoleonici del 1798. Sulle pareti dei corridoi situati nella parte superiore del chiostro vennero realizzati due affreschi anamorfici: il primo, per opera di Niceron rappresenta San Giovanni Evangelista mentre il secondo, realizzato da Maignan, il nostro Francesco di Paola. Baltrušaitis dà per perduta la prima opera d’arte, a causa dei danneggiamenti provocati dall’occupazione francese, e nemmeno Lacan ebbe sicuramente occasione di contemplarla29; noi siamo più fortunati poiché essa è stata recuperata, seppur parzialmente, da recenti interventi di restauro30.
L’affresco anamorfico di San Francesco, quando viene visto ortogonalmente, ci propone un panorama pelagico: un golfo abbracciato da rilievi montuosi e spazi pianeggianti, parzialmente incorniciato da fronde che sembrano fuori scala. Maignan ha distribuito su questo vasto sfondo una struttura portuale, un centro abitato, edifici sparsi, fortificazioni e altri numerosi dettagli architettonici e naturali. L’artista francese ha rappresentato in questo contesto un celebre miracolo del santo paolano che, secondo la tradizione, sarebbe stato capace di attraversare lo stretto di Messina navigando sul suo mantello31.
Il visitatore che, arrivato a una delle due estremità della galleria, si volga indietro potrà assumere quella prospettiva fortemente obliqua necessaria per contemplare un’immagine totalmente diversa del medesimo affresco: San Francesco inginocchiato con le mani giunte al petto sotto le fronde di un ulivo in atteggiamento orante. Maignan realizzò il suo affresco assumendo come punto di vista un ingresso laterale posto alla fine della galleria per mezzo di uno strumento prospettico descritto nella sua Perspectiva horaria, sive de Horographia gnomonica stampata in quattro libri nel 1648 a Roma32.
Il testo dello studioso franco-lituano, una monografia dedicata al complesso di trinità dei Monti33 e alcune nostre lunghe ricognizioni nelle gallerie claustrali sembrerebbero dimostrare che la Millot fu, almeno parzialmente, tradita dalla memoria. Infatti, il breve resoconto della sua visita con Lacan al convento dei Minimi, proposto dal suo libro, parrebbe scambiare la visualizzazione ortogonale dell’affresco con quella obliqua34. Questo non toglie, tuttavia, valore alla sua testimonianza perché conferma l’importanza che lo psicoanalista francese attribuiva alle produzioni anamorfiche che non mancò di contemplare di persona quando ne ebbe l’occasione. Il racconto della Millot ci consente di sfruttare anche le pareti del convento romano per comprendere l’interpretazione lacaniana della soggettività. Quest’ultima non pretende di obliterare il concetto di soggetto, alla maniera di altri esponenti dello strutturalismo, ma lo pensa come un effetto di dissolvenza analogo a quello cinematografico o, appunto, a quello anamorfico35.
4 Conclusioni: l’anamorfosi del fallo
L’undicesimo seminario accosta, almeno implicitamente, le deformazioni anamorfiche con quelle topologiche che sono oggetto, negli stessi anni, di ulteriori ricerche lacaniane come dimostrano importanti pagine del ciclo seminariale immediatamente precedente36. In questo modo, Lacan riesce anche a raccordare questi studi con un’altra parte fondamentale del suo sistema teorico costituito dalla linguistica e, in particolare, dall’analisi del fallo come significante fondamentale37. Al fine di comprendere otticamente le modalità di manifestazione di quest’ultimo, lo studioso francese analizza le modificazioni che subisce l’organo genitale maschile in relazione al fenomeno psichico e fisiologico dell’erezione e della detumescenza.
Per esemplificare il ragionamento lacaniano immaginiamo di prendere uno di quei palloncini augurali usati per le feste: quando è sgonfio scritte o immagini riprodotte sulla sua superficie risultano illeggibili perché deformate e troppo piccole. Solo dopo che il palloncino sia stato adeguatamente gonfiato è possibile riuscire a leggere gli auspici tracciati su di esso (per esempio ‘buon compleanno’ oppure ‘felice anniversario’) che prima erano irriconoscibili. Analogamente, l’undicesimo seminario immagina un tatuaggio disegnato su un pene che sia leggibile durante l’erezione ma irriconoscibile nella fase della detumescenza. Il testo, in questo modo, intende tematizzare la «funzione della mancanza» che costituisce il soggetto e la particolare fenomenologia caratteristica della «apparizione del fantasma fallico»38.
Baltrušaitis, alludendo a un brano del seminario del 1964, sostiene che un freudiano come Lacan non poteva restare indifferente a quelle forme di «ammaliamento, ambiguità paranoiche, esasperazioni visionarie» evocate dalle anamorfosi39. Lo storico dell’arte franco-lituano conclude il suo breve riferimento citando l’analisi lacaniana de Gli ambasciatori e marcando la distanza del proprio campo di studi rispetto alla ricerca dello psicoanalista francese. Infatti, Baltrušaitis sostiene che quest’ultima non si situi «più nel campo dell’iconologia ma in quello dei trabocchetti psicoanalitici, provvisti di meccanismi propri»40.
Concludiamo riassumendo che, secondo Lacan, la struttura della soggettività può essere intravvista, sempre in modo precario e temporaneo, in vari modi. Tra questi viene attribuita grande importanza allo sguardo obliquo dello stadio dello specchio, alle prospettive fortemente schiacciate dell’anamorfosi, alle deformazioni topologiche e all’afanisi della psicoanalisi. Il settimo seminario, in particolare, descrive un peculiare modello di soggetto, articolato tra ottica e linguistica, affermando che il valore dell’anamorfosi consiste nella sua capacità di «reindicare che ciò che cerchiamo nell’illusione è qualcosa in cui l’illusione stessa […] si trascende, […] mostrando di non essere lì che come significante»41.
L’undicesimo seminario approfondisce tale speculazione sottolineando che il coevo sviluppo dell’anamorfosi barocca e quello della filosofia cartesiana (sintetizzate dalla storia dell’affresco di San Francesco e da quella del suo autore) non può essere interpretato come una semplice coincidenza cronologica. Infatti, a suo avviso, tale contemporaneità storica renderebbe evidente che «proprio nel cuore dell’epoca in cui si disegna il soggetto […] si cerca l’ottica geometrale»42.
Note
1 C. Millot, Vita con Lacan, trad. it., Raffaello Cortina, Milano 2017, p. 12, corsivi nostri.
2 Cfr. M. Recalcati, «Prefazione» in C. Millot, Vita con Lacan, cit., pp. VII-XIV; A. Caruso, Contro Lacan, Lithos, Roma 2019.
3 Cfr. F. Palombi, Lacan, RCS, Milano 2014, pp. 61-80.
4 Cfr. J. Baltrušaitis, Anamorfosi o Thaumaturgus opticus, trad. it., Adelphi, Milano 2004, pp. 13, 51.
5 J. Lacan, Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi 1959-1960, trad. it., Einaudi, Torino 1994, p. 179; Id., Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi 1964, trad. it., Einaudi, Torino 1979, pp. 87, 89.
6 Cfr. J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., pp. 17-18, 40.
7 Cfr. Ivi, pp. 15, 259 n. 1.
8 Cfr. AA.VV., Dictionaire de l’Academie française, t. 1, Fayard, Paris 19929, voce «anamorphose».
9 Cfr. J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., p. 102.
10 Ivi, p. 87.
11 Ivi, pp. 15-16; sui contributi desarguesiani e i problemi geometrici sollevati dalle ricerche prospettiche cfr. C. B. Boyer, Storia della matematica, trad. it., Mondadori, Milano 1980, pp. 413-417; M. Kline, Storia del pensiero matematico, trad. it., Einaudi, Torino 1991, vol. I, pp. 333-344.
12 J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., p. 15.
13 T. Tzara, «Fantastique comme déformation du temps», Cahiers d’Art, 1937, pp. 195 e sgg.
14 J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., p. 205.
15 Cfr. Dalì. Un artista. Un genio, a cura di M. Aguer e L. Mattarella, Skira, Milano 2012, p. 110.
16 J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., p. 15.
17 J. Lacan, Scritti, trad. it. di G.B. Contri, Einaudi, Torino 1974, pp. 88-89.
18 Cfr. Ivi, pp. 669-670; F. Palombi, Jacques Lacan, Carocci, Roma 20192, pp. 179-196.
19 Cfr. J. Lacan, Scritti, cit., pp. 676-677; J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., pp. 149-190.
20 J. Lacan, Il seminario. Libro VII, cit., p. 192; precisiamo che il testo venne pubblicato solo nel 1986 sebbene trascrizioni e appunti del medesimo già circolassero da tempo in modo informale.
21 Ivi, p. 172.
22 Ivi, p. 177; purtroppo dalla lettura del settimo seminario non siamo stati in grado di identificare l’opera anamorfica presentata da Lacan.
23 J. Lacan, Il seminario. Libro XI, cit., pp. 81-92.
24 Cfr. Palombi, Jacques Lacan, cit., pp. 49-50, 57.
25 J. Lacan, Il seminario. Libro XI, cit., p. 87, corsivi nostri.
26 J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., pp. 251-252.
27 Cfr. J. Lacan, Il seminario. Libro VII, cit., p. 172; Il seminario. Libro XI, cit., pp. 88-91; J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., pp. 5-7, 23, 58-61, I ed.
28 J. Lacan, Il seminario. Libro VII, cit., pp. 172, 179.
29 J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., pp. 63-64, 264 n. 20.
30 Cfr. A. De Rosa, «L’apocalisse dell’ottica. Le anamorfosi gemelle di Emmanuel Maignan e di Jean-François Nicéron a Trinità dei Monti», in IKHNOS, vol. 47, 2011, pp. 43-82.
31 Cfr. J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., p. 64.
32 Cfr. J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., pp. 27, 34-35, I ed.
33 AA.VV., La Trinité des Monts, SFPA, Paris 2004, pp. 46-49.
34 C. Millot, Vita con Lacan, cit., pp. 12-13.
35 Cfr. F. Palombi, Jacques Lacan, cit., pp. 213-216.
36 J. Lacan, Il seminario. Libro X. L’angoscia 1962-1963, trad. it., Einaudi, Torino 2007, pp. 44-45.
37 Cfr. F. Palombi, Jacques Lacan, cit., pp. 132-133.
38 J. Lacan, Il seminario. Libro XI, cit., pp. 89-90.
39 J. Baltrušaitis, Anamorfosi, cit., p. 251; cfr. J. Lacan, Il seminario. Libro XI, cit., p. 89.
40 Id., Anamorfosi, cit., pp. 251-252.
41 J. Lacan, Il seminario. Libro VII, cit., pp. 174-175.
42 Id., Il seminario. Libro XI, cit., p. 90.
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