Il maestro vuoto

Di: Alberto Giovanni Biuso
3 Aprile 2021

 

La manipolazione consapevole ed intelligente delle abitudini e delle opinioni organizzate delle masse è un elemento fondamentale nella società democratica. Coloro che manovrano questo impercettibile meccanismo della società costituiscono un governo invisibile -l’autentico potere dominante nel nostro Paese. Uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare governano i nostri corpi, modellano le nostre menti, suggeriscono le nostre idee.

Così scriveva nel 1929 Edward Louis Bernays in un testo fondativo del marketing: Propaganda. L’arte di manipolare l’opinione pubblica (cit. da F. Mazzoli e G. Paciello a p. 237).
La vicenda Covid19 va letta anche in questa chiave sociologica, economica e politica, oltre che sanitaria. Si comprende allora che «il sistema dominante non ha creato il virus, né ha favorito la sua diffusione: esso si è ‘limitato’ a trarre cinicamente profitto da un’epidemia di cui nessuno può dirsi artefice, proponendo come rimedio ciò che, per sua natura, è funzionale al proprio ‘benessere’ anziché a quello dell’uomo e della comunità» (A. Dignös, p. 14).
I vantaggi che all’economia liberista e al suo fondamento antropologico individualista sono derivati dall’epidemia Sars2 sono chiari e profondi. Essi consistono nella trasformazione di una sciagura collettiva che ha prodotto miseria, depressione e morte in una fonte continua di accumulazione privata da parte delle Corporations del digitale, della comunicazione, del farmaco. L’epidemia ha infatti reso veloce, pervasiva, legittima e persino necessaria l’immensa raccolta di dati personali che costituisce la fonte di profitto delle multinazionali della Rete.
Il vantaggio politico degli organi di potere e di controllo è altrettanto evidente. Diffondere paura, incertezza e solitudine rende infatti da sempre assai più sicura la posizione di chi pro tempore comanda. Lavoro e didattica telematici offrono l’effimera illusione di una comoda libertà e invece incatenano a ritmi produttivi che esasperano la logica del cottimo, dilatano all’infinito il tempo del lavoro, rendono impossibile qualunque forma di solidarietà e di protesta da parte dei gruppi subordinati. «Viene così esasperato quel processo di atomizzazione dei lavoratori scientemente voluto e perseguito con le numerose riforme del mercato del lavoro di stampo neoliberista adottate negli ultimi 30 anni con l’avallo sindacale, che hanno frammentato la classe lavoratrice attraverso vari canali» (L. Dorato, p. 202).
Nel mondo della scuola e dell’università «il gruppo-classe, con le sue complesse dinamiche fra parti e rispetto ai docenti, è divenuto una somma di individui isolati appesi ad un clic» (F. Mazzoli, p. 25). L’annullamento della sana e necessaria separazione tra l’ambiente di lavoro e l’ambiente personale, tra i luoghi domestici e i luoghi pedagogici, ha creato una situazione emotiva e professionale nella quale si mescolano e annullano il tempo privato, il tempo collettivo, il tempo di apprendimento, il tempo professionale. L’esito è una condizione nella quale tutti gli istanti sono ugualmente pieni di fantasmi virtuali e ugualmente vuoti di esistenza reale.
Scuola e università si mostrano, in questa logica e a tali fini, i luoghi per eccellenza della sperimentazione sociale. Vittime da decenni di una sottile e tenace colonizzazione da parte delle più distruttive ideologie didatticiste e aziendaliste, scuola e università costituiscono il laboratorio ideale della sottomissione, della distruzione dei progetti emancipativi, della dissoluzione di quel poco che rimane di pensiero critico nelle società contemporanee, di implementazione di una articolata, complessa e miserrima neolingua, della quale un’espressione come didattica a distanza è un evidente esempio. Essa infatti sostituisce e nasconde l’espressione «didattica d’emergenza che ne avrebbe sottolineato il carattere contingente, improvvisato e destinato a essere archiviato. […] La DAD diventa, così, un mirabile esempio di neolingua chiamata a sovvertire la realtà e ad ipotecare pesantemente il futuro dell’istituzione» (Id., p. 16).
La didattica del vuoto ha come orizzonte fondativo e prospettiva futura quello che Renato Curcio chiama il maestro vuoto, «un volto incorporato nelle applicazioni digitali, un potente e freddo detta-istruzioni, obbedendo alle quali l’utente compie con successo l’operazione prefissata, raggiunge il risultato voluto e/o imposto» (Id., p. 33). Un maestro vuoto atto a sostituire la persona viva e socratica di colui che alla relazione pedagogica -e di conseguenza al fatto educativo- dà voce, volto, pienezza. Il maestro vuoto è il coach della palestra dell’ignoranza e della conseguente obbedienza collettiva.
Il maestro vuoto non è cosa d’oggi ma ha una radice esplicita e forte nel testo fondativo del postmoderno:

Non sembra indispensabile un corso tenuto dalla viva voce di un professore ad un pubblico silenzioso di studenti. […] Dal momento che le conoscenze sono traducibili in linguaggio informatico, e dal momento che il docente tradizionale è assimilabile a una memoria, la didattica può essere affidata a macchine collegate a delle memorie classiche (biblioteche, ecc.) così come le banche di dati possono essere collegate a terminali intelligenti messi a disposizione degli studenti1.

Il maestro vuoto è l’espressione pedagogica e didattica dell’universale rimozione della presenza dei corpimente nello spaziotempo, è la dissipatio di «quella pressione che imprimiamo al mondo con tutta la nostra pesantezza di umani e che il mondo ci restituisce con tutta la sua complessità che nessuna rete, per quanto ramificata, può catturare. Una pressione che attraversa e modella i corpi, le voci, gli sguardi, i gesti e crea lo spazio relazionale all’interno del quale trova la sua ragion d’essere e giunge a maturazione la conoscenza» (F. Mazzoli, p. 41). Il maestro vuoto è la distopia della riduzione dell’allievo e del docente «al passaggio veloce di informazioni attraverso lo schermo», cosa impossibile poiché «l’insegnamento è attività sensoriale, è vita che si dipana oltre gli spazi istituzionali» (S. Bravo, p. 104).
Il maestro vuoto è il protagonista della «video-lezione, come lezione spettrale», appiattita «sulla mera trasmissione di nozioni» e vicina dunque

a quel sapere procedurale messo in campo dalle nuove tecnologie assai più di quanto non possa farlo la lezione in presenza, la tanto attaccata lezione frontale che permette la lenta e dialogata costruzione delle conoscenze (e dei significati) a partire dalla sollecitazione ineludibile posta dal volto dell’altro e dall’instancabile attesa -carica di tutte le sfumature di un volto umano- che ne promana (F. Mazzoli, p. 40).

Il maestro vuoto è la vittoria della separazione tra gli umani, della negazione della natura sociale di Homo sapiens, è il trionfo della distanza come vero e proprio paradigma antropologico, psicologico, comportamentale, etico, per il quale l’altro è sempre un rischio, un competitor, un nemico. Il maestro vuoto è l’ideologia hobbesiana ridotta a brutale strumento del capitalismo che trionfa. «Il distanziamento percettivo è distanza dalle emozioni, dall’esperienza comunitaria, pertanto rafforza la logica dell’uso senza responsabilità: si strutturano personalità asettiche ed incapaci di agire politico» (S. Bravo, p. 105), si rende quindi impossibile e persino impensabile qualunque progetto di emancipazione collettiva.
L’adesione immediata e il fideistico entusiasmo che si è preteso da docenti e alunni è espressione anche del capitalismo collaborativo, della traduzione in termini postmoderni dell’adesione attiva che i regimi totalitari del Novecento hanno chiesto ai loro cittadini/sudditi. Mentre gli antichi dispotismi si limitavano a imporre l’obbedienza, un tratto di novità dei totalitarismi è la pretesa di partecipazione attiva e di intima convinzione -fede- rispetto alle direttive di chi comanda.
La Rete digitale, le informazioni di ogni genere -anche sanitarie e personalissime- profuse ‘per il bene collettivo’, la pratica convinta e militante della non-didattica a distanza, sono tutte manifestazioni di questa realizzata pretesa, la quale chiede e ottiene la «partecipazione entusiasta e sistematica di schiere crescenti di fornitori e utilizzatori di dati, in un flusso ininterrotto e illimitato nel tempo e nello spazio di informazioni di ogni tipo» (F. Mazzoli, p. 19), quel flusso tramite il quale «la promessa di libertà veicolata da Internet si trasforma nel suo contrario, fino a configurare i rischi di un totalitarismo inedito, per quanto i suoi presupposti siano andati lentamente maturando nell’habitat piuttosto propizio della società di mercato» (F. Mazzoli – G. Paciello, p. 238).
L’orizzonte epistemologico nel quale queste complesse dinamiche si inscrivono è il transumanesimo, il superamento dell’umanità biologica a favore dell’umanità digitale. Se tale prospettiva può sembrare patologica, bisogna tuttavia riconoscere che «though this be madness, yet there is method in’t”»2, che c’è del metodo in tutta questa follia.

 

Note
1 J.-F. Lyotard, La condizione postmoderna. Rapporto sul sapere (La condition postmoderne, 1979), trad. di C. Formenti, Feltrinelli, Milano 2014, pp. 92-93.
2 W. Shakespeare, Hamlet, Atto II, Scena 2.

 

Aa. Vv.
Tempi Covid moderni
Koinè, anno XXVII, nn. 1-4, Gennaio-Dicembre 2020
Petite Plaisance, Pistoia 2020
Pagine 255

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