«Devo ricordare»

Di: Alberto Giovanni Biuso
3 Aprile 2021

 

La memoria può essere ripartita in due grandi sezioni: memoria primaria o a breve termine e secondaria o a lungo termine. La prima dura pochi secondi, il tempo –ad esempio- di ripetersi un numero telefonico da trascrivere sulla rubrica (ripasso articolatorio) e a sua volta si suddivide in memoria verbale o fonologica (un suono percepito, una parola ascoltata, una informazione o una cifra letta, che formano il circuito fonologico) e memoria visuospaziale, la quale produce le immagini mentali che continuamente si formano e si dissolvono nella nostra coscienza e il cui flusso forma in gran parte la vita della mente.
La memoria a lungo termine è ancora più complessa e si divide in: a) memoria episodica, la quale si riferisce a eventi che hanno una ben precisa collocazione nello spazio e nel tempo (tale memoria non va quindi confusa con quella a breve termine); b) semantica, che rende possibile l’acquisizione di un linguaggio, il mantenimento di una serie di informazioni e conoscenze alle quali attingere di continuo nel corso della vita, la capacità di correlare un segno al suo riferimento; c) prospettica, la capacità di ricordarsi di un impegno collocato nel futuro; d) autobiografica, la conservazione degli eventi più importanti che riguardano la propria identità, quest’ultima – infatti –  è proprio la costanza della memoria di sé nel tempo; e) procedurale, l’acquisizione di una competenza sicura in tutta una serie di operazioni, come il guidare un’automobile o il digitare su una tastiera; f) il cosiddetto priming, e cioè l’acquisizione di una progressiva migliore abilità nello svolgere un compito ripetendo gli stessi stimoli.
Queste due ultime forme – procedurale e priming – si differenziano dalle altre perché riguardano non un contenuto, un che cosa ma una metodologia, un come. Sono, infatti, tipi impliciti di memoria, diversi dalle forme precedenti di memoria dichiarativa o esplicita. Una procedura viene svolta in modo automatico e ripetitivo mentre le forme semantiche vere e proprie si basano sempre sulla consapevolezza del dato mnesico che viene elaborato. Si può dunque continuare a saper guidare, cucinare, utilizzare un computer ma non ricordare più la propria identità. La procedura è conservata, il senso è svanito.

È quello che accade a Christine, la quale ogni mattina si chiede chi sia l’uomo che sta dormendo accanto a lei. E lui, Ben, le spiega con pazienza che quattro anni prima un incidente le ha lasciato la memoria dei primi venti anni della sua vita, ma le ha cancellato la possibilità di mantenere ricordo degli eventi recenti. La donna è quindi affetta da una grave forma di amnesia anterograda, che la rende incapace di ricordare i nuovi avvenimenti che le accadono. Christine esiste, insomma, nell’immediato presente e nel passato remoto ma diventa per lei davvero difficile progettare un futuro, poiché ogni futuro attinge alla unitarietà di tutte le fasi temporali, alla profondità senza pari del tempo vissuto e fattosi carne. Ogni mattina dunque questa donna rinasce all’angoscia della mancata identità, perché siamo ciò che ricordiamo, tuttociò che ricordiamo. L’esistere sembra essersi per lei fermato a un certo istante dell’esserci stata e diventa impossibile continuare a vivere nel tempo, pur mantenendo inalterata la capacità di capire i significati delle parole e degli eventi, di praticare attività ormai acquisite in forma procedurale, di ricordare a breve termine.
All’insaputa del marito, un medico aiuta Christine a fermare i nuovi ricordi tramite una videocamera che ogni mattina Christine rivede, riascolta e sulla quale imprime i nuovi ricordi del giorno. A poco a poco frammenti del passato ritornano, frammenti di violenza devastante e di dolcezze ormai perdute. Sino al finale naturalmente a sorpresa.

Il tema è analogo a Memento di Christopher Nolan, la realizzazione è lacunosa e spesso banale, anche se il film tiene sempre alta la tensione. In ogni caso, queste e altre opere mostrano che il ricordare è una delle funzioni e delle capacità determinanti del cervello e quindi dell’esperienza umana. Esistere significa in gran parte ricordare.
Non si tratta soltanto della capacità di conservare le informazioni acquisite ed elaborate, in modo da poterle poi utilizzare ogni volta che sia necessario. Questa può essere la funzione della memoria ma la sua struttura coincide, di fatto, con la stessa mente come coagulo dei vissuti temporali. Il ricordare non somiglia a una fotografia, immagine statica sempre identica a se stessa e che può solo sbiadire, ma a un film ininterrottamente montato e rimontato, somiglia a delle scene che cambiano di continuo collocazione in relazione alle altre scene che si aggiungono, che vengono scartate, che interagiscono con quelle già girate, somiglia a un palinsesto continuamente riscritto.
La memoria si stratifica nel corpo, nelle sue sensazioni, umiliazioni, difficoltà, piaceri, estasi. La memoria intesse la mente sino a costituirla come forza, identità, facoltà di azione, presa sul mondo e dominio della sua complessità. Non una struttura ma una funzione che consente ai ricordi di non rimanere chiusi da qualche parte nell’encefalo ma di accadere di continuo nell’intera corporeità, nel tempo che si distende e che ci rende consapevolmente vivi.

 

Before I Go to Sleep
di Rowan Joffe
USA, 2014
Con: Nicole Kidman (Christine Lucas), Colin Firth (Ben Lucas), Mark Strong (Il dottor Nash), Anne-Marie Duff (Claire)

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