Pablo Interlandi. La forma del colore
«L’artista è l’origine dell’opera. L’opera è l’origine dell’artista. Nessuno dei due sta senza l’altro. Tuttavia nessuno dei due, da solo, è in grado di produrre l’altro. Artista ed opera sono ciò che sono, in sé e nei loro reciproci rapporti, in base ad una terza cosa, che è in realtà la prima, e cioè in virtù di ciò da cui tanto l’artista quanto l’opera d’arte traggono il loro stesso nome, in virtù dell’arte»1.
Così sosteneva Heidegger e appare chiaro in questo breve viaggio nell’arte di Pablo Interlandi, in cui l’esperienza della luce si fa colore e le linee sicure offrono un’idea che si fa forma e che intercetta la realtà ferendola e trascinandola fuori dalla banalità che la nasconde. Fasciano, avvolgono, bendano, rivelano, quelle linee mentre si trasformano in volti, in paesaggi, in persone, in azioni, in natura. Tra le curve dei pensieri esse si distorcono per dare vita alla figura ma senza mai agganciarla davvero alla concretezza del reale. Così trovi sempre lui: l’artista. In qualche modo ti è noto che quell’arte è da sempre la sua. La riconosci. Lui che sa come dire il mondo, come raccontarne il fondo e la superficie, dimenticando la verità e accogliendo che il fatto non sia altro che un’interpretazione. Chi guarda velocemente, non può non pensare al grande artista olandese. A Van Gogh. Per l’intensità cromatica, per le linee segmentate, piene, schiuse e conchiuse, che sono sempre pennellate sinuose. Poi ti accorgi che nella produzione di Interlandi lo stile non cambia, che è un segno indelebile che rende unica quell’arte e il suo autore. Ti accorgi che Interlandi restituisce volumi e colori unici che lo individuano indubitabilmente; ti accorgi che quelle linee piene, flessuose, ondulate, decise, abbandonate, accennate, sempre curve, sono pennellate di colori che illuminano la forma dandole sostanza senza a essa essere assoggettate e che lo fanno in un modo nuovo, originale, irripetibile e incomparabile. Così, se anche ti dovessi trovare in un altro tempo e in un altro luogo, non potresti che dire: “Sì, quello è un Interlandi!”.
Dipinge la solitudine e il silenzio, e la realtà ma con un grado di illusorietà che la fa percepire più intensamente. Si sottrae alla dittatura della linea chiusa sospendendo però ogni mistificazione informale. La figura è lì, deformata dalla gravità dell’esistenza. Un’alterazione che non guasta la forma ma la informa di tutti i significati possibili. Il pennello danza sulla tela senza tentennamenti, sicuro, certo di poter dire di più rinunciando alla fedeltà a un reale oggettivato, magari restituito magistralmente da un tratto ingegneristico e abile eppure muto. Interlandi padroneggia una tecnica colorista che non necessita dello schematismo disegnativo perché è stendendo il colore che egli restituisce la realtà intensificata. C’è un atto creativo in questa abilità innata, sembra che non sia lui a scegliere il colore: è il colore che sceglie lui. Ma come si può affermare con certezza? Perché non c’è tempo. O almeno così pare. La pittura di Interlandi è un atto creativo che sembra segnato dall’apparizione. L’atto in sé è insomma un accadimento necessario che avviene senza trattenersi sull’esecuzione. Se lo si immagina dipingere non si riesce a pensare al tipico artista che riflette sulla tela, che se ne allontana per meglio osservarla, che medita sulla tavolozza, che si sofferma estatico sulla linea, che viene colto dall’immobilismo dell’indecisione. Insomma, non si riesce a credere che nella sua pittura possano esserci “tempi morti” perché nessuna di quelle linee può essere lasciata a metà senza il rischio della frattura, senza il collasso del ponte che dal reale giunge al visionario, senza il deragliamento dal binario che ci sta conducendo all’intimità della sostanza. Così chi pensa alla creazione di uno di questo dipinti non può che farlo immaginando un filmato
time-lapse. Una sequenza unica che dall’atto artistico giunge all’opera d’arte. Senza tentennamenti. Senza dubbio è un processo trasformativo intenzionale, il punto è però l’intenzionalità che in Interlandi è un’ispirazione che pur se proviene dalla sua genialità artistica sembra emanata da un altrove su cui neanche lui si interroga: sente, ascolta, agisce, produce. E l’opera d’arte appare. Valori e rapporti, che dalla forma sono nascosti, emergono qui attraverso il colore che non tradisce la figura ma la impreziosisce liberandola dal limite della precisione della linea disegnativa. Eppure c’è anche pace e lentezza, persino in quei paesaggi turbinosi in cui i colori sono violenti, intensi, matericamente potenti. C’è riposo in certi grumi di olio. Un pensiero sospeso. Come se l’artista facesse il punto della situazione umana riposando nella pittura di un paesaggio, di una natura aggredita dalla riflessione lucida di chi non vede la realtà ma la sente e sentendola se ne addolora. Qui nulla è silenzioso. C’è musica. Dualità, opposizione, dialogo, contrapposizione. Resistenza. Nulla è risolto. Tutto è esposto, mantenendo il nascondimento del vero affinché chi legge la tela possa interrogarsi da sé e possa giungere a una riflessione autentica e personale. Ci si guarda allo specchio ammirando i volti o osservando le azioni.
Le sbavature di una vita vissuta, l’incostanza di ogni emozione piena, la tristezza di un bilancio sempre in rosso, l’illusione di una svolta che non arriva, le storture di una gioia mai completa. Osservare le opere di Interlandi è un’esperienza di per sé già artistica, perché qui è l’arte l’altrove di cui prima dicevo che genera sia l’opera sia l’artista. Noi ci immergiamo in questo evento unico in cui opera la verità. E qui emerge la bellezza nella sua forma più pura perché le opere di Interlandi sono indubbiamente espressione di Bellezza.
«La verità è il non-essere-nascosto dell’ente in quanto ente. La verità è la verità dell’essere. La bellezza non è qualcosa che si accompagni alla verità. Ponendosi in opera, la verità appare. L’apparire, in quanto apparire di questo essere-in-opera e in quanto opera, è la bellezza. Il bello rientra pertanto nel farsi evento della verità. Non è quindi qualcosa di relativo al piacere quale suo semplice oggetto»2.
Note
1 M. Heidegger, Sentieri interrotti (Holzwege), trad. di P. Chiodi, La Nuova Italia, Firenze 1979, p. 3.
2 Ivi, p. 64.
Siti Web dell’autore: https://www.pablointerlandi.com
https://www.paintingpablointerlandishop.com
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