La filosofia della storia nella Grecia classica
Lo studio di Luca Grecchi La filosofia della storia nella Grecia classica, pubblicato nel 2010 per i tipi di Petite Plaisance, si propone di dimostrare «come già nella Grecia classica fosse presente un pensiero che, in termini moderni, è possibile definire come “filosofia della storia”», intendendo con ciò «la teoria che si occupa di comprendere, mediante la riflessione filosofica sul passato e sul presente, il senso della storia umana, e di delineare gli scenari più probabili e più desiderabili per il futuro, nonché le modalità della loro attuazione» (p. 11). L’idea che tale “teoria” o “disciplina” abbia un’origine greca, afferma l’autore, sorge dalla «constatazione che, poiché sia la filosofia che la storia sono nate nella Grecia classica, più o meno nel medesimo periodo (VI-V secolo a.C.), ben difficilmente la filosofia della storia, ovvero la disciplina che – costituendo una riflessione filosofica sulla storia – le compendia entrambe, potrebbe avere avuto un differente luogo di nascita» (p. 14).
Si tratta, a tutti gli effetti, di una tesi che può apparire bizzarra: secondo la maggior parte degli studiosi, infatti, le origini della “filosofia della storia” non possono essere rintracciate nel pensiero greco, bensì in quello giudaico-cristiano (Löwith, Schmitt) o in quello moderno (Blumenberg, Koselleck), entro il quale viene a caratterizzarsi «per l’autoaffermazione moderna di un movimento ideale trascendentale della coscienza storica, in grado di porre fine alle “illusioni” della trascendenza religiosa, ovvero alle attese di un evento escatologico» (p. 12). È questa, osserva lo studioso, la ragione per cui tale tesi interpretativa «ha avuto fino ad oggi solo uno sparuto gruppo di sostenitori tra gli antichisti, ed è stata sostanzialmente ignorata dai filosofi della storia moderni» (p. 13).
Alla luce di ciò, è opportuno chiedersi: che cosa ha impedito – e tuttora impedisce – agli antichisti e agli studiosi di filosofia di comprendere che la filosofia della storia ha un’origine greca? Per quale motivo questa tesi appare minoritaria anche tra gli “esperti”? Grecchi mette in evidenza come la comprensione di tale genesi sia ostacolata da alcuni pregiudizi che, dando luogo ad una rappresentazione errata del pensiero greco – in quanto fondata sull’idea di un primato “culturale” della modernità sull’antichità –, «hanno fino ad oggi precluso la possibilità di comprendere le radici greco-classiche della filosofia della storia» (p. 15). Allo scopo di dimostrare la presente tesi, occorre perciò svelare l’infondatezza di tali preconcetti: è così, infatti, che si può pervenire ad una migliore comprensione della Grecità, che consenta di fare luce sulle origini greche di tale teoria o disciplina.
Tra i principali pregiudizi alla base dell’idea che la filosofia della storia sia estranea al pensiero greco, vi è quello secondo cui esso avrebbe un carattere “atemporale” e “astorico”. Questa interpretazione si regge sulla constatazione che, in tale pensiero, sia assente un concetto equiparabile al moderno concetto di «storia». In considerazione di ciò, si deve ammettere che la cultura greca non sviluppa una «coscienza storica», come si evincerebbe anche dall’incapacità, connaturata nel pensiero storico, politico e filosofico greco, di valicare l’orizzonte “particolaristico” della polis e dell’identità ellenica.
Questa tesi si fonda, a ben vedere, sull’idea che la cultura ellenica sia dominata da una forma di “naturalismo fissista” che pregiudica una comprensione autenticamente storica degli avvenimenti, al punto da rendere impossibile la formazione di una «coscienza storica». Secondo tale prospettiva, uno dei limiti del pensiero greco è costituito dall’incapacità di distinguere tra “natura” e “storia”, ed è per ciò che il suo orizzonte non appare segnato dalla presenza di una concezione “lineare” del tempo, bensì da una visione “ciclica” che assume come modello la ciclicità della «natura» (physis).
Sulla base di questa rappresentazione, non può certo sorprendere che la tesi della genesi greca della filosofia della storia sia stata per lo più ignorata fino ad ora: infatti, se si parte dal presupposto che la cultura ellenica sia priva di «coscienza storica», è del tutto normale rifiutare l’idea che la filosofia della storia sia sorta in Grecia. Tale visione della Grecità, tuttavia, non collima con la realtà dei fatti, come si evince dal confronto con le opere di storici come Erodoto e Tucidide o di filosofi come Platone e Aristotele. L’analisi di tali scritti mostra infatti in modo chiaro come la tesi secondo cui il pensiero greco esprimerebbe una visione “atemporale” e “astorica” della vita umana, imperniata su una concezione “naturalistica” e “fissista” del mondo, altro non sia che un’idea priva di fondamento.
In opposizione a tale tesi, Grecchi mette in luce come l’assenza del concetto di «storia» nel pensiero greco non implichi necessariamente uno scarso interesse per la storia e l’assenza di una «coscienza storica»: «non sempre», infatti, «la mancanza del concetto di riferimento caratterizza anche una totale assenza di quei contenuti che pure il concetto medesimo sintetizza» (p. 18). Per chiarire questo punto, lo studioso fa riferimento alle parole dello storico Mazzarino, per il quale «“appare assurdo, a priori, che proprio il popolo a cui dobbiamo le massime opere della storiografia mondiale venga considerato come fondamentalmente astorico”»1 (p. 22). Analizzando le opere degli storici greci, appare evidente come questi mirino non alla descrizione di particolari avvenimenti, bensì alla ricerca delle cause degli eventi e alla comprensione della trama che li lega l’uno all’altro; i diversi autori, inoltre, dall’epoca greca arcaica fino a quella bizantina, appaiono porsi in continuità tra loro, riprendendo la narrazione dal punto in cui, nelle opere dei predecessori, si interrompe. Tutto ciò, nota Grecchi, «si spiega solo all’interno di un progetto complessivo di storia “universale”» (Ibidem).
Dato questo carattere universale, è chiaro come anche la tesi secondo cui il pensiero storico greco si ridurrebbe ad una prospettiva “particolaristica” sia del tutto falsa. Pur assumendo il mondo della polis e l’identità ellenica come punti di riferimento centrali della loro indagine, gli storici greci non si focalizzano esclusivamente su tali realtà ma, «compatibilmente con le potenzialità demografiche e geografiche dell’epoca» (p. 49), nonché con i limiti connessi alle loro conoscenze e alla loro visione del mondo, si propongono di gettare luce sull’intero corso della storia umana, interrogandosi sul senso universale degli eventi. «La storia greca», sostiene lo studioso, «per note ragioni “geografiche”, si limitò a riflessioni su un’area circoscritta (non comprendente l’America, l’Oceania, e larga parte dell’Africa, dell’Asia e dell’Europa), ma il suo spirito di fondo – che è quello che conta – fu sempre assolutamente universalistico, e come tale creatore di un ampio grado di consapevolezza storica» (p. 144). Fin dai tempi di Omero, i Greci appaiono ben consapevoli di rappresentare una civiltà unitaria e composita che può pensarsi solamente attraverso il confronto costante con i popoli circostanti. Lo stesso orizzonte della polis, rimarca Grecchi, non è in alcun modo “particolaristico” ma “universalistico”, poiché si fonda sull’idea che gli uomini, attraverso la partecipazione politica, siano in grado di individuare quei principi e quelle leggi volti a favorire il benessere degli individui. Le diverse poleis, inoltre, non si determinano, a ben vedere, come un ambiente chiuso e ostile, poiché si formano e si sviluppano modellandosi sulle altre, nella consapevolezza che solo la cooperazione tra i Greci – e, più in generale, tra gli uomini – può essere il fondamento di una comunità stabile e felice.
A tal proposito Grecchi evidenzia che, se si pone l’attenzione sulla visione della storia che si delinea nelle opere di Erodoto, Tucidide o Senofonte, si può notare come «tutta la storia greca» rappresenti, ai loro occhi, «uno sforzo costante di elevazione culturale nei confronti della tradizione, in ricerca di una maniera più rigorosa di comprendere la verità delle cose, e dei valori morali più alti» (p. 51). Si tratta di una rappresentazione delle vicende umane che si distanzia dalla visione “ciclica” che, secondo la maggioranza degli studiosi, dominerebbe il pensiero storico greco. In verità, sottolinea l’autore, l’attribuzione a tale pensiero di una siffatta concezione è dovuta per lo più ad un fraintendimento, consistente nell’idea che la cultura ellenica, a causa dell’arretratezza delle condizioni materiali della Grecia antica, non saprebbe distinguere l’ambito della “natura” da quello della “società”, finendo così per interpretare la storia in termini naturalistici. La visione “ciclica” del tempo è certamente presente nel pensiero greco, ma non occupa affatto una posizione centrale. Un esame delle opere in nostro possesso mostra che i Greci distinguono in modo chiaro il “tempo della natura” dal “tempo della storia”, poiché sono consapevoli che «non è […] il cosmo naturale che fa la storia […], ma è sempre l’uomo che fa la storia, cercando di vivere nel cosmo in modo conforme alla propria essenza razionale e morale» (p. 57). La “ciclicità” della natura, nella prospettiva greca, non coincide con il corso delle vicende umane, ma incarna «semplicemente il sostrato naturale che rende possibile la vita umana» (Ibidem). Questo permette di capire perché tale dottrina sia «del tutto assente all’interno del pensiero storico classico» (p. 56) ed emerga per la prima volta con Polibio.
Alla luce di quanto esposto, le tesi a supporto dell’idea che la cultura greca sia “astorica”, incapace per ciò di partorire una concezione filosofica della storia, si rivelano infondate. Come argomenta Grecchi, esse appaiono come il «mero frutto di un pregiudizio “modernista” che sembra attribuire solo alla storia moderna un carattere “trascendentale”, “unitario” e “riflessivo”» (p. 141). La modernità, di fatto, tende a rappresentarsi ideologicamente come il coronamento di un processo storico progressivo che vede nel mondo antico un mero stadio embrionale. In forza di tale rappresentazione, la cultura moderna finisce per ascriversi delle qualità «pregiudizialmente ritenute assenti in quella antica» (p. 142), riducendo quest’ultima a una sorta di “preistoria della coscienza” in cui si può avere solo un’idea confusa di ciò che la modernità sa cogliere in modo chiaro e distinto.
A questo punto, chiarita la presenza di una «coscienza storica» nel pensiero greco, così come di una teoria generale della storia, è possibile portare alla luce la visione della storia prevalente nella cultura ellenica. Secondo Grecchi, se si considera la «“linea filosofica” che inizia con Solone, si sviluppa con l’intero pensiero presocratico e raggiunge il proprio apice con Platone» e, «al contempo, la “linea storica” che inizia con Epimenide e Mimnermo, si sviluppa con Ecateo ed Erodoto e raggiunge il proprio apice con Tucidide», si può comprendere come la concezione precipuamente greca della storia coincida con una concezione “aperta-progettuale”. Questa visione – di cui non vi è quasi traccia nel pensiero moderno e contemporaneo, eccetto che in alcuni scritti di carattere utopico, nella filosofia di Fichte, del giovane Marx e di alcuni marxisti “critici” – è imperniata sull’idea che la storia possa svilupparsi «in maniera più o meno buona, secondo il più o meno retto operare delle modalità sociali» (p. 59), cioè secondo il loro più o meno essere conformi alla natura dell’uomo. Per i Greci, dunque, la storia è strutturalmente “aperta” a due opposte possibilità. Quanto più le modalità sociali si allontanano dal modo d’essere dell’uomo, tanto più la storia manifesta un carattere “regressivo”; quanto più appaiono accordarsi alla sua natura, tanto più la storia assume i tratti di un cammino “progressivo”. Contrariamente a ciò che si sente talora affermare, Grecchi mostra come la nozione di «progresso» sia presente nel pensiero greco, sebbene non coincida con l’analogo concetto moderno. A differenza del pensiero moderno, caratterizzato da una fede incondizionata nel «progresso», il pensiero greco concepisce l’idea di «progresso» non in senso deterministico e finalistico, bensì «in modo problematico, ossia tendente a valutarne l’impatto in termini di felicità collettiva» (p. 64). Agli occhi dei Greci, il «progresso» appare dunque non come una “necessità”, come una sorta di “pilota automatico” alla guida della storia, bensì come una “possibilità” che ha luogo solo là dove il cosmo sociale e valoriale in cui l’uomo vive risulta in armonia con la sua natura.
In un contesto storico-culturale come quello della Grecia classica, anche il compito dello storico si caratterizza in modo diverso da quello dello storico moderno. Se infatti, in epoca moderna, egli indaga il passato allo scopo di spiegarlo, descriverlo e conservarlo, lo storico greco è spinto allo studio del passato e del presente «dalla ricerca di una prospettiva di senso che, prendendo spunto dal passato e dal presente, possa illuminare il futuro» (p. 27). In altri termini, lo storico, nel mondo greco, non deve solo comprendere gli eventi, ma anche «derivare da essi un orientamento per il presente e per il futuro» (p. 29). La storia ha dunque sia una funzione “descrittivo-narrativa” che “normativa”: facendo luce sulle vicende e sui comportamenti umani, nonché sugli effetti da essi prodotti, essa si pone come magistra vitae che indica all’uomo del presente e a coloro che verranno la via da seguire per realizzare se stessi. Lo «storico» greco assume così, nei confronti della realtà, un ruolo attivo, che è al medesimo tempo etico, pedagogico, politico e filosofico: il suo compito, sottolinea Grecchi, è «né più né meno che quello del filosofo, la determinazione della verità» (p. 27).
Alla luce di tutto questo, è evidente come la figura dello storico greco si avvicini, più che a quella dello storico moderno, a quella del «filosofo»: entrambi, infatti, conducono un’«indagine» (historia) incentrata sulla verità e finalizzata ad avviare gli uomini alla realizzazione di una vita buona. È per ciò che, secondo l’autore, è lecito sostenere che, nella Grecia classica, agire da storico equivalga, in un certo senso, ad agire da filosofo: fare storia, in tale contesto, significa infatti necessariamente fare filosofia della storia, ovvero riflettere sul senso delle vicende umane al fine di cogliere, in esse, dei veri e propri «messaggi di verità in grado di orientare la vita presente e futura degli uomini» (p. 30).
Sotto questo aspetto, lo storico greco che si rivela più capace di far emergere, attraverso la propria historia, il carattere “filosofico” della storiografia greca è per Grecchi Tucidide, che può per ciò essere considerato il più grande «filosofo della storia ante litteram» (p. 47). Indagando la storia «alla luce della immutabilità della natura umana» (p. 42) e portando l’attenzione sulla ripetitività di alcuni fenomeni nel corso del tempo, Tucidide cerca di “scoprire” le leggi generali che regolano l’accadere storico «all’interno di uno sguardo universale tenente conto anche delle speranze e dei desideri degli uomini» (p. 44), con l’obiettivo di rendere intelligibile – entro certi limiti – anche il futuro. «È in questo senso», osserva lo studioso, «che deve essere interpretata la sua affermazione secondo cui la sua opera sarebbe “un tesoro che vale per sempre”, in quanto “necessario ad investigare la realtà degli avvenimenti passati o futuri (I, 22, 4)» (Ibidem). Per le sue caratteristiche, la storiografia tucididea può essere interpretata come una “scienza dell’uomo” in un duplice senso: in primo luogo, per il fatto di avere come proprio punto di riferimento la natura umana; in secondo luogo, in quanto rappresenta una “conquista perenne” al servizio dell’intera umanità. È l’uomo, inteso come essere razionale, morale e comunitario, a essere riconosciuto dallo storico come il fondamento, il soggetto e la “misura” dell’accadere storico; ed è sempre all’uomo che egli rivolge la propria historia, concepita come una “guida” capace di orientarlo alla costruzione di legami sociali armoniosi. L’indagine di Tucidide rivela così la propria valenza “umanistica”, “filosofica” e “onto-assiologica”, al punto che diviene impossibile ignorare la sua vicinanza alla filosofia platonica. Da questo punto di vista, lo storico ateniese -per Grecchi- può essere a ragione considerato un “anticipatore” di quella «rivoluzione» filosofica, politica e umanistica che si compie con Platone.
Lo studioso mette in luce come il filosofo ateniese rappresenti non solo l’esponente più significativo dell’umanesimo filosofico-politico dell’epoca classica, ma anche il più eminente filosofo della storia dell’antichità. La sua opera, il cui «contenuto principale è costituito da una filosofia politica che è, sul piano individuale, ricerca della cura dell’anima e, sul piano collettivo, ricerca del bene comune» (p. 74), si misura costantemente con il presente e con il passato, che, agli occhi di Platone, «di ogni presente costituisce la determinazione essenziale» (p. 75). «Le costituzioni e le loro trasformazioni, lo Stato ideale e le modalità di avvicinamento al medesimo, la rigida normazione delle modalità economiche, giuridiche e sociali», nota Grecchi, «sono in vari dialoghi trattati con la consapevolezza che è necessario, per fare una vera filosofia della storia, “capire le cause del divenire” (Leggi, III, 679 a-c); solo così, infatti, si potranno ben comprendere e ben indirizzare il presente e il futuro» (Ibidem). Sulla base di ciò, non si può negare la presenza di una filosofia della storia all’interno del corpus platonicum. Essa, nel pensiero di Platone, si caratterizza tanto come «una analisi storico-filosofica delle cause per cui la totalità sociale» è «divenuta preda della disordinata molteplicità crematistica», quanto come «una analisi delle possibilità filosofico-storiche per cui la totalità sociale» può «essere ordinata in maniera unitaria ed armonica» (Ibidem). La concezione della storia che appare prevalente nelle sue opere è dunque una concezione “aperta-progettuale” che individua nell’uomo «la base, il motore e il fine del processo storico» (p. 87) e nello Stato ideale (kallipolis), cioè nello Stato fondato sull’Idea del Bene, il fine dell’intera storia umana. Questo, per Platone, costituisce non una “necessità” ineluttabile, ma qualcosa di “possibile” o, per così dire, una “necessità morale”, ovverosia qualcosa di necessario affinché gli uomini si realizzino nella giustizia e vivano felici. Si tratta, pertanto, di un «progetto universale» volto a «guidare filosoficamente la storia verso la maggiore perfezione possibile» (p. 90) e «a rivoluzionare il futuro tramite il presente» (pp. 88-89). Stando così le cose, la ricerca di Platone può essere intesa come «un enorme sforzo, insieme teoretico e pratico, per dare alla storia un senso filosofico più stabile e più umano» (p. 89).
Dopo Platone, una concezione “aperta-progettuale” della storia può essere rintracciata secondo Grecchi nelle opere del suo allievo più noto, Aristotele. Come dimostrano i suoi studi dedicati all’evoluzione della comunità politica, le sue analisi delle costituzioni dei Greci e delle civiltà circostanti, nonché l’attenzione che egli rivolge alla comprensione filosofica dei fondamenti della polis giusta, l’interesse di Aristotele per la storia non ha a che fare con l’erudizione, ma è invece legato a un «progetto filosofico-politico» che costituisce «l’elemento centrale della evoluzione che il filosofo-politico deve cercare di ben indirizzare, con leggi e riforme volte a guidare la realtà» (p. 98).
In ogni caso, è innegabile che, dopo Platone ed Aristotele, l’attenzione verso la filosofia della storia venga progressivamente meno. Ciò risulta evidente a partire dall’avvento di quel “mondo nuovo” che viene a crearsi con le conquiste di Filippo e Alessandro di Macedonia. In tale scenario, del tutto differente da quello dell’epoca precedente, lo studioso rileva come la filosofia della storia, ritenendo «impensabili progettualità universali alternative» e ormai «priva di un principio onto-assiologico valutativo», finisca per credere «di poter solo assecondare le modalità sociali del proprio tempo» (p. 95). Nel passaggio dalla Grecia delle poleis al mondo ellenistico-imperiale, tramonta così non solo l’idea che siano gli uomini a creare le leggi che regolano la convivenza civile ma anche l’idea che l’umanità sia il soggetto della storia.
Lo studio di Grecchi ha il merito di portare alla luce, per quanto riguarda la civiltà ellenica, alcuni aspetti fondamentali ignorati dalla maggioranza degli studiosi del mondo antico, in quanto ritenuti assenti nella cultura e nel pensiero dei Greci. Attraverso lo smascheramento e la decostruzione di alcuni tra i più consolidati pregiudizi “modernisti” sul mondo antico, il presente saggio fa emergere una diversa rappresentazione del pensiero storico e filosofico greco, mostrando, nelle opere di storici come Tucidide o di filosofi come Platone, la presenza sia di una «coscienza storica» che di una visione filosofica della storia. Dato il suo prezioso contributo alla comprensione del pensiero greco, l’opera di Grecchi rappresenta un primo passo e, insieme, un ideale punto di partenza per avviare nuove riflessioni e nuovi studi incentrati sulla filosofia della storia nel mondo antico. Essa, ad ogni modo, non si limita a fornire l’occasione per ripensare, su presupposti diversi, il pensiero greco antico, ma anche per cogliere i limiti della concezione filosofica della storia che domina il nostro orizzonte, indicando, nella visione “aperta-progettuale” che caratterizza il pensiero e la cultura dei Greci, un altro modo di pensare il passato, interpretare il presente e guardare al futuro.
Nota
1 S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, vol. I, Laterza, Roma-Bari 1983, p. 5.
Luca Grecchi
La filosofia della storia nella Grecia classica
Petite Plaisance, Pistoia 2010
Pagine 208
[VP23_novembre_2020_Pdf_Greci]
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