Savoca / Ungaretti

Di: Alberto Giovanni Biuso
21 Maggio 2020

 

A un secolo da Allegria di Naufragi, Giuseppe Savoca propone una lettura di Ungaretti che da quel libro rivoluzionario si dispiega verso una comprensione non soltanto dell’intero itinerario del poeta ma della poesia in quanto tale.
La poesia è infatti, nella sua essenza, musica. E Ungaretti è stato uno dei maggiori musicisti italiani del Novecento. La sua Difesa dell’endecasillabo, provenendo da chi frantumandolo aveva creato un nuovo ritmo per le parole, è significativa della potenza che questo particolare verso ha nella nostra lingua. Una potenza che percorre per intero Sentimento del tempo. Quest’ultima parola – tempo – è tra le fondamentali di Ungaretti. Assimilata da uno dei suoi maestri e ispiratori, Bergson, la realtà del tempo è nei suoi versi e nella sua vita pervasiva e totale poiché «lo spirito umano non è se non tempo», come una volta disse1.
Tempo che è anche ritmo. Il primo ritmo che l’umano apprende e che sempre rimane è quello del proprio corpo, del cuore che pulsa e dal quale anche la musica della poesia sgorga: «L’endecasillabo ideale, come forse ogni verso, si fonda dunque per Ungaretti su un ritmo umano, misurato dall’uno/due del battito del cuore, del respiro, del passo dell’uomo» (124). Il cuore, il corpo sono una parte dell’intero, della materia universale. Ungaretti è stato anche il cantore della materia, con la quale si è sentito sempre in continuità, consonanza, comunione: «Il sentimento di fondo che informa la poesia ungarettiana alle origini e sempre, è, come si legge nei Fiumi, quello di sentirsi e di essersi ‘riconosciuto / una docile fibra / dell’universo’» (176).
È dunque anche tramite questa profonda consapevolezza insieme filosofica e ritmica, di tenore sia mistico sia panteistico, che Ungaretti ha potuto assorbire l’intera tradizione lirica europea, da Jacopone a Mallarmé, ha potuto frangerla e reinventarla.
L’unione di tempo, materia e musica si condensa nella figura che dà il titolo al libro di Savoca. Naufragio è l’esistenza nel suo dissolversi, la morte, ma anche, nel suo apparire, la nascita. Due catastrofi inseparabili, il passaggio tra le quali chiamiamo vita: «L’annientamento di ogni essere è per Ungaretti straziante, ma anche liberatorio dalla morte stessa, che diventa ri-nascita alla vita in quanto apre all’aurora di un giovane giorno in un paese ‘finalmente innocente’. La figura finale del naufragio, riscattato dalla ‘corruzione’ storica del tempo e dello spazio» (VII).
Come si vede, è una visione tragica dell’esistere, non soltanto nel senso cristiano ma anche in quello greco, fondato sulla necessità che al venire alla luce corrisponda un lasciare il posto alla luce di altri, come Anassimandro spiega con molta chiarezza. Dentro questo barlume di tempo che siamo, ciascuno si sente un esule, in cerca di «un paese innocente», sentimento insieme profondamente religioso e teoretico perché sentimento gnostico: «La morte non viene dopo la vita, ma prima, ed è una condizione ontologica che marchia lo stesso inizio dell’esistenza» (32).
Il naufragio non è dunque un evento, un momento, una situazione. Naufraga è la vita in quanto tale, tutta la vita e non soltanto quella umana. «È da questo fondo che il naufragio, a somiglianza del Porto sepolto nel mare di Alessandria, continua a generare immagini movimenti e percorsi di canto che danno al mondo poetico ungarettiano la sua profondità e abissalità tra nulla e infinito (della tomba e della morte, ma anche del cielo e del divino)» (2).
È così che si legge un poeta, è così che si legge la poesia.

 

Nota
1 G. Ungaretti, «Fontane» in Vita d’un uomo. Viaggi e lezioni, a cura di P. Montefoschi, Mondadori, Milano 2000, p. 434 (qui citato a p. 38).

 

Giuseppe Savoca
Naufragio senza fine
Genesi e forme della poesia di Ungaretti
Leo S. Olschki Editore, Firenze 2019
Pagine VIII-215

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