Ermeneutica e verità
1 L’ermeneutica tra i saperi: l’interpretazione come categoria dell’esistenza
Da sempre l’ermeneutica si è sviluppata come indagine sui testi, come tecnica per risalire dal segno al significato, ma è solo nella modernità che emerge chiaramente la categoria di interpretazione quale spazio teorico di matrice ontologica, storica e linguistica: d’altronde, esistere è, heideggerianamente, interpretare. Se l’esistenza diventa interpretazione, allora l’attenzione si sposta da un significato di ermeneutica più ristretto a uno più ampio, cioè inteso a comprendere la complessità della dimensione umana, per sua stessa natura proiettata alla ricerca del senso di ciò che la circonda, delle dinamiche culturali e della società all’interno della quale interagisce. L’interpretazione diventa una categoria esistenziale valida in tutti gli ambiti della vita, compreso quello del sapere, nel quale agisce garantendo una visione poliedrica e di continua interazione tra le diverse specificità.
Il Dottorato di ricerca in Scienze dell’Interpretazione, attivo nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, si impegna a valorizzare tale categoria nella sua dimensione più autentica, non relegandola a un uso puramente tecnico ma incentivandone l’applicazione come strumento di comprensione dei fenomeni culturali che proceda al di là di ogni dicotomia o semplice separazione tra le diverse discipline. La prospettiva ermeneutica permette, infatti, l’interazione continua tra i diversi ambiti del sapere, salvaguardandone le peculiarità ma incoraggiandone al tempo stesso l’ampliamento e l’approccio interdisciplinari. Ogni campo di studio diventa una forma di interpretazione della realtà, una ricerca di senso, un tentativo, continuo e mai definitivamente risolto, di raggiungere verità e autenticità. In questa prospettiva vanno contestualizzati i Seminari sull’interpretazione cui ogni anno il Dottorato dedica alcune giornate di riflessione, da una parte approfondendo il concetto di ermeneutica in relazione ad aspetti specifici delle diverse discipline, d’altra parte tenendo sempre sullo sfondo un orizzonte di senso più ampio, radicato e profondo. In particolare, i seminari organizzati nel mese di febbraio 2019 hanno permesso di approfondire la relazione, ogni volta resa evidente dal processo ermeneutico, tra il testo e alcuni ambiti più specifici del sapere come la filologia, la storia e l’arte.
L’ermeneutica è intesa come teoria dell’interpretazione: al centro vi è il problema della comprensione dei testi come espressione di individualità intese quali orizzonti di verità e di senso. Seguendo Gadamer, essa si delinea come analisi filosofica delle strutture che rendono possibile la comprensione universalizzante, senza più necessariamente coincidere con settori gnoseologici specifici ma guardando alla totalità dei rapporti dell’uomo con il mondo e realizzandosi, in particolare, nelle esperienze filosofiche, storiche e artistiche, cioè in quella dimensione che in qualche modo esula dall’ambito strettamente scientifico.
2 L’interpretazione tra poesia e storicità
In relazione alle esperienze artistiche, e in particolare poetiche, si può contestualizzare il seminario di Francesca Romana Paci su Poesia e verità. Autopoiesi e Pomes Penyeach di James Joyce, una riflessione sul legame tra creazione poetica, interpretazione e verità. Il filo che collega questi tre elementi porta con sé la complessa dimensione dell’incontro tra il mondo originario dell’opera e quello del suo fruitore, cioè tra due realtà distinte come quella dell’interprete o traduttore e quella del poeta, muovendo dal fatto che quest’ultimo mantiene in una qualche misura nascosta la verità su se stesso, dando luogo a quella forma particolare di mitopoiesi per cui il proprio personaggio viene plasmato conformemente alla creazione poetica. A rendere ulteriormente arduo il raggiungimento di una seppur parziale forma di verità eventualmente recuperabile nel componimento, si inseriscono le difficoltà legate a ogni traduzione linguistica che voglia essere corretta e fedele, cioè capace di rispettare quanto l’autore ha inteso trasmettere al lettore. Ci si deve interrogare, infatti, su cosa voglia comunicare veramente un testo, su cosa faccia parte integrante di esso e su cosa, invece, risulti in qualche modo accessorio, per esempio se gli aspetti della biografia di un autore rientrino nella prima o nella seconda categoria. Inoltre, occorre chiedersi cosa la conoscenza di materiale ulteriore possa aggiungere all’aspetto strettamente poetico del testo. Il modo di interpretare un autore, infine, varia in relazione alla prospettiva di chi osserva, inevitabilmente soggetta ai condizionamenti del contesto spazio-temporale di appartenenza.
Concretizzando quanto detto guardando a due poesie della raccolta Pomes Penyeach di James Joyce, dai titoli Bahnofstrasse e Nightpiece, ci si può facilmente rendere conto di tale tensione tra ciò che può essere considerato parte integrante di una traduzione, e quindi della poesia stessa, e ciò che invece può essere tralasciato come elemento in qualche modo accessorio. Il caso della prima poesia, La via della stazione, o La strada del viaggio, è esemplificativo della prima categoria, cioè non è per nulla immediato comprenderne il contenuto, se non alla luce delle vicende della vita di Joyce, il quale ha scritto tale componimento segnato dalle sofferenze del glaucoma da cui era affetto. I termini lì presenti, infatti, fanno diretto riferimento alla malattia, pertanto la traduzione è resa più agevole tenendo presenti dati che trascendono i versi, piuttosto che dall’analisi semantica. Nel caso di Nightpiece, invece, è vero il contrario: la traduzione scorre fluida anche senza conoscere il retroterra contestuale del componimento.
Nel caso della traduzione e dell’interpretazione dobbiamo accettare, dunque, una certa oscillazione della verità, in quanto adattabile a qualunque realtà, così che il lettore risulta sempre sollecitato a un processo di esplorazione. La domanda su cosa sia o meno lecito dal punto di vista dell’interpretazione di un testo poetico o autobiografico sembrerebbe non trovare, secondo quanto emerso da questo seminario, una risposta inconfutabile.
La stessa incertezza, che in ultimo rimanda allo stesso percorso esistenziale dell’essere umano, si ritrova anche nel caso in cui si vogliano analizzare in chiave storica le relazioni tra autobiografia e verità. La categoria dell’interpretazione come strumento di analisi letterale e complessiva di un testo e della vita stessa emerge anche durante il seminario di Domenico Conte dal titolo Storia e storicità in Thomas Mann1, che ha trattato dell’ermeneutica come interpretazionedei testi scelti per l’occasione ma ancor di più come comprensione dell’intero orizzonte di senso del loro autore, Thomas Mann, cercando di decifrare il legame tra narrativa e realtà, tra elementi romanzeschi e riferimenti storici.
L’ermeneutica si ritrova nella storicità, in uno spazio in cui, tra luci e ombre, la vita si dispiega nella storia, in una interazione continua tra biografia e autobiografia, avventure dei protagonisti ed esperienze dell’autore. I testi analizzati in modo più specifico sono stati La montagna incantata o magica (Der Zauberberg), del 1924, e il Doktor Faustus, del 1947, che già per la loro collocazione cronologica si prestano a una più ampia riflessione sui concetti di storia e storicità in Mann. Il primo testo ha una lunga gestazione che riporta agli anni della Prima Guerra Mondiale, mentre il secondo è scritto negli Stati Uniti durante la Seconda Guerra Mondiale. Entrambi maturano, quindi, in un contesto complicato e complesso nel quale storia e verità si incontrano, ripetutamente, costruendo l’orizzonte ermeneutico di riferimento nel quale il lettore, attraverso l’interpretazione del testo, ritrova assai più dei semplici contenuti romanzeschi, coglie la vita dell’autore, laddove le sue capacità evocative rimandano a una storia animata e per molti versi spaventosa che non rimane ai margini, ma invade la vita di tutti i protagonisti, reali e non.
È una storia che a distanza di anni si ripresenta, apparentemente in termini diversi ma in verità sempre con la medesima drammaticità, che pone l’accento sul carattere epocale e unico delle vicende di quel secolo così tormentato. Le esperienze dei personaggi diventano metafore di dinamiche complesse, in cui il senso e il compimento riguardano, più in generale, il destino dell’uomo del Novecento. Una circolarità e un intreccio che, per quanto spesso difficili da decifrare, soprattutto se non si tiene a mente il vissuto dell’autore, rispecchiano perfettamente la figura di Thomas Mann, intellettuale poliedrico rispetto al quale risulta assolutamente necessaria una riflessione interdisciplinare, e non solo per meglio interpretarne i romanzi, ma anche per cogliere le interazioni tra l’uomo e lo scrittore, il saggista, il protagonista della vita politica. Sono tutti aspetti che interagiscono tra loro e che possono essere colti nella fitta interazione tra la vita dell’autore e quella dei suoi personaggi, che spesso ne riflettono le linee caratteriali come le insicurezze e le paure, in un contesto che non è solo trama romanzesca ma storia e vita concreta dell’uomo del Novecento.
Il carattere fortemente simbolico, del resto, non appartiene solo ai personaggi di Mann ma anche alla sua vita effettiva, piena espressione di un Novecento le cui dinamiche per così dire perseguitano e costringono a essere fuggitivi. In questo senso Mann è «viandante nel ‘900’»2: è viandante dal punto di vista geografico ed esistenziale, la sua è una vita in continuo movimento, un movimento non sempre voluto e tuttavia necessario, al di là dei conflitti interiori e delle contraddizioni più profonde. Mann si sposta molto presto da Lubecca, sua città natale, a Monaco; quindi è tra i primi ad emigrare, per le note vicende storico-politiche, dalla Germania alla Svizzera e poi agli Stati Uniti, dove diventa a tutti gli effetti cittadino americano. Continuamente in pena e sempre più deluso dai nuovi scenari politici ed economici che si vengono a creare, egli prosegue la vita da viandante e ritorna in Europa, ma non in Germania: teme, infatti, di trovarsi di fronte alle macerie tedesche, materiali e, soprattutto, spirituali. Opta, quindi, per un paese europeo di lingua tedesca e così la sua vita di viandante alla ricerca della salvezza, spirituale ancor prima che materiale, si conclude in Svizzera, dove si spegne, a Zurigo, nel 1955.
Già richiamare questi elementi biografici essenziali giova, in chiave storica e letteraria, all’interpretazione dei testi di Mann. Si capisce l’enorme impressione provocata su di lui dai conflitti mondiali e gli echi psicologici che ne derivarono, dal momento che i suoi più grandi romanzi sono stati pubblicati proprio a ridosso delle due guerre, vale a dire «delle cesure epocali che fratturano il corpo della storia del Novecento e ne marchiano a fuoco il volto»3. Della Prima Guerra Mondiale Mann afferrò immediatamente l’epocalità, cioè proprio il carattere di cesura: i protagonisti dello Zauberberg sono rappresentanti ed emissari di tendenze spirituali dell’epoca e i loro caratteri riflettono le personalità nevrotiche e problematiche di quell’epoca. Le vicende del romanzo non sono che un microcosmo specchio del più ampio macrocosmo europeo: così esso è un romanzo «sul tempo, che è, a questo punto, il “proprio tempo” e la propria epoca»4, un romanzo che si presenta come «inventario della problematica europea all’inizio del nuovo secolo»5, perché le esperienze dei suoi personaggi non sono che una continua allusione allo scenario devastante della realtà europea di quel tempo.
Allo stesso modo, il Doktor Faustus riflette le dinamiche della Seconda Guerra Mondiale, lasciando in sottofondo anche le ripercussioni del primo conflitto e il ruolo assunto dalla Germania in quegli anni complicati: «Questa duplice prospettiva sta inscritta nell’impianto del Doktor Faustus, basato sul congegno narrativo per cui l’umanista Serenus Zeitblom decide di scrivere una biografia dell’amico diletto, il musicista geniale Adrian Leverkühn, che, come la Germania, ha venduto l’anima al diavolo»6. I testi di Mann costituiscono, pertanto, un esempio concreto di come la categoria dell’interpretazione si dispieghi nell’effettiva comprensione dell’esistenza entro il divenire storico.
3 L’interpretazione tra filologia e crisi dell’informazione
Di altra natura, ma sempre riconducibile all’uso comprensivo e comprendente dell’ermeneutica, è il discorso relativo alla filologia. La critica del testo e la dimensione delle cosiddette verità alternative sono temi sempre più frequenti che sollecitano la filologia tradizionale a porsi la domanda circa il ruolo da assumere, e ciò non soltanto in riferimento alla comprensione letteraria in quanto interpretazione testuale ma anche relativamente alla gestione della teoria dell’informazione. Sarebbe opportuno interrogarsi, pertanto, circa il tipo di filologia necessaria per rendere conto di questo nuovo tipo di verità. Una filologia che intenda se stessa, insomma, come baluardo contro la deriva delle post-verità, una riflessione sulla sua possibilità responsabile di contribuire a districare il sempre più frequente e complesso intrecciarsi di informazioni, a volte assai poco autorevoli e fondate. Su questi temi si è soffermato Lino Leonardi nell’ambito del seminario intitolato Filologia come scienza, filologia come storia. L’ecdotica nel tempo delle verità alternative.
Una prima risposta a tale complesso di questioni potrebbe essere costituita dall’abbandono della definizione classica di filologia, sostanzialmente intesa come arte raffinata che esige dai suoi cultori quasi che diventino silenziosi al cospetto della magnificenza della parola. Il dibattito filologico del Novecento si concentra, infatti, sull’opposizione tra due concezioni diverse della filologia: una ricostruttiva, secondo cui rimane primario il tentativo di costruire, in mancanza dei riferimenti originali, una sorta di genealogia dei testimoni del passato, così da individuare i diversi stadi evolutivi dei testi ogni volta esaminati e di ripercorrere la diacronia del processo che si è sviluppato a partire dagli originali; e una conservativa, secondo cui rimane assolutamente primaria l’esigenza del rispetto e della fedeltà all’originale, dunque evitare ogni anacronistica sovrapposizione dello sguardo del lettore moderno. Le contestazioni reciproche riguardano, rispettivamente, da un lato la possibilità di proporre un testo in realtà mai esistito, dunque più o meno confezionato dal filologo, e, dall’altro, il rischio di proporre un testo senza alcuna considerazione per le trasformazioni accumulate negli anni.
In Italia la filologia romanza ha preferito, in linea di massima, riconoscersi nella prima prospettiva, quella ricostruttiva, mentre da molte altre parti è prevalsa la seconda. In questo inizio di secolo, però, anche in Italia sono comparsi più ampi consensi a questo secondo punto di vista, cioè quello secondo il quale la realtà del manoscritto diventa l’unico valore da rispettare.
Se vogliamo che gli strumenti della filologia siano funzionali a interpretare, a leggere sotto la superficie di un testo, a discernere il vero dal falso, a vagliare le fonti criticamente, è indispensabile, secondo Leonardi, tenere ben presente il primo dei due punti di vista ora ricordati, cioè la cosiddetta filologia diacronica: «Anteporre la necessità dell’interpretazione all’illusione dell’oggettività del documento»7. La filologia si lega, così, ai concetti di scienza e di storia: intendere la filologia come scienza implica l’ammissione di alcuni suoi concetti chiave quali la formulazione di ipotesi e la falsificabilità come valori non soltanto non negativi ma addirittura indispensabili; così come la necessità di accedere alla documentazione, di utilizzare il metodo critico e l’interpretazione al fine di giungere a una scelta responsabile dell’ipotesi più probabile. Intendere la filologia come storia comporta, poi, la necessità che il punto di vista del filologo non sia limitato al singolo documento ma lo interpreti alla luce della tradizione diacronica che lo ha prodotto, cercando di distinguere le diverse fasi della sua stratificazione. È bene tener presente, tuttavia, il valore di entrambi i punti di vista, diacronico e sincronico, così da offrire una diversa prospettiva del testo, «quella attuale, costruendo sul piano della forma linguistica un delicato equilibrio tra la sua storicità e la sua funzionalità»8.
Nella visione ricostruttiva emerge, in modo essenziale, la natura interpretativa della filologia, in quanto in ogni sua fase, dalla trascrizione dei documenti alla individuazione degli errori commessi dai copisti, dal confronto delle testimonianze fino alle scelte da compiere ai fini della pubblicazione, il filologo non può prescindere dall’assumere decisioni di natura interpretativa che, una volta prese, pongono le condizioni per l’una o per l’altra lettura. L’opera di edizione critica proposta da Leonardi, ispirata al lavoro di Gianfranco Contini, «implica la responsabilità di proporre un testo che, nel soddisfare ai requisiti della scienza e nel rendere conto della tradizione, non sia solo fruibile per gli specialisti, ma restituisca l’opera del passato alla lettura di un pubblico contemporaneo: non riproduca un documento, ma interpreti l’insieme della tradizione in modo da riuscire a trasferirne la realtà testuale ad una possibilità di lettura attuale»9. Occorre mirare, pertanto, a un tipo di «filologia testuale che intenda recuperare un suo ruolo credibile nelle scienze umane del ventunesimo secolo, proponendo testi del passato in edizioni che siano affidabili per i lettori di oggi, in quanto in grado di interpretare il testo medievale nella sua natura problematica, e di dar conto tramite l’apparato della dimensione diacronica della sua tradizione»10.
La filologia è necessaria per l’interpretazione, quindi, solo se ha l’umiltà di farsi davvero filologia, cioè di rispettare la correttezza del percorso e di ricavare la visione ultima alla luce della tensione gadameriana tra familiarità ed estraneità: tra l’interpretans e l’interpretandum, infatti, esiste una distanza temporale colmata dalla tradizione. L’interprete sarà sempre in qualche senso condizionato, nel rapporto con l’oggetto da interpretare, dalla storia e dalle interpretazioni già rese. Egli dovrà pertanto acquisire piena consapevolezza della propria determinazione storica e, attraverso una fusione di orizzonti, dovrà creare un nuovo prodotto, frutto dell’adeguamento del proprio tempo a quello dell’oggetto, al fine di comprenderlo. L’attività interpretativa assume, così, una forma di dialogo incessante tra passato e presente.
La filologia deve essere in grado, quindi, di dire qualcosa sulle condizioni dell’interpretazione, cioè deve porre le condizioni per riuscire ad affrontare in modo corretto, dal punto di visto storico e da quello scientifico, l’analisi interpretativa. Si tratta di una responsabilità che oggi, in una realtà in cui il predominio del web è divenuto dilagante e incontrollato, diventa ancora più urgente: il web, infatti, per sua stessa natura è caratterizzato dalla mancanza di trasparenza circa le fonti dei testi prodotti e utilizzati.
Tale riflessione, a ulteriore testimonianza del carattere interdisciplinare dell’ermeneutica, rimanda anche al seminario tenuto da Salvatore Carrubba su Crisi dell’informazione, giornalismo culturale e post-verità11, nell’ambito del quale l’appello alla responsabilità è stato ribadito attraverso l’analisi delle nuove modalità di informazione che nell’epoca della digitalizzazione hanno messo da parte i tradizionali veicoli della comunicazione, come i quotidiani cartacei, per dare sempre maggiore spazio all’informazione digitale, al web, ai social network. Tali dinamiche si radicano in una crisi globale dell’informazione le cui ripercussioni appaiono devastanti in ambito tanto economico quanto culturale. Il nuovo modo di fare informazione ha indubbiamente ridotto in modo drastico le vendite dei giornali, ma ha anche distrutto la qualità dell’informazione, che non è più l’esito delle indagini e delle conoscenze accurate di un professionista ma il risultato di un algoritmo che seleziona informazioni casuali, delle quali spesso è dubbia persino la veridicità, a seconda del consumatore che si trova davanti, che si conosce benissimo perché già schedato.
I nuovi padroni dell’informazione, I quattro titani del Tech, come li definisce Galloway12, cioè Twitter, Google, Facebook e Amazon, non sono editori e non hanno le competenze per sostituirsi all’informazione tradizionale. Il loro scopo non è informare e garantire la qualità della notizia, ma attrarre quanti più utenti possibili, in modo da schedarli e inserirli nel sistema algoritmico e lucrare così su di loro anche attraverso la pubblicità. Il risultato, allora, è la disinformazione e l’inevitabile passaggio dalla verità alla post-verità. In questo senso risulta indispensabile l’uso critico dell’interpretazione: non si tratta solo di leggere più informazioni possibili, ma di cercare di acquisire l’informazione corretta. Una prospettiva critica permette di non ritrovarsi in balia del web e delle logiche di mercato, imparando piuttosto a discernere tra il flusso continuo di informazioni che ogni giorno bombarda gli utenti, e non con lo scopo di informarli. Rispetto a questo flusso interpretativo è necessario assumere, dunque, una prospettiva ermeneutica e critica in grado da una parte di valutare l’attendibilità di una notizia e dall’altra di contestualizzarla, attribuendole il significato più autentico. Soltanto così si può ricostruire il senso, non soltanto dell’informazione ma, più in generale, dell’esistenza stessa.
4 La responsabilità dell’ermeneutica nella ricerca di senso e verità
L’analisi delineata mostra il senso che l’ermeneutica, vissuta come categoria dell’esistere, sembra poter garantire: essa, infatti, consente una visione d’insieme che supera le tendenze isolate dei singoli saperi, ai quali, piuttosto, permette di assumere una prospettiva assai più ampia e stimolante che può riportare l’uomo alla dimensione di una verità autentica, lontano dalla mortificazione della post-verità.
Questa è, allora, la grande responsabilità dell’ermeneutica come ricerca della verità, da non relegare, però, a una dimensione esclusivamente specialistica, ma da guardare nella sua ampiezza complessiva, così da coglierne al meglio le dinamiche sociali e culturali dell’esistenza. Se l’interpretazione in senso letterale permette un preliminare approfondimento specifico e la valorizzazione della peculiarità di ogni disciplina e della realtà cui essa si riferisce, l’interpretazione come categoria esistenziale più ampia diventa poi l’occasione per creare un collante tra i diversi ambiti del sapere e la vita stessa nelle sue molteplici articolazioni. In questa prospettiva l’ermeneutica diviene responsabile interpretazione della vita, ricerca del senso profondo dell’individuo e delle sue effettive possibilità di realizzarsi nella dimensione collettiva.
Note
Marta Maria Vilardo è autrice dei paragrafi 1–2, Marica Magnano San Lio dei paragrafi 3–4.
1 Cfr. D. Conte, «Nel pozzo del passato. Thomas Mann e la storia», in Atti dell’Accademia nazionale dei Lincei, Bardi Edizioni, Roma 2016, CDXIII. Il seminario ripercorre alcuni temi trattati proprio in questo scritto.
2 Cfr. D. Conte, Viandante nel Novecento. Thomas Mann e la storia, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2019.
3 D. Conte, «Nel pozzo del passato. Thomas Mann e la storia», cit., p. 309.
4 Ivi, p. 311.
5 Ibidem.
6 Ivi, p. 326.
7 L. Leonardi, «Attualità di Contini filologo», in L. Leonardi (a cura di), Gianfranco Contini 1912-2012. Attualità di un protagonista del Novecento, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio Franceschini, Firenze 2014, p. 67.
8 Ivi, pp. 70-71.
9 L. Leonardi, «Il testo come ipotesi (critica del manoscritto-base)», in Medioevo romanzo, Salerno Editrice, Roma 2011, XXXV, p. 6.
10 Ivi, p. 34.
11 Cfr. S. Carrubba, «Crisi dell’informazione, giornalismo culturale e post-verità», in Siculorum Gymnasium. A Journal for the Humanities, Duetredue Edizioni, Catania 2018, LXXI, IV, pp. 167-182.
12 Cfr. S. Galloway, The Four. I padroni – Il dna segreto di Amazon, Apple, Facebook e Google, Hoepli, Milano 2018.
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