Enattivismo, naturalismo e fenomenologia

Di: Andrea Pace Giannotta
21 Maggio 2020

 

A partire dall’introduzione da parte di Varela, Thompson e Rosch (VTR) in The Embodied Mind (TEM)1, la concezione enattiva si è imposta come un paradigma fecondo in filosofia della mente. Al centro di questa prospettiva vi è l’idea secondo cui la cognizione emerge nell’interazione tra un organismo vivente e il suo ambiente circostante e, di conseguenza, la mente è radicalmente “incarnata”. Questa concezione si contrappone al paradigma computazionale-rappresentazionale, a lungo prevalente nelle scienze cognitive, che concepisce la mente come un sistema di manipolazione formale di simboli che rappresentano il mondo esterno.

In seguito alla proposta originaria in TEM, la concezione enattiva è stata articolata in diversi modi e oggi si è soliti distinguere tra almeno tre forme di enattivismo: autopoietico (la versione originaria e il suo sviluppo da parte di autori come Thompson2), sensomotorio3, e radicale4. A mio parere, le differenze significative tra queste diverse forme di enattivismo dipendono da una radicale divergenza dal punto di vista della teoria della conoscenza e della metafisica.

In particolare, in questo lavoro sottolineerò le specificità dell’enattivismo autopoietico (EA), differenziandolo dalle altre forme in relazione alla concezione, in esso sviluppata, del rapporto tra soggetto e oggetto e tra mente e mondo. Allo stesso tempo, sottolineerò la presenza, in questa prospettiva, di una fondamentale incertezza relativa alla possibilità, o meno, di concepire la Natura come il dominio ontologico fondamentale a cui ricondurre la mente (problema del naturalismo). In particolare, sottolineerò il conflitto esistente tra un certo orientamento naturalistico della prospettiva enattivista, che risiede nella ricerca delle radici biologiche della cognizione, e la prospettiva antifondazionalista e antimetafisica sostenuta da VTR (incentrata sul concetto di groundlessness). Quindi, indicherò una via d’uscita da questa impasse nella rinuncia all’attitudine antimetafisica dell’enattivismo originario e nel suo sviluppo, attraverso il confronto con la fenomenologia husserliana, in una concezione metafisica ma non oggettivista della natura, concepita come processo qualitativo originario che si colloca alla base della co-costituzione di mente e mondo.

 

1 L’enattivismo autopoietico

Al centro dell’EA vi è la concezione dell’organismo vivente come sistema autonomo che enagisce l’ambiente in cui vive, facendolo emergere in quanto dominio di realtà intriso di significati che sono relativi alla propria costituzione corporea. Il concetto di autopoiesi, introdotto da Maturana e Varela5, si riferisce a questa organizzazione del vivente, che continuamente produce i propri elementi costitutivi e mantiene un confine tra sé e l’ambiente circostante. L’organismo, quindi, si auto-produce e, allo stesso tempo, modifica l’ambiente in relazione alle proprie esigenze vitali. In tal modo, organismo e ambiente si trovano in una relazione di “accoppiamento strutturale”, in un processo di co-determinazione che si svolge nel corso del tempo. Alla luce della nozione di autopoiesi, i proponenti dell’EA concepiscono la mente nei termini di queste attività di “conferimento di senso” (sense-making) del vivente affermando, di conseguenza, la continuità tra mente e vita: «Dove c’è vita c’è mente, e la mente nelle sue forme più articolate appartiene alla vita»6.

La nozione di co-determinazione tra organismo e ambiente, però, può essere intesa in modi molto diversi tra loro. Seguendo Forrest7, possiamo infatti distinguerne tre forme: empirica, cognitiva e trascendentale. Tutte e tre le nozioni sono presenti all’interno della prospettiva enattivista ma non sono in essa chiaramente distinte, pur avendo, come vedremo, implicazioni profondamente differenti.

Il rapporto di co-determinazione empirica sussiste tra sistemi fisici che interagiscono tra loro, influenzandosi reciprocamente fino a stabilire una forma di “accoppiamento strutturale”8.  Un esempio è il rapporto tra api e fiori all’interno di una determinata nicchia ecologica: le api si nutrono del nettare e al tempo stesso impollinano i fiori, stabilendo quindi un certo equilibrio nel tempo. Questa forma di co-determinazione sussiste quindi tra caratteristiche fisiche di entità considerate come oggettivamente esistenti nel mondo “extra-mentale” indagato da scienze naturali come fisica e biologia.

Il rapporto di co-determinazione cognitiva sussiste, invece, tra le risorse cognitive (concettuali, sensoriali, motorie, etc.) di un agente e il flusso di informazione proveniente dal mondo esterno. Si consideri ad esempio l’osservazione di un gioco complesso (es. gli scacchi). Se il soggetto ignora le regole del gioco, ciò che accade durante una partita sembra non avere molto senso. Gli eventi acquistano significato solo quando il soggetto afferra tali regole, conferendo in tal modo senso agli eventi.  Anche questa forma di co-determinazione è compatibile con una prospettiva “oggettivista”,che concepisce la Natura come un dominio oggettivo, extra-mentale, il quale acquista però un significato per un organismo in relazione alle sue risorse cognitive, diventando così un “ambiente” per esso.

Le forme empirica e cognitiva di co-determinazione hanno un ruolo centrale all’interno della concezione enattivista. Ma l’aspetto più originale, ma anche controverso, di questa teoria consiste nell’ammissione di un’ulteriore e più radicale forma di co-determinazione, che riguarda le nozioni di soggetto e oggetto (quindi la teoria della conoscenza) e di mente e mondo (quindi la metafisica). Maturana e Varela considerano tali nozioni come «due facce della stessa medaglia»9. In TEM, questa tesi è espressa attraverso il riferimento al concetto di “genesi interdipendente”, tratto dalla Madhyamaka (una delle principali scuole di filosofia buddhiste): «soggetto conoscente e oggetto del conoscere, mente e mondo, stanno tra loro in una relazione di reciproca determinazione [mutual specification] o genesi interdipendente [dependent coorigination10. A differenza della forma cognitiva di co-determinazione, che riguarda il rapporto tra soggetto conoscente e quegli aspetti della realtà esterna che acquistano significato per esso in relazione alla propria struttura cognitiva, la tesi radicale qui sostenuta è che il mondo stesso è il correlato della cognizione e che, di conseguenza, dobbiamo fare a meno di qualsiasi riferimento a un mondo assolutamente indipendente dalla mente. Per questo motivo, questa forma di co-determinazione può essere qualificata come trascendentale, riferendosi al rapporto di co-implicazione tra soggettività e oggettività, tale per cui l’una non può essere concepita indipendentemente dall’altra. In particolare, gli autori di TEM chiariscono come questa concezione non vada confusa con una forma di idealismo soggettivo (un’obiezione rivolta da diversi critici), configurandosi piuttosto come una “via di mezzo” tra idealismo – la tesi secondo cui il mondo è prodotto dalla mente – e realismo – la tesi secondo cui il mondo ha un’esistenza assolutamente indipendente dalla mente11.

 

2. Il problema del naturalismo

A questo punto però si impone, al cuore della prospettiva enattivista, il problema del naturalismo. Tale problema sorge a partire dal contrasto tra il concetto di groundlessness (traducibile come “assenza di fondamento”) e la ricerca delle basi biologiche della cognizione.

Il cap. 10 di TEM è dedicato, in particolare, ad inquadrare il concetto di enazione e di co-determinazione tra mente e mondo alla luce del concetto di “genesi interdipendente”, sviluppato da Nagarjuna. In questo concetto è racchiusa la dottrina secondo cui ciascuno dei due poli della relazione soggetto-oggetto e mente-mondo è privo di esistenza sostanziale e indipendente, ossia: non esiste indipendentemente dall’altro e, di conseguenza, è privo di una natura assoluta (“vacuità”, sunyata). In particolare, Nagarjuna affianca al concetto di vacuità del sé (anatman), al centro delle dottrine buddhiste, l’idea secondo cui anche il mondo è privo di esistenza sostanziale e indipendente, non avendo esistenza al di fuori della relazione di co-emergenza con la mente conoscente. In tal mondo, mente e mondo risultano essere entrambi “privi di fondamento” (groundless).

Il concetto buddhista di vacuità ha un ruolo centrale all’interno della concezione enattivista sviluppata in TEM e si contrappone ai tentativi di pervenire ad una concezione assoluta della realtà, esprimendo quindi un’istanza anti-fondazionalista e anti-metafisica12.

Questi aspetti della concezione enattiva sono stati ribaditi da Varela all’interno del suo progetto neurofenomenologico. Varela infatti concepisce la neurofenomenologia come un “rimedio metodologico” al cosiddetto “problema difficile” della coscienza, tematizzato da Chalmers13. Varela oppone questo metodo ai tentativi di colmare il “gap esplicativo” tra coscienza e natura ricorrendo ad un qualche “ingrediente extra”14. Secondo Varela, l’integrazione tra l’analisi fenomenologica dell’esperienza vissuta, le pratiche di meditazione di consapevolezza, e l’indagine neuroscientifica, ci permettono di indagare la correlazione tra stati mentali e stati cerebrali, senza però cercare di ridurre gli uni agli altri o di rendere conto di entrambi all’interno di una prospettiva metafisica. In tal modo, secondo Varela, è possibile dissolvere pragmaticamente il problema difficile, piuttosto che ostinarsi nel tentare di risolverlo15. Varela critica quindi i tentativi di trovare una soluzione metafisica al problema difficile (attraverso la valutazione di alternative come dualismo delle proprietà, emergentismo, panpsichismo, monismo neutrale, etc.16). La stessa attitudine anti-metafisica sembra essere ribadita da Thompson, laddove egli afferma che il suo sviluppo della prospettiva enattivista in Mind in Life non si propone di chiudere o colmare il cosiddetto gap esplicativo «attraverso una qualche forma di metafisica speculativa»17.

A questo punto, però, sottolineo la presenza di una fondamentale tensione all’interno della prospettiva enattivista, nel contrasto tra l’anti-fondazionalismo e la ricerca, in esso portata avanti, delle basi biologiche della cognizione. Infatti, nozioni come autopoiesi e continuità tra mente e natura sembrano presupporre una concezione della realtà naturale come fondamento ontologico della cognizione. Ciò vorrebbe dire considerare la Natura come un dominio ontologico che pre-esiste la mente e che dà vita ad essa, in un certo momento della storia dell’universo, quando dalla materia sorgono i sistemi autopoietici. Questa sarebbe una forma di naturalismo metafisico, ossia una teoria di ciò che vi è, secondo cui la Natura è costituita da un certo insieme di entità fisiche fondamentali che, combinandosi tra loro in un certo modo nei sistemi nervosi degli esseri viventi, danno vita all’esperienza cosciente18.

Una siffatta prospettiva metafisica, però, entra in conflitto con le nozioni di co-determinazione trascendentale tra mente e mondo e di groundlessness. L’enattivismo autopoietico potrebbe quindi abbracciare una simile concezione della natura, come fondamento metafisico della mente, solo a patto di rinunciare alle implicazioni anti-metafisiche del concetto di groundlessness e precisando il concetto di co-determinazione in senso empirico e cognitivo ma non trascendentale.

A mio parere, i proponenti dell’AE sono combattuti riguardo a questa questione. In alcuni lavori successivi a TEM, infatti, essi hanno sviluppato ulteriormente l’indagine delle radici biologiche della cognizione, mettendo al tempo stesso da parte ogni riferimento al concetto di groundlessness. Con la cosiddetta “svolta Jonasiana” dell’enattivismo19, Weber e Varela hanno ripreso la biologia filosofica di Jonas e la sua ammissione di un finalismo intrinseco in natura. La concezione di Jonas, però, è una metafisica della natura (molto vicina, in particolare, all’ontologia aristotelica)20. Sulla scorta di Jonas, questi autori sostengono quindi che «il fondamento della nostra esistenza è teleologico fin da principio», che «l’auto-realizzazione del vivente è una realtà ontologica» e che «la teleologia è una tendenza primordiale della materia»21 (enfasi mia).

 

3. La dimensione fenomenologica dell’enattivismo

A mio parere, possiamo trovare una via d’uscita dal problema del naturalismo guardando al rapporto tra l’enattivismo autopoietico e la fenomenologia husserliana, seguendo come filo conduttore il tema del carattere fenomenico dell’esperienza. La fenomenologia husserliana (e in particolare il suo sviluppo a opera di Merleau-Ponty), infatti, ha un ruolo centrale nell’elaborazione della concezione enattiva. Varela ad esempio afferma, ricollegandosi a Husserl, che l’analisi dell’esperienza vissuta, “in prima persona”, è «ciò da cui prendiamo le mosse e a cui ogni analisi deve sempre ritornare»22.

La continuità tra fenomenologia e enattivismo emerge con chiarezza nella recente recensione di Thompson a Evolving Enactivism di Hutto e Myin. Questi autori propongono una forma di enattivismo radicale, incentrato sul rifiuto della nozione di contenuto mentale. Secondo Hutto e Myin, le altre forme di enattivismo (autopoietico e sensomotorio) risultano essere ancora implicitamente compromesse con una concezione “rappresentazionale” della cognizione, poiché attribuiscono una qualche forma di “contenuto” alle forme cognitive di base (basic cognition), come la percezione. Al contrario, Hutto e Myin sostengono che la cognizione di base è “priva di contenuto” (contentless). In risposta a questa critica, Thompson distingue la nozione di “rappresentazione” da quella di “contenuto”, sostenendo, in continuità con la fenomenologia husserliana, l’ineliminabilità della seconda23. Thompson, quindi, sottolinea come in fenomenologia le nozioni di intenzionalità e contenuto siano inseparabili. In particolare, l’intenzionalità percettiva include sempre il “modo di presentazione” di un oggetto a un soggetto d’esperienza.

Queste osservazioni di Thompson ci rimandano alla concezione fenomenologica della percezione. Secondo Husserl, la percezione di un oggetto (es. un limone) è il risultato di un processo di “animazione intenzionale” dei contenuti sensoriali (ad es. le sensazioni di “giallo”), attraverso cui l’oggetto “trascendente”, con le sue proprietà sensibili (es. il colore “giallo”), risulta essere costituito. In tal modo, a differenza delle concezioni puramente internaliste o esternaliste del contenuto fenomenico della percezione, Husserl ammette sia l’esistenza di qualità “immanenti” del vissuto percettivo, che l’esistenza di qualità dell’oggetto, analizzando la correlazione tra esse nella percezione24.

Quest’analisi fenomenologica della percezione permette di articolare la nozione di sense-making, che è centrale nell’EA, nei termini della costituzione dell’oggetto attraverso l’animazione intenzionale dei contenuti iletici. Lo stesso Thompson25, infatti, accosta il concetto di enazione a quello di costituzione. Al tempo stesso, egli precisa che «costituzione non vuol dire produzione o creazione; la mente non produce il mondo. ‘Costituire’, nel senso tecnico della fenomenologia, vuol dire divenire consapevoli, presentare, o dischiudere. La mente diviene consapevole delle cose; essa dischiude e rende manifesto il mondo»26.

Il concetto di costituzione in fenomenologia, però, è oggetto di dibattito. Infatti, l’idea della costituzione come “schiusura del mondo” sembra ancora presupporre l’esistenza di un mondo oggettivo che attende di essere “svelato” dalla coscienza. Questa però sarebbe una forma di oggettivismo che si scontra con il correlazionismofenomenologico, sintetizzato così da Beck: «non possiamo dire né che un mondo in sé esiste indipendentemente dalla coscienza, né che solo la coscienza o un soggetto cosciente esiste e che il mondo esista solo in quanto un modo (esperienza, funzione, contenuto) della coscienza o del soggetto. […] Coscienza e mondo, soggetto ed oggetto, Io e mondo stanno tra loro in un contesto d’essere correlativo o reciprocamente dipendente […]»27. Gallagher e Zahavi esprimono questo punto sostenendo che in fenomenologia “mente e mondo non sono entità distinte; piuttosto, esse sono costitutivamente legate l’una all’altra”28.

Il riferimento al correlazionismo fenomenologico ci induce quindi a rilevare la presenza, anche in fenomenologia, del problema del naturalismo29. Anche nella fenomenologia husserliana, infatti, l’analisi correlativa-trascendentale sembra entrare in conflitto con la possibilità, ammessa dallo stesso Husserl, di indagare le radici corporee della coscienza, laddove egli afferma ad esempio che «la distinzione radicale non esclude l’intrecciarsi e il parziale sovrapporsi delle scienze. Così per esempio la “cosa materiale” e la “psiche” rappresentano diverse regioni dell’essere, e tuttavia l’ultima è fondata sulla prima, per cui la psicologia è fondata sulla somatologia»30. In Idee II, Husserl si spinge fino a individuare nel corpo vivo (Leib) «la base di una legittima “naturalizzazione” della coscienza»31.

 

4. Il fondamento qualitativo della relazione mente-mondo

A questo punto, possiamo trovare una via d’uscita dal problema del naturalismo sviluppando ulteriormente l’analisi della dimensione qualitativa dell’esperienza alla luce dell’EA e della fenomenologia husserliana.

Per quanto riguarda l’EA, un ruolo centrale nello sviluppo di questa prospettiva è assunto dall’analisi della percezione del colore32. In contrasto con il soggettivismo del colore – che concepisce i colori come mere apparenze soggettive causate dall’interazione tra il sistema visivo e il mondo fisico – e l’oggettivismo del colore – che aderisce al realismo di senso comune, concependo i colori come proprietà degli oggetti extra-mentali – Varela e Thompson sostengono una concezione relazionista dei colori, considerati come proprietà fondamentali che “precedono” e “sono alla base” della relazione tra percipiente e percepito33. Stando a questa concezione, i colori non sono proprietà meramente soggettive o meramente oggettive, configurandosi piuttosto come proprietà relazionali che pertengono al processo di co-emergenza di percipiente e percepito. In tal modo, la co-determinazione tra percipiente e percepito risulta essere fondata sull’esistenza di qualità fondamentali, come i colori, che si collocano alla base del processo di “co-emergenza” del soggetto e dell’oggetto in dipendenza reciproca.

Una concezione simile della dimensione qualitativa è sviluppata anche da Husserl, soprattutto all’interno del cosiddetto sviluppo “genetico” della fenomenologia (a partire dagli anni Venti). Come abbiamo visto, Husserl afferma che l’oggetto percettivo si costituisce come correlato di un processo di animazione intenzionale dei contenuti sensoriali o iletici (ad es. le sensazioni di giallo, nella costituzione dell’oggetto “limone giallo”). Quest’analisi della “costituzione”, al tempo stesso, viene concepita da Husserl come parziale, poiché essa si limita all’analisi dell’esperienza nella sua dimensione “statica”. In queste analisi, l’esperienza viene infatti analizzata in quella che possiamo chiamare la sua macro-struttura temporale. Ad esempio, la successione dei vissuti percettivi attraverso cui io vedo il medesimo tavolo da diversi punti di vista. Questo tipo di analisi, però, tralascia l’indagine della micro-struttura temporale dei vissuti, ossia l’articolazione interna di ogni singolo momento nella percezione del tavolo. Il singolo momento percettivo è in realtà esso stesso dotato di una struttura temporale interna.

Husserl sviluppa in diversi testi quest’analisi della struttura temporale della “coscienza interna del tempo”34, affermando come ogni vissuto sia costituito dall’intreccio tra impressione originaria, ritenzione e protenzione. In tal modo, Husserl individua, al cuore della struttura temporale più profonda della coscienza, un nucleo qualitativo (il flusso di impressioni originarie) che si colloca, al tempo stesso, alla base della costituzione dell’oggettività e della soggettività. Questo poiché le analisi genetiche husserliane hanno come tema quella “genesi della costituzione”35 che è, al tempo stesso, la genesi del soggetto cosciente concreto (quella che Husserl chiama “individualità monadica”36).

In tal modo, EA e fenomenologia convergono nel definire mente e mondo come correlati all’interno di un processo di co-costituzione. Inoltre, entrambi assegnano un ruolo centrale alla dimensione qualitativa dell’esperienza nella costituzione del flusso di coscienza e, al tempo stesso, dell’oggetto del conoscere. Così facendo, a mio parere, queste prospettive convergono nel concepire la dimensione qualitativa come base o fondamento della costituzione di soggettività e oggettività in dipendenza reciproca e ciò permette, finalmente, di affrontare il problema del naturalismo. Alla luce dell’analisi della struttura temporale profonda del flusso di coscienza possiamo infatti concepire la dimensione qualitativa-impressionale come una dimensione ontologica fondamentale che “precede” (logicamente e cronologicamente) la costituzione di soggetto e oggetto, mente e mondo. In questo contesto, la Natura si configura, innanzitutto, non come una realtà in sé, assolutamente indipendente dalla mente, ma come l’oggetto d’indagine delle scienze naturali e, quindi, come il correlato della costituzione trascendentale. D’altro canto, possiamo anche riferirci al processo qualitativo originario che precede la costituzione dell’oggettività con il termine “Natura”37.

In tal modo, è possibile integrare enattivismo e fenomenologia all’interno di una forma di naturalismo metafisico non oggettivista ma processuale e qualitativo, ossia: una concezione della realtà fondamentale (o Natura) come processo qualitativo originario che presiede alla costituzione di mente e mondo in dipendenza reciproca38.

 

Note

1 F. J. Varela, E. Thompson, E. Rosch, The Embodied Mind: Cognitive Science and Human Experience, MIT Press, Cambridge MA 1991.

2 E. Thompson, Mind in Life: Biology, Phenomenology and the Sciences of Mind, Harvard University Press, Cambridge MA 2007.

3 J. K. O’Regan, A. Noë, «A Sensorimotor Account of Vision and Visual Consciousness», in Behavioral and Brain Sciences24, 2001; A. Noë, J. K. O’Regan, «On the Brain-Basis of Visual Consciousness: A Sensorimotor Account», in Vision and Mind: Selected Readings in the Philosophy of Perception, a cura di A. Noë e E. Thompson, MIT Press, Cambridge MA 2002.

4 D. Hutto, E. Myin, Radicalizing Enactivism. Basic Minds Without Content , MIT Press, Cambridge MA 2012; Id., Evolving Enactivism. Basic Minds Meet Content, MIT Press, Cambridge MA 2017.

5 H. Maturana e F. Varela, Autopoiesis and cognition: The realization of the living, Kluwer, Dordrecht 1980.

6 E. Thompson, «Précis of Mind in Life: Biology, Phenomenology, and the Sciences of Mind», Journal of Consciousness Studies 18, no. 5–6, 2011, p. 10 (dove non diversamente indicato, le traduzioni sono mie).

7 J. Forrest, «Enacting the World. Seeking Clarity on Enactivist Anti-objectivism», 2018,  manoscritto disponibile su https://www.academia.edu/37959104/Enacting_The_World_Seeking_Clarity_On_Enactivist_Anti-Objectivism.

8 H. Maturana, F. Varela, The Tree of Knowledge: The Biological Roots of Human Understanding, Shambala, Boston MA 1987, p. 75.

9 Varela in H. Maturana, F. Varela, The Tree of Knowledge  (revised ed.), cit., p. 253 (trad. mia).

10 Ivi, p. 150.

11 Ivi, p. 172, vedi anche p. 202.

12 In particolare, attraverso il riferimento alla Madhyamaka, gli autori di TEM sostengono che la rinuncia alla fondazione di una concezione ultima della realtà ha una funzione “escatologica”, permettendo di liberare gli esseri umani dalla sofferenza esistenziale che scaturisce dall’attaccamento alle nozioni di un sé permanente e di un mondo oggettivo. Su questo punto vedi soprattutto Ivi, cap. 7.

13 D. J. Chalmers, «Facing Up to the Problem of Consciousness», Journal of Consciousness Studies 2 (3), 1995.

14 F. Varela, «Neurophenomenology. A Methodological Remedy for the Hard Problem» Journal of Consciousness Studies 3 (4), 1996, p. 330.

15 Per questa lettura della neurofenomenologia v. M. Bitbol, «Neurophenomenology, an Ongoing Practice of/in Consciousness», in Constructivist Foundations 7 (3), 2012; M. Bitbol e E. Antonova, «On the Too Often Overlooked Radicality of Neurophenomenology», Constructivist Foundations 11 (2), 2016; S. Vörös, T. Froese, A. Riegler, «Epistemological Odyssey. Introduction to Special Issue on the Diversity of Enactivism and Neurophenomenology», in Constructivist Foundations 11 (2), 2016.

16 Cfr. D. J. Chalmers, The Conscious Mind, OUP, Oxford 1996; D. J. Chalmers, «Consciousness and Its Place in Nature», in Blackwell Guide to Philosophy of Mind, a cura di S. Stich, T. Warfield, Blackwell, Oxford 2003;  D. J. Chalmers, «Panpsychism and Panprotopsychism», in Panpsychism: Contemporary Perspectives, a cura di G. Bruntrup e L. Jaskolla, OUP, Oxford 2016.

17 E. Thompson, «Précis of Mind in Life», cit., p. 10. Questi aspetti della concezione enattiva sono sottolineati da Vörös, Froese, e Riegler, «Epistemological Odyssey», cit.; M. Bitbol, “Neurophenomenology, an Ongoing Practice of/in Consciousness»; A. Pace Giannotta, «Varela on the Pragmatic Dimension of Phenomenology», in Constructivist Foundations, 13 (1), 2017.

18 Il rapporto tra ontologia fondamentale della natura, indagata dalla fisica, ed esperienza cosciente può essere poi inteso in vari modi, ad es. in termini di sopravvenienza naturale, di emergenza, o di un dualismo delle proprietà.

19 M. Villalobos, D. Ward, «Lived Experience and Cognitive Science. Reappraising Enactivism’s Jonasian Turn», in Constructivist Foundations 11 (2), 2016.

20 Cfr. H. Jonas, The Imperative of Responsibility: In Search of an Ethics for the Technological Age, University of Chicago Press, Chicago 1984, pp. 44-45.

21 A. Weber e F. Varela, «Life after Kant: Natural Purposes and the Autopoietic Foundations of Biological Individuality», in Phenomenology and the Cognitive Sciences 1 (2), 2002, p. 111, 113.

22 F. Varela, «Neurophenomenology», cit., p. 334.

23 E. Thompson, recensione di D. Hutto e Erik Myin, Evolving Enactivism: Basic Minds Meet Content, Notre Dame Philosophical Reviews, 2018, disponibile su: https://ndpr.nd.edu/news/evolving-enactivism-basic-minds-meet-content/

24 Vedi ad es. E. Husserl E., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro primo, Einaudi, Torino 1965, pp. 97-99. Su questo punto vedi A. Pace Giannotta, «Sensazioni o proprietà sensibili? Lo statuto ontologico dei qualia in fenomenologia», in Architettura della conoscenza e ontologia, a cura di R. Lanfredini, Mimesis, Milano 2015.

25 E. Thompson, Mind in Life, cit., p. 15.

26 Ibidem.

27 M. Beck, «Die neue Problemlage der Erkenntnistheorie», in Deutsche Vierteljahrsschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte, 6, 1928, p. 611; cit. in D. Zahavi, Husserl’s legacy: Phenomenology, Metaphysics, and Transcendental Philosophy, OUP, Oxford 2017, p. 114.

28 S. Gallagher, D. Zahavi, The Phenomenological Mind. An Introduction to Philosophy of Mind and Cognitive Science, 2ndEdition, Routledge, London – New York 2012, p. 142.

29 Cfr. A. Pace Giannotta, «Genetic Phenomenology and Empirical Naturalism», in Teoria 38 (2), 2018.

30 E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro primo, cit., p. 40.

31 E. Husserl E., Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro secondo, Einaudi, Torino 1965, p. 168. Si veda anche R. Bernet, «The Body as a “Legitimate Naturalization of Consciousness”», in Royal Institute of Philosophy Supplement 72, 2013.

32 F. J. Varela, E. Thompson, «Color Vision: A Case Study in the Foundations of Cognitive Science», in Revue de Synthese IV (1–2), 1990.

33 Per un’analisi più dettagliata della concezione enattivista del colore cfr.. A. Pace Giannotta, «Color Relationism and Enactive Ontology», in Phenomenology and Mind  14, 2018.

34 E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, Franco Angeli, Milano 2001.

35 E. Husserl, Metodo fenomenologico statico e genetico, Il Saggiatore, Milano 2003, pp. 74-75.

36 Ivi, pp. 57-58.

37 Questa direzione di sviluppo dell’ontologia fenomenologica si può trovare soprattutto, a mio parere, nell’ontologia della carne sviluppata da M. Merleau-Ponty ne Il visibile e l’invisibile, Bompiani, Milano 2007.

38 Nei termini del dibattito contemporaneo in metafisica e filosofia della mente, una tale prospettiva si configura come una forma di monismo neutrale, proposto originariamente da E. Mach (L’analisi delle sensazioni e il rapporto tra fisico e psichico, Mimesis, Milano 2011), W. James, (Saggi di empirismo radicale, Quodlibet, Macerata 2009) e B. Russell (L’analisi della mente, Newton Compton 1976). Si veda L. Stubenberg, «Neutral Monism», in The Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2018. Inoltre, essa si colloca in continuità con la tradizione della “filosofia del processo” (v. J. Seibt, «Process Philosophy», in The Stanford Encyclopedia of Philosophy, 2013) rappresentata soprattutto da A.N. Whitehead (Processo e realtà. Saggio di cosmologia, Bompiani, Milano 2019). Una proposta recente che si muove in questa direzione è quella presentata da A.G. Biuso, Tempo e materia. Una metafisica, Olschki, Firenze 2020.

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