Scuole innovative. Nuovi scenari
Il termine innovativo è tra quelli più usati (e abusati) degli ultimi anni1. Tutto è o deve essere innovativo e così anche le scuole.
Ma cosa si intende per scuole innovative? Può oggi una scuola non essere innovativa?
Per rispondere a queste domande possiamo iniziare partendo dalla definizione che emerge dalla lettura del bando del Concorso di idee #scuoleinnovative, avviato a maggio del 2016 dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca2. Al paragrafo 1.2 del bando si legge che l’obiettivo del concorso «è quello di acquisire idee progettuali per la realizzazione di scuole innovative da un punto di vista architettonico, impiantistico, tecnologico, dell’efficienza energetica e della sicurezza strutturale e antisismica, caratterizzate dalla presenza di nuovi ambienti di apprendimento e dall’apertura al territorio».
Agli edifici scolastici innovativi si chiede quindi di possedere i requisiti che attualmente sono richiesti a tutti gli edifici pubblici, di nuova costruzione o assimilabili, in termini di qualità architettonica, di livelli prestazionali e di sicurezza nonché di sostenibilità ambientale, energetica ed economica. Riguardo poi alla specificità degli edifici scolastici (ossia per il fatto che si tratta di scuole), l’innovazione viene invece riferita alla presenza di nuovi ambienti di apprendimento (ossia alla sostituzione del concetto obsoleto di aule scolastiche con quello più moderno ed efficace di ambienti di apprendimento) e all’apertura al territorio (ossia alla nuova dimensione assunta dalle scuole che, superando la sola logica didattica, si trasformano in veri e propri civic center).
Mentre per i requisiti generali i progettisti possono far riferimento alle specifiche normative di settore, ben più difficile sembrerebbe la ricerca di indicazioni da seguire e rispettare relativamente alla progettazione degli ambienti di apprendimento.
L’unica norma attualmente vigente sull’edilizia scolastica rimane ancora il datato Decreto Ministeriale del 18 dicembre 19753, ma questo, di carattere prettamente prescrittivo, contiene numeri e tabelle che poco possono guidare i professionisti nel compito di progettare i nuovi spazi educativi.
Al contrario, le Linee guida per la progettazione di edifici scolastici del 20134 che «rinnovano i criteri per la progettazione dello spazio e delle dotazioni per la scuola del nuovo millennio»5, pur offrendo molti spunti, potrebbero risultare fin troppo discorsive. Per la loro comprensione e quindi per il loro utilizzo in fase di progettazione, occorre innanzitutto apprezzarne la logica che da prescrittiva è divenuta prestazionale, come oramai lo è quella di molte norme tecniche6, proprio al fine di rendere i criteri di progettazione più agevolmente adattabili alle esigenze didattiche e organizzative di una scuola in continuo mutamento.
Èinfatti necessario prendere atto che gli spazi scolastici si rinnovano a fronte di una didattica rinnovata: non si può parlare di scuole innovative se non si comprende profondamente lo stretto legame tra ambienti di apprendimento e didattica, tra architettura scolastica e pedagogia.
Il superamento della centralità della lezione frontale e la sempre maggiore presenza delle tecnologie all’interno delle scuole, ha comportato lo sconfinamento dello spazio classe e l’esigenza di una reinterpretazione di tutti gli spazi scolastici in cui si svolge la didattica innovativa, quella che, superando il paradigma tradizionale, sposta l’attenzione dall’insegnamento all’apprendimento ponendo al centro del processo l’alunno.
Èuna didattica in continua evoluzione sostenuta da una vera e propria rivoluzione digitale quella che forma gli alunni di oggi; agli studenti d’altra parte non viene più richiesto di acquisire solo conoscenze quanto piuttosto o soprattutto quelle competenze che permetteranno loro di adattarsi ai costanti cambiamenti della società7.
Nuove e rinnovate competenze necessitano quindi di nuove metodologie didattiche e queste ultime del supporto di ambienti di apprendimento innovativi.
La personalizzazione degli apprendimenti e l’arricchimento dell’offerta formativa, necessari per assicurare l’inclusione scolastica e il successo formativo di tutti, comportano un utilizzo flessibile degli spazi, la contemporaneità di più attività in un solo ambiente, l’uso didattico degli spazi esterni, la necessità di spazi di relazione e il ripensamento delle biblioteche e dei laboratori. Preso atto che per progettare i nuovi di spazi di apprendimento occorre quindi partire dalla riprogettazione della didattica, per comprendere il passaggio dal Decreto Ministeriale del 1975 alle Linee guida del 2013, è fondamentale un approfondimento delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo del 20128, in quanto punto di riferimento per la progettazione del curricolo da parte delle istituzioni scolastiche.
Le Indicazioni Nazionali del 2012 propongono infatti una serie di suggestioni pedagogiche e culturali sulle quali si sono sviluppate le esperienze di innovazione metodologica: è su queste che occorre focalizzarsi per orientarsi nella progettazione dei nuovi spazi di apprendimento nell’attesa che sia rivisitata la normativa di settore.
Nel recente documento di lavoroIndicazioni Nazionali e nuovi scenari9, che ne fornisce una rilettura aggiornata, si legge che «l’integrazione delle discipline per spiegare la complessità della realtà, la costruzione di conoscenze e abilità attraverso l’analisi di problemi e la gestione di situazioni complesse, la cooperazione e l’apprendimento sociale, la sperimentazione, l’indagine, la contestualizzazione nell’esperienza, la laboratorialità, sono tutti fattori imprescindibili per sviluppare competenze, apprendimenti stabili e significativi, dotati di significato e di valore per la cittadinanza».
Ecco quindi che gli ambienti di apprendimento, per essere funzionali allo sviluppo delle competenze richieste, devono possedere alcune caratteristiche, ben precise e imprescindibili a tale scopo. Tali caratteristiche, pertanto, come si legge ancora nel documento, si caratterizzano come una «prescrittività» implicita. In altre parole, le Indicazioni Nazionali non sono una lettura facoltativa ma un indiscutibile punto di partenza: rappresentano quelle indicazioni con forte valore prescrittivo ricercate dai progettisti, pur se celate nella scorrevolezza della descrizione degli spazi educativi in grado di supportare la didattica per competenze.
È questa quindi la chiave di lettura delle Linee guida del 2013 nelle quali sono declinati in modo più preciso, pur senza contenere alcun criterio di dimensionamento, gli spazi fisici a supporto della didattica innovativa: l’aula, lo spazio di gruppo, lo spazio laboratoriale, lo spazio individuale e lo spazio informale e di relax. Non mancano le descrizioni degli altri spazi caratterizzanti le nuove scuole: l’Atrio, punto di scambio tra interno ed esterno; la Piazza/Agorà quale cuore funzionale e simbolico della scuola; l’Aula Magna/Auditorium e gli altri spazi con funzione di civic center per un’integrazione avanzata tra scuola, comunità e territorio; gli spazi a cielo aperto e gli spazi connettivi. Non vengono tralasciati poi i luoghi per l’attività motoria, gli ambienti per il personale docente e amministrativo, le mense e i servizi, nonché gli impianti, fondamentali per assicurare un adeguato livello di comfort e benessere.
Particolare attenzione è riservata agli arredi che rappresentano «l’interfaccia d’uso tra gli utenti e lo spazio», permettendo la declinazione dell’uso degli spazi.
Bisogna però evidenziare che non bastano nuovi arredi o una diversa disposizione dei banchi per trasformare la didattica così come non è sufficiente inserire tecnologie e strumenti in un’aula per accrescere le competenze degli studenti: l’innovazione non può essere meramente tecnologica o una superficiale operazione di restyling ma deve essere in primis di carattere metodologico per una didattica che persegua anche altri obiettivi formativi, non ultimo il benessere emotivo delle alunne e degli alunni.
È importante in tal senso riflettere sul fatto che, nelle Indicazioni Nazionali del 2012, l’ambiente di apprendimento è definito «un contesto idoneo a promuovere apprendimenti significativi e a garantire il successo formativo per tutti gli alunni».
Non bisogna quindi dimenticare (e non deve mai sfuggire al progettista), che il termine ambiente è solo una metafora per indicare appunto un contesto nel quale si attiva, si costruisce, si supporta l’apprendimento e si dà un senso alle proprie conoscenze.
Non solo quindi uno spazio fisico ma uno spazio di relazioni in cui possano contestualmente emergere i talenti individuali e vengano promosse le caratteristiche di resilienza, creatività, imprenditorialità senza tralasciare l’importanza fondamentale delle emozioni.
L’allestimento di un ambiente per l’apprendimento richiede quindi la cura delle principali dimensioni che lo caratterizzano:
a) la dimensione materiale e organizzativa, riguardante la gestione degli spazi, delle attrezzature e dei tempi;
b) la dimensione didattica, inerente le metodologie didattiche innovative;
c) la dimensione relazionale intesa come attenzione al clima di apprendimento positivo e alla trasmissione delle regole di comportamento condivise.
Alcune di queste dimensioni rientrano nella sfera più propriamente didattico/pedagogica e quindi di competenza dei docenti e della comunità educante.
I progettisti possono invece intervenire solamente sullo spazio fisico che rappresenta quindi solo una delle componenti di un ambiente di apprendimento.
Studi recenti hanno comunque evidenziato che i risultati conseguiti dagli studenti migliorano con l’innalzamento della qualità degli spazi fisici.
Una ormai ben nota ricerca condotta dal Professor Peter Barrett dell’Università di Salford10 ha stimato che tale variazione di miglioramento degli esiti scolastici è quantificabile nell’ordine del 16 per cento.
Di questa percentuale, circa la metà si riferisce a fattori che qualificano il microclima – quali la luce (21%), la temperatura (12%) e la qualità dell’aria (16%) -, mentre l’altra metà si riferisce per un quarto all’individualizzazione (ossia alla flessibilità degli spazi e alla possibilità offerta agli alunni di personalizzarli e adattarli) e per un altro quarto alla stimolazione (ossia alla complessità e al colore degli ambienti)11.
È evidente che solo quando si progettano nuovi edifici scolastici è possibile agire su tutti questi fattori puntando ai benefici massimi ma è pur vero che questi studi indicano che è possibile un potenziale di miglioramento anche per le scuole esistenti a fronte di un impegno economico contenuto.
In effetti un dato sorprendente emerso dalla ricerca è che l’aspetto esterno e il layout della scuola, così come lo spazio gioco esterno, non sono risultati significativi, in relazione al miglioramento dei risultati formativi, quanto la progettazione delle singole aule.
Per questo anche gli insegnanti – fermo restando l’adozione di nuove metodologie didattiche – possono ottenere ottimi risultati pur solo attraverso piccole modifiche dell’ambiente fisico aulaquali il cambiamento del colore delle pareti o la disposizione degli arredi. Sicuramente questi risultati possono essere amplificati qualora il docente venga supportato dai consigli tecnici di un team di professionisti.
I nuovi scenari vedono quindi impegnati i progettisti sia sul fronte della progettazione di nuovi edifici scolastici sia nella riconfigurazione degli spazi delle scuole esistenti, nella piena consapevolezza degli stretti legami tra pedagogia e architettura scolastica.
In entrambi i casi sarebbe auspicabile, per non dire indispensabile, un percorso di progettazione partecipata che preveda incontri tra progettisti, docenti e alunni.
La progettazione condivisa tra progettisti e comunità educante può sicuramente permettere di sfruttare al meglio le opportunità offerte da un intervento parziale, contribuendo in modo efficace a tradurre architettonicamente quanto necessario a supporto dei bisogni didattico-educativi. Nel caso poi di nuove progettazioni, chiaramente i massimi benefici si possono raggiungere con una progettazione partecipata allargata anche alle famiglie e alla comunità tutta. Dato che l’innovazione consiste anche nell’apertura al territorio, è infatti quanto mai opportuno considerare che le nuove scuole devono essere progettate in modo da favorire relazioni produttive con le comunità locali.
Uno dei temi più recenti su cui si stanno orientando gli studi internazionali riguarda, per l’appunto, le caratteristiche che deve possedere una scuola per inserirsi efficacemente nel contesto territoriale12.
Lasciando il territorio nazionale, sono infatti moltissime le ricerche a livello internazionale rivolte alla tematica dei nuovi ambienti di apprendimento e delle scuole innovative in generale.
L’impulso maggiore nel nostro continente si è avuto da quando l’Unione Europea ha individuato l’istruzione quale strumento più potente per raggiungere gli obiettivi di miglioramento sociale e culturale. Ma il dibattito ècomunque molto vivo a livello globale.
L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha lanciato nel 2013 il Learning Environments Evaluation Programme (LEEP)13 che mira a creare linee guida sulle migliori pratiche per sostenere i 35 Paesi membri nello sviluppo di ambienti di apprendimento fisici che soddisfino i bisogni dell’apprendimento e dell’insegnamento del ventunesimo secolo e nel contempo a guidare le politiche di investimento per rendere più efficace ed efficiente l’utilizzo delle risorse disponibili.
Sono quindi molteplici le motivazioni che spingono le ricerche nel campo dell’edilizia scolastica, sia di tipo culturale sia di tipo economico e sociale. Basterebbe comunque a giustificarle il fatto che, come recentemente affermato da Andreas Schleicher, Direttore per l’educazione dell’OCSE, «all’età di 15 anni lo studente tipo nei paesi dell’area OCSE avrà trascorso 7538 ore all’interno degli edifici scolastici»14.
La scuola rappresenta quindi una vera e propria seconda casaper gli studenti e deve divenire sempre più un punto di riferimento per la comunità e per il territorio: al di là di linee guida, ricerche e normative, forse semplicemente è proprio questa la ricettabase per progettare scuole innovative.
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Note
1Da un’indagine condotta nel 2010 dall’Analytics Team di LinkedIn su oltre 85 milioni di profili LinkedIn, è emerso che innovativo occupava il secondo posto tra le buzzword negli USA e il primo in Italia.
2Il Concorso di idee #scuoleinnovativeè stato indetto in esecuzione del decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca 3 novembre 2015, n. 860, adottato ai sensi dell’articolo 1, comma 155, della legge 13 luglio 2015, n. 107, la c.d. “La Buona Scuola”.
3Decreto Ministeriale 18 dicembre 1975. Norme tecniche aggiornate relative all’edilizia scolastica, ivi compresi gli indici di funzionalità didattica, edilizia ed urbanistica, da osservarsi nella esecuzione di opere di edilizia scolastica.
4Decreto Ministeriale 11 aprile 2013. Norme tecniche-quadro contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalità urbanistica, edilizia, anche con riferimento alle tecnologie in materia di efficienza e risparmio energetico e produzione da fonti energetiche rinnovabili, e didattica indispensabili a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati e omogenei sul territorio nazionale.
5Comunicato stampa del MIUR dell’11 aprile 2013. «Scuola, varate in Conferenza Unificata le nuove linee guida per l’edilizia scolastica. Scuole più sicure e spazi di apprendimento al passo con l’innovazione digitale».
6Si vedano, ad esempio, le nuove norme tecniche orizzontali e verticali di prevenzione incendi.
7Si veda la nuova Raccomandazione sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente adottata il 22 maggio 2018 dal Consiglio dell’Unione Europea.
8D.M. 16 novembre 2012, n. 254. Regolamento recante Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, a norma dell’articolo 1, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 89.
9Il documento “Indicazioni Nazionali e nuovi scenari”, elaborato dal Comitato Scientifico Nazionale (CSN), è stato presentato dal MIUR il 22 febbraio 2018 e trasmesso con Nota MIUR 3645, del 1 marzo 2018.
10P. Barrett, Y. Zhang, F. Davies, L. Barrett, Clever Classrooms: Summary Report of the HEAD Project, Project Report, University of Salford, Manchester 2015.
11Il dato relativo al rumore, pur essendo importantissimo, non è risultato rilevante.
12Cfr. P. Barrett, A. Treves, T. Shmis, D. Ambasz, M. Ustinova, «The Impact of School Infrastructure on Learning: A Synthesis of the Evidence» inInternational Development in Focus,World Bank Group, Washington 2019.
13Le attività svolte all’interno del programma LEEP possono essere consultate all’indirizzo web:http://www.oecd.org/education/effective-learning-environments/
14La dichiarazione è stata resa durante il Launch event for the OECD School User Surveydel 15 giugno 2018(le slide e il questionario sono disponibili al sito web: https://www.oecd.org/newsroom/oecd-international-teacher-and-school-leader-survey-to-be-published-wednesday-19-june-2019.htm – ultima visita 20 settembre 2019). La traduzione è mia. Il dato a cui Schleicher fa riferimento è tratto da: OECD (2017), «Table D1.1. Instruction time in compulsory general education1 (2017)?», in Education at a Glance: OECD Indicators, OECD Publishing, Parigi 2017. Disponibile, alla pag. 346 del documento, all’indirizzo web: (https://www.oecd-ilibrary.org/docserver/eag-2017-en.pdf?expires=1569163988&id=id&accname=guest&checksum=8AD34F04DBF9778E2CBDF294E655C377 – ultima visita 20 settembre 2019).
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