Miti e riti nella scuola italiana: quando il debito è formativo (I parte)
Perché si rimanda
Chissà se l’estensore dell’Ordinanza Ministeriale n. 92, emanata dal tunc Ministro della pubblica istruzione Giuseppe Fioroni il 5 novembre 2007, che all’art. 7 comma 1 introdusse formalmente nel lessico giuridico scolastico italiano la locuzione “sospensione del giudizio”, era consapevole della veneranda pregnanza filosofica di una siffatta espressione? La saggia cautela propugnata da Pirrone di Elide e fatta propria da René Descartes ed Edmund Husserl, come metodo ineludibile per rifondare su solide basi la filosofia e le scienze, o quanto meno chiarificarne i concetti, era destinata a informare di sé e a lasciare un’impronta indelebile nel frenetico e defatigante rito degli scrutini finali, che dirigenti scolastici e docenti celebrano ogni anno, in tutte le scuole della Repubblica, nell’imminenza della stagione estiva? Per ordine del Signor Ministro, l’epochè entrava a pieno titolo nel profilo professionale del personale scolastico e nel bagaglio delle sue competenze?
O forse, nella patria di Dante, era inevitabile che la forma archetipica del purgatorio (“non ti condanno, puoi ancora rimediare”) trovasse la sua compiuta espressione anche nell’istituzione che, con sempre più fatica, tramanda la memoria e l’opera del padre della lingua italiana alle nuove generazioni?
Che questa seconda ipotesi sia la più fondata, ossia che con sincero pentimento, fermo proponimento di studiare anziché godersi la vacanza, tre paternostri e un’avemaria lo studente neghittoso possa salvarsi dall’inferno della bocciatura, porta a pensarlo l’attributo “finale” che accompagna l’espressione che stiamo sottoponendo ad analisi. In effetti, “sospensione del giudizio finale” evoca scenari minacciosi di perdizione solo temporaneamente differiti: il filo cui è appesa la spada che pende sul capo forse reggerà, ma c’è anche il rischio che si spezzi. Questa situazione di sospensione servirebbe quindi a generare angoscia nello studente di cui sopra e a recuperarlo in tal modo alla retta via dell’impegno e della diligenza, così come il debito di pena da scontare in purgatorio ha, per il fedele pentito, l’effetto di scongiurare la dannazione nel giudizio finale, mentre la raffigurazione dei tormenti delle anime purganti, suscitando il timor di Dio, può costituire il primo passo della conversione del peccatore, recuperandolo alla virtù e avviandolo alla santità.
Umanismo cattolico secolarizzato
Ma procediamo con ordine. In principio era la riforma Gentile. O, meglio, è la riforma Gentile. Meglio usare il presente perché essa, con i Regi Decreti 4 maggio 1925, n. 653 e 21 novembre 1929, n. 2049 (pubblicati invero quando il suo incarico di ministro era cessato), continua a esplicare i suoi effetti sulle strutture profonde dell’ordinamento scolastico italiano. Giova riportare integralmente i primi tre articoli inseriti nel Capo I del Decreto 2049, intitolato “delle sessioni d’esame”:
Art. 28
La prima sessione degli esami di ammissione, idoneità e licenza ha inizio dopo il 15 giugno. […] La prima sessione degli esami di maturità e di abilitazione ha inizio nella terza decade di giugno. La seconda sessione degli esami di ammissione, idoneità e licenza per i candidati ammessi alla riparazione si tiene dopo il 15 settembre, in modo che abbia termine possibilmente entro il 25 dello stesso mese. La sessione di riparazione per gli esami di maturità e di abilitazione ha luogo dopo il 25 settembre per i candidati ammessi alla riparazione e per quelli che non abbiano potuto sostenere o compiere l’esame nella prima sessione. L’assenza o la interruzione, nel caso previsto nel comma precedente, deve essere giustificata prima della chiusura della sessione estiva al presidente della commissione, il quale giudicherà dell’attendibilità dei motivi addotti e deciderà inappellabilmente.
Art. 29
Per la promozione non c’è sessione di primo esame, tenendone luogo lo scrutinio finale. Le prove di riparazione per la promozione si danno nella sessione autunnale degli esami di idoneità.
Art. 30
I candidati riprovati nella sessione di riparazione, o in quella delle due sessioni che sia stata la sola per essi utile, debbono, ripresentandosi all’esame negli anni seguenti, ripetere tutte le prove.
Per ogni esame, quindi, era prevista una seconda chance, sia che il candidato fosse stato assente giustificato, sia che avesse dovuto motivatamente interromperne lo svolgimento o fosse stato comunque ammesso “alla riparazione”. La “sessione di riparazione” – si noti– era prevista anche per gli esami di maturità e, in effetti, erano pochi coloro che riuscivano a superare la maturità alla prima sessione. A molti candidati toccava dover riparare una o più materie a settembre. Ma a parte le considerazioni sulla difficoltà di un esame esteso a tutte le discipline e ai programmi di studio di tre anni, qui interessa riflettere sui termini “riparare” e “riparazione”. Se è corretta l’ipotesi interpretativa che stiamo argomentando, essi non si devono intendere in senso materiale, come riferiti a un oggetto o a un meccanismo guasto, rotto o difettoso di cui si ripristina il funzionamento, bensì in senso morale: riparare è restaurare un ordine violato. Ad esempio, si ripara a un danno risarcendo il danneggiato; l’ingiuria all’onore di una vergine, nelle società patriarcali, viene sanata dal matrimonio riparatore. Se si vuole portare all’estremo il ragionamento, basta ricordare che sulla facciata di talune chiese rinascimentali o barocche, accanto al numero romano che indica la data di costruzione, è incisa a lettere cubitali la scritta “REPARATAE SALUTIS”, con riferimento alla nascita di Cristo: la riparazione, in ultima analisi, non è altro che la restaurazione della salvezza perduta, ossia la redenzione.
Più immediata è l’argomentazione che si sviluppa intorno all’articolo 30, soprattutto riguardo all’uso del termine “riprovato”, che fino ad alcuni decenni or sono veniva scritto nei tabelloni degli esiti degli esami e degli scrutini affissi agli albi delle scuole in luogo dell’attuale dicitura “non promosso” e di quella, anch’essa ormai desueta, di “respinto”. È evidente la derivazione di “riprovato”dal latino “reprobatus”, letteralmente traducibile con “disapprovato” o “rifiutato”. Altrettanto evidente è la stretta parentela grammaticale e semantica con l’aggettivo “reprobus”, ossia “reprobo”. Nel giorno del giudizio finale gli eletti saranno schierati alla destra e i reprobi alla sinistra del Sommo Giudice, e saranno destinati alla dannazione eterna. Fortunatamente per i “candidati riprovati”, che ancora vivono nel mondo della temporalità, la condanna non è eterna, ma è comunque pesante: tutto da rifare, se ne riparla dopo un anno.
A questo punto dobbiamo rettificare quanto affermato poc’anzi: non è vero che all’inizio di tutto c’è il filosofo di Castelvetrano. L’impianto sottostante ci riporta direttamente al sistema di riferimento ideologico, valoriale, retorico e prassico che gli ordini religiosi dell’età della riforma cattolica dediti all’insegnamento ci hanno tramandato non solo con l’architettura, la scultura, la pittura e la musica, ma soprattutto con l’invenzione di un monumento immateriale, ovvero la scuola, come ancora la conosciamo e la viviamo. La ratio studiorum gesuitica, benché spogliata del riferimento confessionale, si conserva e mantiene nell’umanesimo spiritualistico gentiliano applicato alla strutturazione del sistema scolastico italiano. Anche Gentile, quindi, o meglio, l’ordinamento scolastico da lui stabilito, non può non dirsi cristiano?
Autoritarismo e democratizzazione nella scuola di massa
Si diceva democristiano Fiorentino Sullo, politico avellinese, successore di Giovanni Gentile al Ministero della pubblica istruzione nel periodo caldo della contestazione studentesca. Ovviamente l’esame di maturità secondo l’impianto gentiliano, ancorché leggermente mitigato qualche decennio prima con la riduzione dei programmi d’esame alle materie dell’ultimo anno, restava l’emblema della scuola selettiva e di classe e quindi il principale bersaglio delle proteste degli studenti. Benché rimasto solo poco più di due mesi al timone del ministero, legò il suo nome a due provvedimenti che alcuni giudicarono un cedimento demagogico alle piazza, ma che in realtà rispondevano a una visione di società più aperta di cui Sullo, esponente delle correnti di sinistra, era portatore. Fu lui, ad esempio, che autorizzò lo svolgimento delle assemblee studentesche all’interno delle scuole. Comunque, il provvedimento per cui viene ancor oggi ricordato è la Legge 5 aprile 1969, n. 1191 che, sull’onda della contestazione studentesca culminata nel ‘68, introdusse profonde modifiche all’esame di Stato, riducendo a due tanto le prove scritte quanto le materie da affrontare nella prova orale, di cui una scelta dalla commissione e una scelta dal candidato all’interno di una rosa di quattro materie indicate dal ministro entro il 10 maggio di ogni anno. Ai fini del nostro discorso, vale sottolineare che la sessione di esami di riparazione non era più prevista per la maturità.
Può apparire una forzatura continuare ad applicare a questo passaggio dell’evoluzione della pratica degli esami di riparazione una lettura che mira a evidenziarne il sostrato teologico-dogmatico e teologico-morale. Come appare evidente, sarebbe stato eccessivo prevedere, con una modalità d’esame così semplificata, un’ulteriore prova d’appello, rimandando a settembre chi si fosse mostrato parzialmente impreparato. Tuttavia vogliamo cedere alla tentazione e mantenere questa chiave interpretativa.
Una linea di analisi che prenda le mosse dal clima postconciliare che si respirava nell’Italia di allora potrebbe portare a postulare che l’alternativa secca tra licenziato o non licenziato, maturo o non maturo sia significativa del fatto che, con il Vaticano II, il cattolicesimo (e la società italiana) si apre alla penetrazione di vari elementi di matrice riformata (soprattutto luterana) fino ad allora osteggiati e respinti. Ora, il bersaglio iniziale della polemica antipapista di Martin Lutero fu proprio la dottrina delle indulgenze, che si fonda sulla fede nell’esistenza del Purgatorio. Non sembra però la spiegazione piùplausibile che l’indebolimento della credenza in questa provvisoria alternativa tra la dannazione e l’immediata beatitudine abbia inciso, a livello di categorie culturali profonde, nell’avviare il sistema scolastico ad abbandonare il meccanismo degli esami di riparazione. In realtà, se si considera che nel 1951 i promossi all’esame di maturità furono circa il 70% dei candidati, nel 1966 si aggiravano intorno all’80% e nel 1969, con la riforma Sullo, balzarono fino a superare il 90%, va considerato un altro fattore che principalmente determina e orienta questo mutamento. Nella pastorale ecclesiastica postconciliare comincia a prevalere l’attenzione alla dimensione della misericordia divina a scapito delle esigenze della giustizia retributiva. La concezione di un inferno vuoto, variamente argomentata dai teologi a partire da Origene fino a Teilhard de Chardin e a Von Balthazar, proprio negli anni Sessanta comincia a farsi strada nella cultura italiana di massa2. Il Sessantotto contesta il fondamento e il primato della Legge, prendendo di mira la figura del Padre che li incarna. Erodendone l’autorità, di pari passo disgrega quella di tutte le figure che pretendono di esercitarla3. La 119/69 è una legge che ammorbidisce la durezza della Legge. Se l’esame di Stato non si poteva abolire facilmente perché lo prevede la Costituzione, si poteva però rendere meno selettivo, trovando un modo per ridurre il numero dei riprovati. Si trattò di un significativo passo nel processo di svuotamento dell’inferno dei non licenziati, quasi compiuto nel 2019, in quanto all’esame di stato si sono diplomati il 99,7% dei candidati ammessi.
Il fatto è che, tolti per i diciannovenni, gli esami di riparazione restavano per gli alunni di tutti i dodici precedenti anni di scuola, perfino per i bambini di prima elementare. Si dovette attendere la legge 4 agosto 1977, n. 517, promulgata mentre era Ministro della Pubblica Istruzione Franco Maria Malfatti, perché fosse eliminata la possibilità di rimandare a settembre alle elementari e alle medie. All’interno della legge 517 questo aspetto occupa un posto invero marginale, in quanto ben più ampia è la sua portata innovativa. In essa culmina il migliore dibattito pedagogico degli anni ‘60 e ‘70 e trovano una illuminata e lungimirante sistemazione le questioni della valutazione, dell’integrazione degli handicappati (così si diceva allora), della sperimentazione didattica. A proposito della valutazione, va detto che, grazie a questa legge, la scuola italiana cominciava a dismettere la funzione sanzionatoria che la società da secoli le attribuiva, per assumersi la responsabilità di garantire l’esercizio del diritto all’istruzione degli studenti che le sono affidati, come il dettato costituzionale e una società democratica richiedono.
Restavano quindi soltanto le scuole secondarie di secondo grado a conservare il rito degli esami di settembre e così sarebbe stato per altri 18 anni finché il Governo Dini, che aveva come Ministro della pubblica istruzione Giancarlo Lombardi, con il Decreto Legge 28 giugno 1995, n. 253 lo abolì. Si noti la data del decreto: il 28 giugno le scuole erano ormai terminate e gli studenti appena rimandati si ritrovarono d’improvviso beneficati da questa improvvisa e insperata grazia. Quali motivi determinarono la decisione? Da un lato la percezione della sostanziale inutilità di questa pratica: quanti studenti ormai traevano davvero profitto dallo studio estivo in vista degli esami di riparazione? Forse tanti quanti erano i fedeli che si facevano persuadere alla conversione dal timore delle pene temporali ed eterne. Ma soprattutto fu il biasimo sociale di cui erano oggetto gli insegnanti che si dedicavano al lucroso mercato delle lezioni private, di solito esentasse, paragonabile a un moderno mercato delle indulgenze, a determinare una pressione dell’opinione pubblica in direzione abolizionista.
L’innovazione principale consisteva nell’istituzione dei cosiddetti IDEI, ossia interventi didattici ed educativi integrativi che, nell’articolo 193 bis e ter del Testo Unico delle Leggi sull’istruzione4, introdotti dal D.L. 253/95, venivano finalizzati proprio all’esercizio del diritto allo studio degli studenti e, nelle intenzioni dichiarate dal Ministro, avrebbero dovuto sostituire le lezioni private, in quanto attivabili lungo tutto l’anno e destinatari di specifici finanziamenti. Come si vede, il principio era analogo a quello che aveva informato la 517/77, pienamente adeguato alle esigenze di una scuola democratica, orientata a garantire pari opportunità a tutti, che stava muovendo i primi passi verso l’autonomia. La progettazione e l’organizzazione degli IDEI, per ogni aspetto, infatti, dovevano dipendere dalle delibere degli organi collegiali, secondo le competenze rispettive; inoltre, innovazione questa degna di nota, era consentito ricorrere a forme di flessibilità nella programmazione e calendarizzazione degli interventi nonché nella composizione dei gruppi di studenti da avviare ad essi.
Quali le conseguenze di questo provvedimento decisamente innovativo? In primo luogo, con l’abolizione dell’esame di riparazione, gli studenti che fino ad allora venivano semplicemente chiamati “rimandati” persero il loro nome e ne acquistarono uno molto più lungo: “studenti che siano stati promossi alla classe successiva pur non avendo pienamente conseguito, in una o più discipline, gli obiettivi cognitivi e formativi previsti dagli ordinamenti degli studi”. Ma, passando dal piano nominale a quello sostanziale, giova chiedersi se le diverse componenti scolastiche (presidi, docenti, studenti e famiglie) fossero sufficientemente “adulte” per farsi carico responsabilmente dell’autonomia di giudizio che veniva loro concessa. Una risposta negativa è implicita nei provvedimenti del Ministro Fioroni cui abbiamo fatto cenno in apertura di articolo, ma è opportuno analizzarne più a fondo motivazioni e implicazioni, visto che il quadro normativo delineato nel 2008 conserva validità ai giorni nostri.
(fine I parte – continua)
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Note
1Anche in questo caso, quando la legge fu promulgata, Sullo non era più ministro. Gli succedette Mario Ferrari Aggradi, che fece prorogare la durata dell’esame di maturità riformato da Sullo (che doveva aver vigore solo per gli anni scolastici 1968/69 e 1969/70) fino all’entrata in vigore di una riforma generale, cosa che accadde solo trent’anni dopo, con il Ministro Luigi Berlinguer. Un regime provvisorio durato circa trent’anni.
2Si pensi a Fabrizio De André che, in “Preghiera in gennaio”, cantava: “…perché non c’è l’inferno nel mondo del buon Dio”.
3Vi è chi, in un’ottica lacaniana, parla di “evaporazione del Padre”. Si veda M. Recalcati, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Raffaello Cortina, Milano 2011.
4Si riporta il testo dell’art. 193-bis (Interventi didattici ed educativi) del D. lgs. 297/94:
1. Al fine di assicurare il diritto allo studio per tutti gli studenti, il collegio dei docenti e i consigli di classe, nell’ambito delle rispettive competenze, adottano le deliberazioni necessarie allo svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi, coerenti con l’autonoma programmazione d’istituto e con i piani di studio disciplinari ed interdisciplinari, da destinare a coloro il cui livello di apprendimento sia giudicato, nel corso dell’anno scolastico, non sufficiente in una o più materie. In funzione delle necessità degli studenti, il collegio dei docenti e i consigli di classe, nell’ambito delle rispettive competenze, deliberano che vengano svolte anche attività di orientamento, attività di approfondimento, attività didattiche volte a facilitare eventuali passaggi di indirizzo, nonché interventi nei confronti degli studenti di cui al comma 3.
2. I criteri di svolgimento degli interventi di cui al comma 1 sono stabiliti, su proposta del capo di istituto, in base alle indicazioni formulate dai consigli di classe, dal collegio dei docenti e dal consiglio di istituto, secondo le rispettive competenze. Il collegio dei docenti effettua verifiche periodiche sull’efficacia dei suddetti interventi sulla base degli elementi forniti dai consigli di classe e dai docenti interessati, anche al fine di apportarvi le necessarie modifiche. Il collegio dei docenti stabilisce altresì i criteri generali per la valutazione degli studenti in sede di scrutinio finale.
3. Per gli studenti che siano stati promossi alla classe successiva pur non avendo pienamente conseguito, in una o più discipline, gli obiettivi cognitivi e formativi previsti dagli ordinamenti degli studi, in sede di valutazione finale il consiglio di classe delibera l’obbligo di frequentare, nella fase iniziale delle lezioni, le attività per essi previste nella programmazione di classe, limitatamente all’avvio dell’anno scolastico 1995-1996.
4. Il consiglio di istituto, con propria delibera, approva annualmente un piano di fattibilità degli interventi didattici ed educativi integrativi, accertando tutte le risorse a tal fine disponibili anche sulla base dei finanziamenti di cui al comma 6.
5. Le attività di cui ai commi 1 e 3, ivi compresi gli interventi didattici ed educativi integrativi, sono svolte dai docenti degli istituti. I criteri e le modalità per la retribuzione delle prestazioni aggiuntive dei docenti sono definiti in sede di contrattazione collettiva nazionale.
6. La ripartizione dei finanziamenti disponibili per gli interventi didattici ed educativi integrativi di cui al comma 1, primo periodo, si effettua annualmente con decreto del Ministro della pubblica istruzione per l’assegnazione su base provinciale; la ripartizione fra le unità scolastiche si effettua con decreti dei provveditori agli studi.
7. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli istituti e scuole di istruzione secondaria superiore all’estero, nei limiti dei finanziamenti ad essi destinati e con gli adattamenti richiesti dalle particolari esigenze locali.
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