Né naturale né artificiale ma tecnologica e cooperativa. L’intelligenza collettiva come processo sociotecnico
Le scienze sociali che si sono occupate dei micro comportamenti collettivi – come la psicologia sociale o sociologia dei gruppi – hanno sempre sottolineato come le caratteristiche cognitive umane vengano a modificarsi nel momento in cui il pensiero individuale si confronta con il pensiero di gruppo. Esistono diverse ricerche in questo senso come gli studi di Solomon Asch sulla pressione del conformismo sulle capacità cognitive umane1oppure gli studi sui frames di Erving Goffmann, secondo cui le persone usano le proprie esperienze sociali per completare le informazioni mancanti nella definizione di una situazione2.
Questo tipo di impostazione – più che altro circoscritta al fenomeno del pensiero di gruppo connotato in senso negativo (ovvero come limite e non come risorsa per le capacità cognitive umane) si è trasformato in un’opportunità nella riflessione organizzativistica dagli anni ’70 agli anni ’90. Concetti quali brainstorming3, apprendimento organizzativo4 e pensiero sistemico5hanno sottolineato come il pensiero di gruppo può essere qualcosa di produttivo se inserito all’interno di un preciso percorso socialmente strutturato e organizzato. In pratica, il problem solving non è una proprietà emergente di tipo collettivo se questo processo non viene disciplinato senza essere irrigidito. La riflessione degli anni ’50 e ’60 sul pensiero di gruppo lo ha considerato come fonte di problemi: non è un caso che i concetti ad esso legati sono conformismo, pregiudizio, stereotipo. Le riflessioni che vanno dagli anni ’70 a tutti gli anni ’90 preferiscono considerare il pensiero di gruppo come strumento di crescita collettiva solo se ben organizzato.
Cooperazione – anche se nella versione negativa della pressione sociale – e organizzazione sono due elementi chiave della riflessione sulle forme di intelligenza che sembrano emergere dai comportamenti collaborativi di tipo cognitivo (valutare, risolvere problemi, produrre idee, eccetera). Ma esiste un filone di ricerche che pur non avendo mai affrontato la questione in maniera sistematica, ha fatto emergere un fenomeno collettivo piuttosto interessante: la capacità che hanno le tecnologie di aggregare attitudini e comportamenti con conseguenze degne di nota dal punto di vista cognitivo. Queste tecnologie sono i mezzi di comunicazione di massa. I media si sono mostrati un ottimo strumento per consentire la realizzazione di un pensiero collettivo che possa essere considerato – in pura ottica Gestalt– come maggiore della somma delle sue parti. Diversi sono i concetti usati per descrivere questo processo, ma il concetto originario è senza dubbio quello di opinione pubblica, intesa come rappresentazione collettiva delle idee nelle società liberali, resa possibile dal ruolo della stampa e dei giornali. Classica in questo senso la riflessione di Jürgen Habermas, secondo cui l’opinione pubblica è da intendersi come sfera pubblica borghese, ovvero come argomentazione razionale e pubblica che agisce nei luoghi pubblici della società civile – i caffè per esempio – e prende le forme delle opinioni dei quotidiani6.
La prospettiva che per prima ha intercettato l’esistenza di un processo cognitivo di tipo nuovo reso possibile dall’interazione fra società, opinioni diffuse e media è senza dubbio l’ipotesi della relazione fra percezione sociale e manifestazione delle idee elaborata da Elisabeth Noelle-Neumann. Secondo la studiosa tedesca, direttrice e fondatrice – è bene ricordarlo – del centro di ricerca di sondaggi d’opinione Allensbach Institut, le persone tendono a silenziare le proprie opinioni se hanno la percezione che esse non siano condivise dalla maggioranza, da cui il nome dell’ipotesi di lavoro: spirale del silenzio7. Di contro, le persone tendono ad esprimere apertamente le proprie idee se hanno la percezione che la società condivida il loro stesso punto di vista. In pratica il meccanismo dipende da due fattori: le opinioni che le persone posseggono e la percezione della società intorno a loro.
Fin qui l’ipotesi della Noelle-Neumann potrebbe sembrare una classica teoria sull’opinione pubblica basata sulla percezione sociale, posizione condivisa da altri approcci dello stesso periodo. Però c’è un elemento che la rende profondamente interessante e sostanzialmente innovativa: la competenza quasi-statistica. Uno degli elementi chiave dell’ipotesi della Noelle-Neumann è come facciano le persone a percepire il clima d’opinione dominante. Facciamo un esempio: io sono dell’opinione che sia giusto aiutare i barconi di profughi nel mediterraneo, evitando la morte di decine di persone solo per arricchire il mercato nero dei migranti. In una situazione di confronto pubblico sono tentato di esprimere apertamente questa mia posizione, ma un certo grado di conformismo sociale mi porta a chiedere la seguente cosa: come faccio a capire se la mia opinione è ampiamente condivisa – opinione dominante – oppure sia appannaggio di un piccolo gruppo di persone – opinione minoritaria – ? La risposta che dà la Noelle-Neumann è la competenza quasi-statistica. Le persone fin da piccole sono abituate a percepire il clima d’opinione dominante: persino i bambini che devono chiedere un permesso ai genitori, hanno perfetta consapevolezza di quale sia il genitore permissivo e quale quello intransigente. La competenza quasi-statistica è la capacità di percepire il clima d’opinione dominante, che può essere rappresentato come la media delle opinioni che le persone raccolgono dalla propria rete sociale, dai gruppi sociali di riferimento e dai mezzi di comunicazione di massa, in particolare dalla televisione. Contatti diretti, gruppi di riferimento e informazioni televisive vengono usati dalle persone come base per elaborare un’ipotesi rispetto al clima d’opinione. Ovviamente l’ipotesi sull’opinione dominante costruita attraverso questo processo può essere clamorosamente sbagliata, ma non è questo il punto. L’elemento interessante di questa competenza -che possiamo definire a pieno titolo cognitiva- è che non esiste se non nel contributo individuale (la persona che effettua la valutazione), collettivo (il gruppo sociale di riferimento) e tecnologico (la televisione).
L’intuizione di Elisabeth Noelle-Neumann non è stata approfondita dagli studiosi di opinione pubblica, se non nella forma di percezione sociale costruita a partire anche dal contributo dei mass media, stampa o televisione, ma l’idea che esista un’ulteriore forma di comportamento collettivo cognitivo che si trova all’intersezione fra individuo, gruppo e tecnologia era destinata a diffondersi sempre più. Rispetto a questa idea, è stata la costruzione delle relazioni digitali di internet a dare un contributo importante.
Solitamente si crede che le comunità digitali siano l’unica forma con cui si esprime la socialità online. In realtà con il termine community si indicano diverse tipologie di aggregati sociali come i social network, i forum, i wiki. E sono proprio quest’ultimi ad aver rappresentato un caso interessante di intelligenza collettiva.
Il termine intelligenza collettiva è stato divulgato dl filosofo-sociologo Pierre Levy che l’ha definita come un’intelligenza distribuita, valorizzata, coordinata che spinge ad una mobilitazione delle competenze, il cui fine è il riconoscimento e l’arricchimento reciproco delle persone8. Rispetto a questa definizione, c’è stata una presa di posizione da parte di Derrick de Kerckhove – sociologo ex direttore del McLuhan Project – il quale ritiene che il modo migliore per descrivere la forma di intelligenza rappresentata dalla cooperazione sociale espressa all’interno delle piattaforme digitali sia l’intelligenza connettiva, poiché a suo avviso è la messa in relazione che rappresenta la componente dinamica del processo collaborativo, che non si limita ad aggregare le singole intelligenze ma a moltiplicarle per la soluzione pratica di un problema9. Entrambe le definizioni pur diverse nell’impostazione ontologica – statica quella di Levy, dinamica quella di de Kerckhove – condividono un punto: l’intelligenza collettiva (o connettiva) è una proprietà emergente, collaborativa e complessa orientata alla risoluzione di un problema. Proprio per questo motivo è molto interessante scandagliare l’uso del concetto di intelligenza collettiva così come è stato utilizzato per descrivere processi collaborativi di tipo cooperativo che prendono forma grazie anche le proprietà delle piattaforme tecnologiche10. In questo senso può essere utile il contributo di Henry Jenkins e del suo concetto di cultura convergente11senza dimenticare alcune linee di indagine più vicine all’economia cognitiva12.
Henry Jenkins, studioso americano di tradizione Cultural Studies esperto nell’analisi delle culture fandom (legate alla televisione, ai fumetti, ai videogiochi), considera l’intelligenza collettiva alla base del suo concetto di cultura convergente13. La cultura convergente – secondo Jenkins – è un processo che coinvolge convergenza mediatica, cultura partecipativa e intelligenza collettiva. La convergenza mediatica è il flusso di contenuti che avviene all’interno delle diverse piattaforme mediali dal cinema, alla televisione, passando per internet e le forme del digitale che crea nuove esperienze di intrattenimento. La cultura partecipativa è rappresentata dal fatto che i fruitori dell’esperienza di intrattenimento sono chiamati ad essere parte attiva di questo processo e non più semplici fruitori passivi, fino a diventare parte integrante del processo di costruzione di senso dell’industria mediale globale. Infine l’intelligenza collettiva è un processo di consumo in cui «nessuno di noi sa tutto, ognuno di noi sa qualcosa; possiamo mettere insieme i pezzi se uniamo le nostre conoscenze e capacità»14.
Jenkins nell’usare il concetto di intelligenza collettiva si rifà palesemente a Pierre Levy, soprattutto nel modo di analizzare alcuni fenomeni di intelligenza collettiva della cultura pop. Emblematico in questo senso la spoiler culture di trasmissioni televisive come Survivor. Survivor è un reality televisivo basato su un meccanismo di gioco di sopravvivenza ambientato in luoghi esotici e selvaggi puntellato da una serie di prove da superare che un gruppo di concorrenti – detti naufraghi – devono compiere nel corso della trasmissione (In Italia un programma dal format simile è “L’isola dei famosi”). La caratteristica produttiva del programma è che quando viene mandato in onda esso è stato già completamente girato: pertanto la produzione conosce già il nome del vincitore, mentre il pubblico deve attendere lo svolgersi del gioco. Questa situazione ha portato alla nascita di una serie di community di appassionati (il fandom del programma) il cui unico obiettivo è quello di rivelare gli elementi del gioco – il luogo dello svolgimento, il nome dei concorrenti, la sequenza di eliminazione dei concorrenti – prima ancora che le puntate siano messe in onda, ovvero facendo spoiler. Quello che rende Survivorun caso emblematico di intelligenza collettiva è che gli appassionati della trasmissione si trovano a discutere delle singole puntate mettendo in condivisione le proprie competenze – strutturate oppure no – riuscendo in molti casi a elaborare anticipazioni corrette sullo svolgimento del programma. Per esempio nella più grossa comunità digitale di appassionati del programma che si chiama (in modo ironico) Survivors Sucks15, due dei membri più attivi, esperti nello spoiling della location sono Wezzie, una docente di botanica che usa le sue competenze per dedurre il luogo di svolgimento dello show a partire dalle piante inquadrate dalle telecamere, e Dan Bollinger, imprenditore che in qualità di fan ha accumulato una enorme esperienza nell’analisi delle fotografie satellitari per identificare gli elementi della produzione di Survivor, tanto da avere instaurato rapporti con delle società commerciali di immagini via satellite. La competenza della community di appassionati che si è andata a creare intorno al reality è tale che nel procedere delle stagioni il produttore esecutivo – Mark Burnett – ha inserito degli elementi con il solo scopo di attivare le discussioni nel fandom del programma. Fino ad arrivare al paradosso che nella sesta stagione del programma (Survivor: The Amazon) un utente dal nickname ChillOne ha rivelato la stragrande maggioranza dei dettagli della trasmissione – come ad esempio la presenza di una concorrente sordomuta – attraverso un lavoro di investigazione diretta in Brasile che prendeva le mosse da una vacanza fatta nelle zone che la coincidenza ha voluto essere i luoghi della produzione.
Come si può notare, in questo caso di cultura convergente, esiste una cultura televisiva che innesca una comunità di appassionati che condividono le proprie conoscenze e ne imparano di nuove al solo scopo di partecipare attivamente al processo di costruzione di senso della trasmissione televisiva che in parte è intrattenimento e in parte è soluzione di un rompicapo. Internet è sicuramente il luogo privilegiato in cui prendono forma queste particolari forme di comportamento cognitivo collaborativo e tecnologico, tanto che possiamo considerare l’intelligenza collettiva – assieme all’infrastruttura della partecipazione – i due elementi chiave del Web 2.0, ovvero del web partecipativo e collaborativo16. Se l’architettura della partecipazione è la dimensione infrastrutturale del Web 2.0 e consiste nella progettazione di piattaforme che abbiano come obiettivo principale il coinvolgere il maggior numero di persone possibili, l’intelligenza collettiva è la componente pienamente sociale, ovvero è il tipo di comportamento collettivo che emerge dall’aggregazione di diverse intelligenze che si pongono uno scopo comune e che gode di tre proprietà chiave: collaborazione, coordinamento, tecnologia. Collaborazione perché le persone devono decidere di essere membri della comunità e partecipare secondo le proprie intenzioni e possibilità. Coordinamento perché è necessario che i compiti siano distribuiti attraverso una forma organizzativa precisa in modo da orientare le interazioni sociali in una specifica direzione. E infine tecnologia, perché in questo modo è possibile una forma di collaborazione decentrata, delocalizzata e soprattutto scalare, ovvero dove è consentito il coinvolgimento di uno, nessuno o centomila persone.
Esistono diverse manifestazioni di processi di intelligenza collettiva in rete: quello più celebre – e senza dubbio compatibile con le forme dei social media – è Wikipedia. La più grande enciclopedia collaborativa del mondo è la rappresentazione più evidente di una forma di intelligenza collettiva in quanto è in grado di produrre contenuti informativi piuttosto attendibili (secondo la maggior parte delle ricerche). Questa sua qualiptà è frutto delle tre proprietà di cui abbiamo detto sopra: collaborazione, una partecipazione essenzialmente volontaria basata sull’imperativo etico espresso dall’acronimo NPOV (neutral point of view, punto di vista neutrale), coordinamento, fondato sul rapporto fra membri giovani della piattaforma e membri anziani e discussioni sull’affidabilità delle voci basata sulla discussione nelle zone di confronto della piattaforma, e infine tecnologia, ovvero un sistema tecnico che consenta lo svolgersi delle attività sociali necessarie al mantenimento del progetto che nel caso di Wikipedia è rappresentato dalla piattaforma wiki (bisogna ricordare che i wiki sono piattaforme per la produzione collaborativa di testo, ma questo non vuol dire che tutti i wiki siano enciclopedie ma semplicemente l’enciclopedia è una delle forme possibili con cui si sostanziano i wiki). Detto altrimenti, Wikipedia non è una enciclopedia, ma è una comunità di appassionati che esprime un comportamento collettivo intelligente che assume la forma di una enciclopedia.
Un’ulteriore forma di intelligenza collettiva – che ora possiamo definire come comportamento emergente di tipo cognitivo che risulta da una relazione collaborativa nelle piattaforme digitali – è quella alla quale possiamo assistere nei cosiddetti mercati predittivi, elementi tipici dell’economia cognitiva. L’economia cognitiva è quella branca dell’economia che studia l’impatto dei fenomeni cognitivi sui processi economici. Con una battuta potremmo dire che mentre l’economia classica ha fondato se stessa sulla formalizzazione matematica dei processi sociali economici, il XXI secolo ha assistito ad un ritorno delle passioni umane negli affari economici, passando dalla teoria dei sentimenti morali di Adam Smith alla psicologia cognitiva di Amos Tversky e Daniel Kahnemann17. I mercati predittivi sono dei particolari tipi di simulazioni di borse valori in cui si vengono ad acquistare dei titoli (fittizi) che esprimono il grado di probabilità con cui si possono verificare degli eventi futuri. Il gran numero di operatori coinvolti (trader) e il gran numero di transazioni operate, fanno sì che il comportamento aggregato dei mercati riesca a prevedere comportamenti futuri18. Il caso più tipico di mercato predittivo è lo IEM19. Per partecipare allo IEM basta andare sulla piattaforma digitale, registrarsi versando una quota in denaro ed usare i soldi per acquistare delle azioni, come un normale operatore di borsa, con la differenza che non si acquistano titoli di compagnie commerciali, ma si acquistano titoli su eventi futuri, per esempio la probabilità che alle prossime elezioni presidenziali americane vincerà il candidato X oppure il candidato Y. I trader possono comprare azioni seguendo il proprio “istinto”, ovvero se pensano che il candidato vincitore possa essere X acquistano i suoi titoli e venderanno i titoli di Y, provocando un innalzamento del prezzo delle azioni di X e un abbassamento del prezzo di Y (secondo il classico meccanismo della domanda e dell’offerta). I trader possono effettuare le operazioni fino a 24 ore prima del verificarsi dell’evento (il risultato delle elezioni), perciò – volendo – possono cambiare idea con i relativi effetti macroscopici.
In pratica lo IEM grazie a questo suo meccanismo di gioco – perché è un gioco a tutti gli effetti – è riuscito a prevedere sia la doppia elezione di Barack Obama che la recente vittoria di Donald Trump su Hilary Clinton. Come è possibile che ciò avvenga? Consideriamo i sondaggi di opinione: le persone rispondono ai sondaggi politici seguendo il proprio orientamento di voto senza considerare l’opinione pubblica dominante o il giudizio degli altri. Quindi la mia risposta ai sondaggi elettorali non è una previsione, è una mia opinione che assume la forma di un desiderata. Viceversa nei mercati predittivi io posso esprimere la mia opinione (acquistando un titolo del candidato X), ma posso rendermi conto che la mia previsione è sbagliata perché tutti comprano i titoli del candidato Y, allora io cambio la mia idea e così via fino al giorno prima delle elezioni. Quindi il fatto di aver investito dei soldi sul successo elettorale di un candidato, fa sì che io possa desiderare che vinca X, ma rendermi conto che forse vincerà Y perché tutti i partecipanti al trading sono orientati in questo senso. In pratica i mercati predittivi funzionano come meccanismo per esprimere valutazioni cercando di ridurre al minimo gli effetti del pregiudizio della conferma. Questo è un ottimo esempio di intelligenza collettiva, in quanto il comportamento emergente è di tipo intelligente (previsione di eventi futuri) basato su una collaborazione (la partecipazione delle persone alle dinamiche di mercato), dotata di coordinamento (il meccanismo sociale della compravendita che decide il prezzo delle azioni) resa possibile dalla tecnologia (che ha il compito di aggregare le singole decisioni espresse come comportamenti d’acquisto).
Concludendo cos’hanno in comune la competenza quasi-statistica, la spoiler culture, Wikipedia e i mercati predittivi? Sono forme di comportamento intelligente emergente (nel senso gestaltico del termine) che nascono dalla cooperazione di singoli individui coordinati da piattaforme tecnologiche che fungono da facilitatori di questi processi. Il dibattito sull’intelligenza in questi ultimi tempi è polarizzato sulla dicotomia naturale-artificiale, provocando delle prese di posizione – spesso rigide – ora a favore dell’una ora dell’altra posizione. In realtà esistono forme di intelligenza che per comodità possiamo chiamare ibrida in cui la componente umana e la componente tecnologica giocano un ruolo equilibrato nell’esprimere le potenzialità del comportamento collettivo collaborativo e partecipativo. La tecnologia, diceva lo storico Melvin Kranzberg, non è né buona, né cattiva, né neutrale: bisogna avere ben chiara questa ambiguità ricordando che una tecnologia permette di esprimere un potenziale positivo solo se è stata progettata in questo senso e solo se l’uso è legato ad un preciso sistema di valori incorporati nella piattaforma. Partecipazione, coinvolgimento e confronto non sono proprietà tecniche, sono caratteristiche sociali che possono entrare a far parte di un sistema tecnologico nonché di una comunità che si riconosce intorno ad esso. È il processo a fare la differenza: conoscere è un processo, coinvolgere è un processo, partecipare è un processo. Essere umani è un processo, essere umani e intelligenti è una opportunità.
Note
1 S.E. Asch, «Studies of independence and conformity: I. A minority of one against a unanimous majority», Psychological monographs: General and applied, 70 (9), 1, 1956.
2 E. Goffman, Frame analysis: An essay on the organization of experience, Harvard, Harvard University Press, 1974 (trad. it. Frame analysis. L’organizzazione dell’esperienza, Armando, Roma, 2001).
3 A.F. Osborn, Applied imagination: Principles and procedures of creative problem solving, New York: Charles Scribner’s Sons, 1967 (trad. it. L’immaginazione creativa, Franco Angeli, Milano, 1986).
4 C. Argyris, D. A. Schon, Organizational learning. A theory of action perspective, Reading, Addison-Wesley, 1978 (trad. it. L’apprendimento organizzativo, Teoria, metodo e pratiche, Milano, Guerini e associati, 1998).
5 P. Senge, The fifth discipline: The art and practice of the learning organization, New York, Doubleday, 1990 (trad. it. La quinta disciplina, Milano, Sperling&Kupfer, 2006).
6 J. Habermas, Strukturwandel der Öffentlichkeit. Untersuchungen zu einer Kategorie der bürgerlichen Gesellschaft, Neuwied, Luchterhand, 1962 (trad. it. Storia e critica dell’opinione pubblica, Roma-Bari, Laterza, 1971).
7 E. Noelle-Neumann, Öffentliche Meinung. Die Entdeckung der Schweigespirale (Erweiterte Ausgabe), Frankfurt, Ullstein, 1980, 1996 (trad. it. La spirale del silenzio, Roma, Meltemi, 2002).
8 P. Levy, L’intelligence collective. Pour une anthropologie du cyberspace, Paris, La Découverte,1994 (trad. it. L’intelligenza collettiva. Per una antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli, 1996).
9 D. de Kerckhove, L’architettura dell’intelligenza, Torino, Testo e immagine, 2001.
10 D. Bennato, Sociologia dei media digitali, Roma-Bari, Laterza, 2011.
11 H. Jenkins, Convergence culture. Where old and new media collide, New York, New York University Press, 2006 (trad. it. Cultura convergente. Quando , Milano, Apogeo, 2007).
12 D. Bennato, Il computer come macroscopio, Milano, Franco Angeli, 2015, pp. 76-83.
13 H. Jenkins, Convergence culture. Where old and new media collide, cit.
14 Ivi, p. XXVI
15 Survivor Sucks: https://www.tapatalk.com/groups/survivorsucks/
16 D. Bennato, Sociologia dei media digitali, cit., pp. 57-61.
17 D. Kahneman, A. Tversky, «Prospect theory: An analysis of decision under risk», Econometrica, 47(2), pp. 263-292, 1979
18 D. Bennato, Il computer come macroscopio, cit., pp. 79-83.
19 Iowa Electronic Markets: https://iemweb.biz.uiowa.edu/
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