Il romanzo della Cacciata. Su Aracoeli di Elsa Morante
Provassimo a scomporre l’incipit di Aracoeli, il suo congegno semplice di soggetto e predicato, «Mia madre | era | andalusa»[i], in effetti esso restituirebbe immediatamente l’argomento, il tempo e lo spazio dell’intero racconto. A proposito di cosa parla? Della madre. Cosa ne dice? Che erae che era straniera. L’argomento, dunque: il materno, ovvero l’origine, l’inizio. Il tempo: il passato, nell’imperfetto dell’universo ciclico e della narrazione mitica. Lo spazio: una periferia del mondo, quindi uno spazio disponibile al favoloso ma anche al sacro. Troveremmo però anche l’informazione suppletiva, nella determinazione di appartenenza che instaura la posizione primo-personale della narrazione, di un soggetto che ha o deve trovare un rapporto con il tema, il tempo e lo spazio mitico-favolosi che si accinge a raccontare. Che deve, lui, condurre un’inchiesta sulla madre, il passato, l’origine.
Le informazioni subito fornite nelle prime pagine del romanzo indicano un movimento (un viaggio) e un territorio (elevato: «paradiso serrano», «città serrana»[ii]). Il romanzo è il racconto del viaggio verso e nel territoriodel materno. Il viaggio (dove è la madre?) ha per fine un’inchiesta sull’enigma del materno (cos’è la madre?).
L’incipit del romanzo è una tradizionale scheda anagrafica del personaggio indicato nel titolo. Si noti l’anticlimax dell’onomastica: l’etnonimo; i cognomi uguali dei due rami familiari paterno e materno; per ultimo il nome del battesimo, con non minore connotazione esotica e allusività multidirezionale, anche per via della grafia inesatta[iii]. Subito dopo si indicano, questa volta del protagonista-narratore, i tratti somatici ereditari paterno e materno (rispettivamente, «los ojos azules / la cara morena», A, p. 1190), anch’essi riferibili ai paesi di provenienza, ai luoghi parentali. Il «suo territorionatale», si dice dell’Andalusia materna; del padre si tiene a precisare che è un «italiano del Piemonte». L’ascendenza del narratore viene campita in uno spazio-tempo mitico: «Del tempo che ero bello […]» (A, p. 1039). Ma è soprattutto il luogo materno ad avere espansione descrittiva. Di esso rimane poco. Canzoncine infantili, soprattutto: un vestigio canoro dell’éthnos («fra le poche testimonianze a me rimaste della sua cultura originaria», A, p. 1039) e quindi delluogodell’origine materna, e insieme una traccia del tempodell’infanzia del narratore («la mia piccola età felice»). Il luogo materno in quanto mitico è inaccessibile per via di una separazione spaziale la cui sutura si rivelerà illusoria; il tempo infantile è parimenti inaccessibile perché il tempo è irreversibile, e la nostalgia è come sappiamo il dolore dell’irreversibile[iv]. Il luogo originario quindi è una figura dell’immaginario del narratore, e nell’oggi del personaggio quarantatreenne l’oggetto del ricordo non è la realtà del luogo (non conosciuto) ma il simulacro del luogo sub speciesonora. Perciò il territoriomitico-originario si rifiuta alla mappa[v]: El Almendral è «una sorta di sassaia desertica, succhiata da un vento africano, dove spuntavano arbusti che davano solo spine, e la poca erba appena nata si moriva di sete»; oppure «un giardino – d’aranci – e gelsomini d’Arabia – e roseti – e ferie pasquali – gonne a volanti chitarre e nacchere» (A, p. 1040)? Fin dall’incipitil luogo è investito da una doppia visione: il deserto (realtà testimoniata) per l’abitante (Aracoeli), paradiso (immaginario stereotipico, coloniale) per la straniera (zia Monda). Per il bambino (e per il lettore), a ben guardare, l’una immagine di El Almendral non è meno favolosa dell’altra. Sul piano della visionesi muove l’immaginazione infantile del luogo preistorico-materno, prima ancora dell’esplorazione dell’adulto resa parimenti inattendibile dai sensi alterati dall’abuso alcolico. A questa costruzione tutta interna dello spazio si associa dunque un’analoga scissione del passato prima della nascita rispetto al passato vissuto, legittimo, quello dei Quartieri Alti. In ogni caso la madre viene subito situata in un tempo e in uno spazio antecedenti alla nascita: tutto quello che conta di Aracoeli è primae altrove.
In sintesi, la figura materna è subito inclusa/confusa con un territorio. Cercare la madre significa collocarla in uno spazio di appartenenza, circondarla di un mondo, dare un luogo al desiderio di lei. Per questo alla madre si fa un pellegrinaggio: perché lei non si esaurisce nella presenza (lo spazio di qui e ora), ma rimanda a un’alterità (lo spazio di là e allora). Alterità sacra, e spazio sacro quindi, perché fornito della particolare potenza di spiegare l’origine. In quanto sacro, lo spazio materno-originario è caratterizzato dall’impotenza del linguaggio (l’inutilità della «traduzione terrestre»). A esso si viaggia in quanto è il luogo di una via d’uscita, tuttavia nella speranza di un ritorno.
Il luogo sacro di questo pellegrinaggio è il villaggio della continuità matrilineare. Esso è sacro non in quanto ancora vi risiedano i membri o gli eredi della comunità materna, e la madre che pure originariamente vi risiedeva. Il territoriomaterno-originario è infatti abitato da figure favolose: creature naturali-animali (la capra, la capretta, il gatto) e naturali-umane (una vecchissima sibilla con frequentazioni ctonie). Su tutte Manuel-Manolo-Manuelito, lo zio: l’eroe del luogo? un analogo dell’antenato originario fondatore del lignaggio? Fatto sta che sembra figura di santo infantile-paesano (oltre che figura residuale del mito morantiano dell’adolescente), la cui nominazione si associa a «note festanti e sacrali, fra di girotondo e di alleluia», oppure a «un coro di laudi» (A, p. 1042). Il luogo tuttavia è sacro per la stessa ragione per cui Émile Durkheim diceva che un totem nasce legato a un luogo, nel quale si crede risiedano i resti degli antenati del gruppo totemico.
È chiara la connotazione paradisiaca della coppia El Almendral-Totetaco, il luogo materno e la dimora dell’infanzia. Ora, il paradiso è sempre associato alla tensione dell’uomo al ritorno. L’eden è sempre un luogo verso cui tornare, uno spazio di attrazione nostalgica[vi]. Il paradiso è il passato prima dell’uomo. Il viaggio di Manuele, dice lui stesso, si svolge nel tempo oltre che nello spazio. Il tempo cui tende, che gli sta davanti durante il cammino, è un passato salvifico.
Il tema del romanzo sembrerebbe essere la ricerca/creazione di un luogo felice. Ovvero il desiderio di un altro luogo, che è anche desiderio di un altro tempo. Forse potrebbe dirsi che il desiderio che muove Manuele è quello di vedere in un luogo il tempo felice. Le narrazioni del paradiso individuano una nostalgia paradossale, che commuta passato e futuro, anzi inventa un «passato sperato» e un «futuro ricordato»[vii]. In genere queste formazioni mitiche o utopiche sono inventate semplicemente rovesciando in positivo l’immagine del presente sentito come anomico. È questa l’operazione compiuta dalla nostalgia, che costruisce spesso il suo movimento a ritroso attraverso una connessione sincretica di spazi e tempi diversi e altrimenti frammentati, unificati fittiziamente attraverso una visione del tempo come decadenza e perdita di totalità. Risalendo il tempo, il moto nostalgico pretende di attingere l’origine, che quindi è cercata sia perché consente di sapere la propria provenienza, sia perché consente di fuggire dal presente. L’origine rappresenta la purezza, la pienezza, l’aconflittualità, la permanenza dell’identico, e in questo senso, che è quello che qui conta, l’origine e il compimento, la nascita e la resurrezione dei morti coincidono.
Nell’interpretazione del luogo è bene partire dal toponimo, che è poi in questo caso un toponimo reale: El Almendral, il mandorleto. Non ci sono, per quanto ne sappiamo, occorrenze del mandorleto come figura del paradiso, sebbeneil mandorlo abbia un posto rilevante nella Bibbia. Il mandorlo ha la stessa radice di ‘vegliare’, a causa della precoce fioritura, quindi rinvierebbe alla veglia di Dio sulle cose umane. Poiché il mandorlo è il primo a fiorire, esso è simbolo di nascita e resurrezione. Un mito vorrebbe addirittura che la mandorla sia la vulva di Cibele, la dea madre, e quindi sia connesso per questa via al simbolismo della fecondità e della maternità. Soprattutto la mandorla indica la verginità della madre di Dio. La mandorla inoltre, a causa del guscio, è simbolo di segreto, protezione, tesoro da scoprire: mangiare la mandorla significa scoprire un segreto e nutrirsene. Rinvia ai temi della luce e indica un luogo di immortalità. È un simbolo dell’armonia dell’esistente, del superamento del dualismo cielo/terra, quindi dell’unità. Nella mitologia greca è connessa al tema dell’ermafrodito. Nel mito metamorfico di Fillide, trasformata in mandorlo dopo la morte per l’estenuazione dell’attesa dell’amato, il tema è sempre la mancanza d’amore, l’interminabilità del lutto.
Quindi, in sintesi, queste sono le linee lungo le quali si sviluppa la capacità proiettiva del toponimo El Almendral, il suo alone semantico: il mandorlo/mandorleto rinvia alla protezione, alla fecondità, al parto virginale, al nutrimento, tutti attributi del materno; ma anche all’unità originaria; e infine all’assenza. Il nome instaura una catena associativa: mandorleto = luogo della maternità virginale = un mondo senza sesso = paradiso = coppia adamitica; di contro, comparsa del sesso nel paradiso = apocalisse. Infatti il viaggio di Manuele è il percorso di riconoscimento dell’irruzione del corpo nel paradiso[viii], ovvero l’incontro alterato con il mondo, con il reale vs l’immaginato, con l’esistente vs il possibile.
In ogni caso, la doppia visione di cui parlavamo sopra conferisce una specifica duplicità al nome del paese. L’unico nome di El Almendral nasconde due mondi possibili/immaginari, proprio come Balbec è doppia nella rêveriedel narratore della Rechercheper via delle due diverse descrizioni di Legrandin e di Swann, la brumosa e la persiana[ix]. Allo stesso modo El Almendral è un mandorleto risonante di nacchere e un deserto. Il nome ha il potere di creare un mondo (possibile) e talvolta più di un mondo. Se alla base di ogni desiderio c’è un’assenza, il nome è un tentativo di colmare questa assenza. Forse anche in questo caso potrebbe dirsi che il viaggio è «appropriazione – spesso illusoria – di un universo del desiderio, dischiuso dal potere allusivo dei nomi»[x].
Sia El Almendral quanto Andalusia sono nomi-calamita, sebbene vada valutato che El Almendral, secondo il resoconto della Morante[xi]e anche di Carlo Cecchi[xii], è effettivamente un luogo trovato e non un luogo scelto. Nel senso che fu suggerito, su richiesta di un luogo con certe caratteristiche, da un tassista che ne propose il sopralluogo durante uno dei due viaggi della Morante in Andalusia. La scrittrice aveva fino a quel punto solo scelto la regione di Almería. Se ne può facilmente dedurre, però, che tra le ragioni della scelta possa avere influito anche la suggestività del nome, oltre che quella del luogo effettuale (un villaggio abbandonato).
Il fallimento del viaggio e della memoria si verificheranno nel mancato riconoscimento, nel disinganno, del luogo immaginario (il giardino, il paradiso), poiché non vi si darà coincidenza nome/luogo. Il tema è proustiano: come nelle etimologie di Brichot, il nome non rende riconoscibile il proprio contenuto. La nostalgia è la ricerca di una casa ideale, ma essa cela sempre il pericolo di scambiare la casa ideale con la nostra casa immaginaria[xiii].
Nell’avantesto di Aracoeli, si trovano le NOTE IMPORTANTI per il corso del romanzo. Si tratta di un foglio[xiv]di cui, nonostante l’assidua frequentazione della critica, non tutto il contenuto parrebbe essere chiarito. L’ultima annotazione rimanda a un intertesto che è già di suo di proverbiale indecifrabilità: «Ricordare La tempestadi Giorgione. (Il soldato di guardia è il fratello Manolo, l’eroe)». Nelle interpretazioni proposte il riferimento al dipinto di Giorgione viene attribuito al tema materno espresso nella figura in primo piano che allatta un infante «senza guardarlo, come la femmina di una qualunque specie mammifera animale»[xv]: esso declinerebbe il motivo morantiano della «creatura», dell’umanità semplice. La critica insiste altresì sul valore simbolico delle rovine sullo sfondo, che portano sulla scena della maternità il senso della fine e del tempo. Carlo Cecchi riferisce di una visita alla Gallerie dell’Accademia, dove la Morante vide la Tempestainsieme alla Madonna con bambino tra San Giovanni Battista e una santa di Giovanni Bellini. A distanza di tempo la stessa scrittrice interpretò la visita al museo veneziano come una premonizione dei suoi due successivi romanzi sulla maternità[xvi]: Aracoeliappunto e La Storia.
Delle figure della Tempesta, la donna è sempre stata identificata con una «cingana». Facile inferire che la zigana sia Aracoeli e il lattante sia Manuele, il protagonista. Pertanto la coppia giorgionesca madre/figlio potrebbe essere citata nel romanzo attraverso una delle canzoncine materne dell’incipit, nella quale è la prolessi del destino nomadico di Manuele: «Esto niño chiquito / no tiene madre. / Lo parió una gitana/ lo echó nella calle» (A, p. 1047, corsivo nostro). Inoltre, la Morante interpreta la figura maschile sulla sinistra come un soldato e quindi può identificarlo con il personaggio-eroe locale del villaggio materno, ovvero Manuel, «caduto ucciso» (A, p. 1216) contro il fascismo. La scena così rappresentata sostituisce il padre con lo zio materno e condensa quindi l’immaginario della genealogia matrilineare di cui abbiamo detto sopra. Il luogo è minacciato (dalla tempesta imminente), ma il milite ne assicura la custodia.
Ora, da due punti del racconto, sappiamo che la tensione verso il luogo abitato dalle due figure dell’universo materno è anticipata dalla fuga del ragazzino dal convitto in cui è ricoverato durante la guerra, alla ricerca dei partigiani in montagna. Nell’episodio si racconta come il protagonista fuggito cercasse in realtà (per la prima volta) i fantasmi della coppia madre-zio: «Difatti, anche là, rincorrendo gli eroi della montagna, io corteggiavo, in realtà, Aracoeli-Manuel. Era il paradiso serrano della ninna e della gloria che mi adescava, raggiando di sopra a quei colli nebbiosi» (A, p. 1248). Il paradisodella ninnae della gloria, ovvero la scena giorgionesca abitata dalle due figure rispettivamente della madre e del milite. Qualche pagina prima questo luogo oltre-terreno del materno e della milizia emanava un doppio richiamo di morte e Manuel abitava «in una Sierra eccelsa, radiosa di un azzurro oceanico, dove lui correva in gara con altri suoi prodi» (A, p. 1216): un paradiso dei morti in battaglia.
Questo potrebbe bastare all’attribuzione di un senso all’intertesto dichiarato dall’annotazione autoriale. Ma è possibile formulare un’ipotesi più complessa. Si consideri che il personaggio di Manuel nel romanzo è una figura proiettiva dello stesso protagonista: «Compagni e uguali come nel nome, io Manuele il brutto e Manuel il bellissimo » (A, p. 1220). Ma si potrebbe ancora citare il sogno omoerotico nel quale in effetti i due personaggi si scambiano (A, pp. 1175-1176), o anche la certificazione della stessa Aracoeli (A, p. 1190). Il paradiso della ninna e della gloria presenta una coppia di omonimi che in verità sono lo stesso personaggio, sdoppiato nel lattante e nel soldato. Se è così, nel sottotesto, il luogo della tensione del viaggio è abitato da una coppia e non da una terna di personaggi. Il paradiso serrano è il paradiso adamitico?
La Morante potrebbe avere conosciuto la nota lettura della Tempestapubblicata nel 1978 da Salvatore Settis[xvii]. Cercando di individuare il soggetto iconografico della Tempestacon il metodo dei loci paralleli, Settis interpreta l’opera giorgionesca come una scena sincretica della Cacciata (il soldato sarebbe Adamo, la donna sarebbe Eva, il figlio sarebbe Caino) centrata sulla meditazione di Adamo sulla condizione umana dopo «la chiusura dell’eden»[xviii]. Settis fornisce una efficace sintesi della composizione, che diluisce i momenti della storia adamitica e nello stesso tempo li sincretizza in un unico istante[xix]. L’istante sarebbe quello immediatamente successivo alla nascita di Caino. Quindi, per la nostra interpretazione di Aracoeli, c’è anche il tema della nascita. Nel romanzo della Morante ritroviamo altri temi del quadro di Giorgione. Nell’ordine in cui li indica lo studio di Settis: la Colpa, la Vergogna, la Maledizione, il Lavoro, il Parto, la Morte, la Dannazione[xx]. Inoltre, per Settis: «L’Adamo della Tempestaè un po’ meno Adamo, perché indossa abiti contemporanei; o è Adamo quanto ognuno di noi lo è. L’attualizzazione del tema è, in pari tempo, uno dei modi di nascondere il soggetto»[xxi].
A rigore, comunque, non è necessaria l’ipotesi che Manuel e Manuele siano commutabili e che Adamo sia identificabile con il protagonista. Quello che conta per la nostra interpretazione è che El Almendral sia associabile all’eden del Genesi, con il doppio corollario che la coppia fusionale madre-figlio è figurata come la coppia adamitica e che il tema del romanzo è individuabile nell’allontanamento dall’eden di questa coppia. Aracoeliè il romanzo della Cacciata[xxii].
Il tema genesiaco è peraltro esplicito nel romanzo. L’eccitazione visiva del risveglio anticipato, per effetto della luce elettrica filtrata dalle persiane, produce i fosfeni che rinviano alla separazione della luce dalla tenebra («in quel punto – fra il terzo e il quarto giorno – che precede la creazione dei grandi astri»)[xxiii], si modellano come «palloncini da fiera colorati» (una Genesi parodica) e poi si compongono dapprima in un simulacro vegetale, dopo in «un campo solare di erbe e fiori e frutta giganti» (A, pp. 1176-1177). La fantasmagoria del locus amoenussorta nel dormiveglia spinge il personaggio a riconoscervi il simulacro di luoghi esperiti: «Nella mia fanciullezza si contano due giardini scandalosi – in diverso modo – e proibiti. E questo fu il primo. Era il giardinetto (poche decine di metri quadri) della mia prima casa. La villetta del quartiere Monte Sacro a Roma, dove – per la prima volta sulla terra – i miei occhi avevano veduto Aracoeli» (A, p. 1177). Da notare: Totetaco (deformazione infantile del toponimo del quartiere) non è, a questo stadio della narrazione, ancora stato nominato. Totetaco ed El Almendral sono ovviamente in stretto rapporto: se non di identificazione (come in A, p. 1192), sempre di stretto rimando. Totetaco, non El Almendral, è propriamente il soggiorno paradisiaco, da cui la Cacciata che è il tema del romanzo. L’altro giardino proibito (terza manifestazione in questo romanzo di quella che Northrop Frye chiama l’imagerydell’Oasi) è il giardino del postribolo, la Quinta, nel quale troverà albergo la madre malata, a questo punto ancora innominato, che in qualche modo sdoppia il giardino genesiaco (Totetaco = la Beatitudine; la Quinta = il Peccato).
È «scandaloso» anche Totetaco, perché eslege, fuori dalle convenzioni sociali, «clandestino», illegittimo: «la casa della mia nascita bastarda» (A, p. 1178), come poi chiarirà brutalmente il passo in cui Aracoeli dice di volere partorire la seconda figlia nella «nostra» casa. Totetaco (dimora materna) è prima della legge (patrilocale). Per questo, è sottoposto a un interdetto («tabù»), per cui non se ne può parlare e non lo si può ricordare nella nuova residenza legittimata dal matrimonio. Dal silenzio imposto al nome e al luogo viene, ancora una volta, una destituzione della certezza del passato (cfr. A, p. 1178). La destituzione di certezza è ancora più radicale se si considera che la visionedel paradiso sorge dai fosfeni. È insomma una scoria, o un’eccedenza, della vista alterata, invalida all’accertamento del reale.
Nell’«irrisorio» paradiso infantile ricostruito dalla «fantasia mitomane» del narratore, l’unità cosmica si manifesta nel segno della luce (A, p. 1183)[xxiv]e dell’excessusvisivo. La cosmogonia fantastica di Totetaco produce una natura alterata. Metamorfica: gli uccelli-foglie, i fiori vegetali-astrali o vegetali-animali, le variazioni della luce e dello spazio («il cielo si travoltava nella terra e nell’acqua», A, p. 1183, con l’intensificazione del prefisso verbale), la parentela universale delle cose. Smisurata: l’eccesso dei fiori (le margherite-girasoli), delle condizioni luminose e atmosferiche. Il carattere edenico del giardino è marcato dall’assenza di coltivazione umana. Sebbene il giardino umano partecipi ancora della natura edenica, esso è comunque sempre dentro la storia, dentro il tempo (dentro la morte); Totetaco invece ne è fuori. Come la coppia adamitica nell’eden, i suoi abitanti sono esentati dalla cura, sono prima della responsabilità e della vita morale[xxv]. Poiché non conoscono la procreazione, sono anche prima della morte e della nascita.
È stato rilevato che l’incipit è un settenario con un andamento ritmico analogo al settenario che apre la traduzione pavesiana di Moby Dick(G. Bernabò, La fiaba estrema. Elsa Morante tra vita e scrittura, Carocci, Roma 2012, p. 246).
[ii] E. Morante, Aracoeli, in Opere, a cura di C. Cecchi e C. Garboli, vol. II, Mondadori, Milano 1988, p. 1248. Da ora in poi i riferimenti all’opera verranno segnalato nel corpo del testo con la sigla A.
[iii] Poiché in spagnolo la grafia esatta è Araceli, non Aracoeli, siaC. D’Angeli, Leggere Elsa Morante, Carocci, Roma 2003, p. 84, che H. Serkowska, Uscire da una camera delle favole. I romanzi di Elsa Morante, Rabid, Krakóv 2002, p. 166n, notano che la Morante opera una forzatura volontaria per accostare il nome del personaggio alla chiesa romana dell’Ara Coeli, altare del cielo.
[iv] Cfr. V. Jankélévitch,«La nostalgia», inA. Prete, Nostalgia, Raffaello Cortina, Milano 1992.
[v] Cfr. F. Siddell, Death or Deception: Sense of Place in Buzzati and Morante, Troubador, Leicester 2006, p. 128, che poggia la sua argomentazione sulla coppia Giardino/Mappa derivata da J.E. Vernon, The Garden and the Map. A Phenomenology of Literary and Cultural Schizophrenia, University of California, Davis 1969.
[vi] L’interpretazione allegorico-neoplatonica del paradiso stabilisce che Dio crea un Adamo celeste, immortale, a sua immagine e somiglianza, abitatore dell’eden; e un Adamo terrestre, corruttibile, portato al peccato per via della colpa originaria (A. Scafi, Il paradiso in terra. Mappe del giardino dell’Eden, Bruno Mondadori, Milano 2007, p. 27, corsivo nostro).
[vii] A.J. Lehmann,«Paradiso»,in N. Pethes e J. Ruchatz, Dizionario della memoria e del ricordo, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 412.
[viii] È stato ben sostenuto da G. Stellardi, «La fabbrica del tempo: strutture della temporalità in Aracoeli»,in Contro la barbarie. Elsa Morante e la scrittura, número especial di«Cuadernos de Filología Italiana», 21, 2014, che il tragico del romanzo dipende dall’irruzione del corpo nel paradiso.
[ix] M. Proust, Alla ricerca del tempo perduto, I, trad. di G. Raboni, Mondadori, Milano 19853, pp. 464-465.
[x] A. Bonomi, Le immagini dei nomi, Garzanti, Milano 1987, p. 175n.
[xi] J.-N. Schifano, «La divina barbara», in Cahiers Elsa Morante, a cura di J.-N. Schifano e T. Notarbartolo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1993, p. 11.
[xii] Cfr.G. Bernabò, La fiaba estrema, cit., p. 245.
[xiii] S. Boym, The Future of Nostalgia, Basic Books, New York 2001, p. XVI.
[xiv] Cfr. il ms. Vitt. Em. 1621/B.3, 83r, conservato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, consultabile anche inLe stanze di Elsa, a cura di G. Zagra e S. Buttò, Colombo, Roma 2006, fig. 25.
[xv] F. Pilato, La voce delle ‘creature’ nella narrazione di Elsa Morante, «Strumenti critici», 1, 2013, p. 135.
[xvi] Per Garboli La Storiae Aracoeli, sono due Annunciazioni, ovvero semplicemente due romanzi sulla maternità (C. Garboli, Il gioco segreto, Adelphi, Milano 1995, p. 196, ma cfr. anche p. 166).
[xvii] S. Settis, La “Tempesta” interpretata. Giorgione, i committenti, il soggetto, Einaudi, Torino 1978, p. 17.
[xviii] Ivi, p. 103.
[xix] Ivi, pp. 105-106.
[xx] Ivi, p. 107.
[xxi] Ivi, p. 147 (corsivo nostro).
[xxii] Trattando deipersonaggi della Morante, in questi stessi termini si pronuncia brevemente F. Ramondino, «La più bella dichiarazione?», in Festa per Elsa, a cura di G. Fofi e A. Sofri, Sellerio, Palermo 2011, p. 54.
[xxiii] Infatti Northrop Frye nota che l’inizio nella Bibbia non si associa metaforicamente alla nascita ma al risveglio (N. Frye,Il grande codice. La Bibbia e la letteratura, Einaudi, Torino 1986, p. 149).
[xxiv] Vi insiste M.A. Bazzocchi, Personaggio e romanzo nel Novecento italiano, Bruno Mondadori, Milano 2009, p. 147.
[xxv] Cfr. R. Pogue Harrison, Giardini. Riflessioni sulla condizione umana, Fazi, Roma 2017, p. 24.
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