Estetica da camera. Note sulla decorazione d’interni
In un articolo in cui descriveva la maniera in cui aveva reinventato gli interni di un banale appartamento milanese a partire dal 1958, l’architetto, scenografo e interior decorator Renzo Mongiardino scriveva alcune parole illuminanti sul suo processo progettuale:i
La forma di una stanza fa talvolta pensare ad una scultura, rovesciata come un guanto. È una scultura che si guarda dall’interno ed è determinata dalle quattro pareti, pavimento e soffitto. Per questa ragione la fotografia rende sempre parzialmente l’effetto di una stanza non potendo rappresentare assieme le quattro pareti […]. La fisionomia di una stanza, lo stretto legame, nella cavità di un volume, fra architettura e decorazione, il sovrapporsi della seconda alla prima, il trasformarle in una cosa sola in cui non si possa distinguere dove una finisce e comincia l’altra lanciano una sfida alla quale non ci si può sottrarre. Ogni decisione determina, in un rapporto di consequenzialità, le scelte successive.1
La pratica decorativa di marca risolutamente anacronistica di Mongiardino, la cui opera recentemente si trova protagonista di un entusiasta revival2, non oscura il senso pieno e generale delle sue osservazioni sui modi del progettare e sulle scelte estetiche di cui questo è oggetto. La modulazione dello spazio, attraverso la creazione di forti simmetrie o al contrario l’oscuramento dei confini percettivi di un ambiente, l’intensificazione delle fonti di luce naturale o all’opposto l’offuscamento in funzione evocativa di esse, diventa un’operazione prima di tutto intellettuale che sfocia poi nella maniera in cui gli interni hanno un impatto e dialogano con la vita quotidiana che in essi si svolge.
L’ambito del design e decorazione d’interni è ancora relativamente poco studiato dal punto di vista accademico dell’estetica,3 e i motivi per cui la decorazione in particolare non è stata considerata degna di attenzione scientifica sono molteplici e, come d’altronde vale per altri campi che possono rientrare all’interno dell’indagine estetica, risultano legati a motivazioni di altra natura, come ad esempio ideologiche, sociologiche ed etiche, soprattutto nella tradizione continentale.4 Inoltre, la nozione stessa di decorazione, su cui pur sempre pesa la condanna – verrebbe da dire platonica – dell’ornamento da parte di Loos e dell’estetica architettonica di ispirazione modernista, tende per sua natura ad essere dismessa come secondaria se non di per sé moralmente errata.
La confusa distinzione fra architettura e design d’interni, su cui non esiste a livello globale una posizione comune, suscita molteplici discussioni anche dal punto di vista professionale, nonostante sia chiaro che normalmente si impongono per legge limiti a quello che un interior designer può fare in termini di interventi in un edificio rispetto ad un architetto o ad un ingegnere edile. Se l’estetica dell’architettura ha assunto una identità più chiara5 e certamente include anche una riflessione sugli interni, in generale tuttavia tende ad incentrare tale riflessione su determinati aspetti appunto architettonici, anche se può anche includere considerazioni su fattori quali l’uso del colore e dei diversi materiali che nella pratica professionale vanno ad essere anche oggetto dell’azione dell’interior designer. Il ruolo stesso dell’interior designer non ha una definizione fissa e può, a seconda dei diversi contesti nazionali, essere interscambiabile con quello di interior decorator. Una definizione accettata è che l’interior designer si dedica alla funzionalità di un interno in termini di circolazione e provvede anche ad alcuni aspetti costruttivi e di carpenteria, illuminazione etc., mentre il ruolo dell’interior decoratorè più cosmetico ed in genere è limitato alla scelta di colori, tessuti, carte da parati e mobili. Seguendo questa pur debole distinzione teorica, in alcuni paesi come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna le due professioni sono separate nei curricula delle scuole di design. Nella pratica professionale, tuttavia, tali ruoli sono spesso piuttosto fluidi e sia nel gergo comune che negli ambiti nazionali in cui non c’è uno specifico albo professionale i due termini di designer e decoratorpossono essere considerati sinonimi e qui verranno utilizzati come tali.
Si tratta pertanto di un ambito intrinsecamente ibrido e non fisso, e di conseguenza una riflessione estetica su di esso si trova a fare i conti con la mobilità dell’oggetto stesso. Occorrerebbe inoltre notare che la decorazione di interni di per sé è per certi versi analoga alla moda, non solo in quanto spesso ne segue determinate tendenze (e viceversa) ma ancor più per il suo stesso carattere transeunte, in quanto essa tende ad essere sostituita con una certa frequenza. Tuttavia, se consideriamo che esiste una specifica industria degli interni, che comprende progettisti, decoratori, produttori di mobilio, illuminazione, tessuti e colori, è più che legittimo interrogarsi su quali siano le caratteristiche specifiche che portano all’apprezzamento di un interno,6 e in generale la riflessione sul valore degli interni può certamente essere correlata al campo della cosiddetta everyday aesthetics. Un approccio interessante è quello di considerare il valore estetico e la funzione degli interni non come opposti ma come correlati nell’esperienza di apprezzamento estetico.7
Per facilità di esposizione ci si può concentrare su un aspetto definito della progettazione e decorazione d’interni, quello degli interni residenziali, poiché gli interni pubblici e commerciali presentano una varietà ulteriore di specifiche funzioni e relative soluzioni. Gli ambienti domestici inevitabilmente sono stati oggetto di studio da molteplici angolature, soprattutto dal punto di vista storico-archeologico e sociologico, e Mario Praz già nel 1945 aveva pubblicato il suo volume (ripreso nel 1964)8 sulla loro evoluzione e le corrispondenti motivazioni sociali, cui aveva dato significativamente il titolo di Filosofia dell’arredamento, mutuandolo dal Philosophy of Furnituredi E.A. Poe. Una categoria, poi, che è più trascurata e problematica rispetto ad altre che possono più rientrare sotto il dominio dell’architettura è quella di interni classici o tradizionali, del tipo appunto progettato da Mongiardino. Tale definizione, pur insoddisfacente, viene qui usata in mancanza di una migliore che possa rendere conto della varietà estrema delle espressioni stilistiche all’interno di una categoria.
Esitazioni etico-ideologiche
Uno dei motivi che ha portato a trascurare alcuni degli aspetti della progettazione e decorazione di interni nella riflessione accademica nasce da un dato di fatto non facilmente eludibile, la remora di stampo morale sulla dignità stessa di una tale indagine a motivo dell’inerente esclusività sociale della decorazione. Si tratta senz’altro di un interrogativo fondato9cui qui non si vuole trovare una risposta ma che si vuole tenere a mente come un dato di fatto. Infatti, molto più che nel caso della moda, nell’attitudine verso un determinato interno sembra che si susciti una particolare radicalizzazione di scelte ed interpretazioni, che tende ad identificare, per esempio, un interno di stile contemporaneo con valori progressisti e uno di stampo classico con valori conservatori e reazionari. Accade senz’altro frequentemente che questa immediata identificazione abbia una qualche corrispondenza con le scelte reali dei clienti e dei designer, ma si possono anche trovare moltissime eccezioni in cui, per esempio, un interno dai caratteri stilistici ispirati al classicismo appartiene ad una figura estremamente anticonvenzionale e dalle idee politiche democratiche. Per la definizione del tipo di interni classiciè meglio ignorare tale identificazione, ma è anche utile rifiutare l’assunto che questo genere di interni possa risultare riuscito solo se supportato da investimenti economici ingenti.
Se la moda, nonostante suoi eccessi e stravaganze, può essere oggetto di un’indagine estetica10 senza che le implicanze socio-ideologiche compromettano la validità di tale ricerca, lo stesso può applicarsi anche nel caso del design e decorazione d’interni. Come la moda può essere paragonata alla poesia e quindi essere esaminata da un punto di vista estetico, allo stesso modo la decorazione d’interni può essere comparata ad altre forme d’arte sinestetica ed essere analizzata in modo simile. Come in ogni altro aspetto dell’estetica del design, la complessa interazione di diversi aspetti delle reazioni umane e culturali comporta che la riflessione estetica deve prendere in considerazione i risultati delle neuroscienze, della psicologia, della psicologia del marketing e di numerose altre aree di ricerca, compito che spesso grava su chi cerca di affrontare un problema estetico.
L’altro elemento centrale per la necessità di stabilire la decorazione d’interni come oggetto di indagine estetica è la sua presenza, di fatto, nelle nostre vite come causa e ispirazione di un determinato piacere. Un’industria specializzata, che coinvolge una varietà di manifatture e artigiani e ha i designer come soggetto attivo, è guidata, al pari della moda, da una selezione di riviste influenti. Il design e la decorazione d’interni hanno a che fare con lo spazio interno, con la circolazione e le varie funzioni del vivere, ma li considerano, come si spiegava, da un punto di vista differente rispetto all’architettura,11 e ciò vale soprattutto in quegli interni che potremmo definire classici e che fanno ricorso ad una serie notevole di artifici decorativi cui un architetto raramente sarebbe interessato. L’uso tattile dei tessuti, per esempio, è interesse specifico dell’interior decorator, che normalmente conosce le diverse proprietà texturali di una stoffa e la sceglie per una serie di motivi appunto estetici nel senso originario del termine, cioè per l’effetto sui sensi, dal tatto alla vista. L’esperienza di un interno pertanto può essere intensamente estetica perché questo avvolge chi si trova in esso investendolo di sollecitazioni sensoriali, che normalmente si presentano come piacevoli. Molti degli interni più riusciti, inoltre, fanno ricorso ad un procedimento sinestetico e raggiungono il fruitore attraverso molteplici canali sensoriali, includendo, oltre la vista e il tatto, anche le qualità sonore o il profumo di un luogo. Anche un giardino assume queste qualità, e di fatto casa e giardino formano un binomio spesso usato dalle riviste specializzate, ma nel caso dell’interno il controllo dell’esperienza estetica da parte del progettista o decoratore può essere molto più stretto per il contesto necessariamente più artificiale di esso.12
Colore, forma, qualità tattili, vibrazioni del suono sono tutti elementi inerenti al design e alla decorazione d’interni, e ciascuno di essi può essere oggetto di una specifica analisi estetica. La decorazione d’interni, dunque, per sua natura è un soggetto complesso che pone domande molteplici sulla sua validità estetica e sui motivi per cui si potrebbe dire che un interno ha determinate qualità o meno. In questo senso, il design e la decorazione d’interni si possono senz’altro includere in una riflessione più generale sulla specificità dell’esperienza estetica13 relativa al design. D’altro canto, però, per gli interni come per altri campi, quali la musica, che più direttamente investono il campo emotivo, l’aspetto emozionale dell’esperienza sembra da considerare parte stessa del godimento estetico14 e non elemento estraneo. La maniera in cui, per fare un esempio molto elementare, un tessuto produce un effetto piacevole ha a che fare con le esperienze cognitive pregresse, così come con profonde reazioni culturali. Per tale motivo, ad una stessa temperatura mite, chi è cresciuto in climi freddi potrebbe avere una reazione di piacere al contatto con le qualità di un tessuto spesso, mentre chi è abituato a climi caldi potrà avere una sensazione di rifiuto per associazioni con abitudini assorbite da tempo, quasi come quelle relative al cibo. D’altro canto, la reazione individuale seguirà dinamiche diverse a seconda dell’identificazione o meno con un tipo di cultura dominante. In questo senso, la teoria dei neuroni-specchio e della risposta empatica da parte del cervello15, inevitabilmente, deve accogliere l’interazione di altri elementi socioculturali nella formazione di un’esperienza estetica. Un altro criterio di grande rilievo per le scienze cognitive, quello della familiarità,16 ha una funzione dominante tanto per gli interni quanto per la moda, e nella dialettica tra familiarità e ricerca del nuovo si può trovare la chiave per molti degli avvicendamenti storici del gusto.
Un calco della vita interiore?
La specificità della decorazione d’interni se intesa quale forma d’arte è che essa produce spazi in cui vivere, che sono costantemente usati, cambiati e alterati e spesso sono il risultato di un compromesso tra la visione creativa del designer e il gusto e le preferenze di un cliente. È vero che storicamente le decisioni dei committenti hanno avuto un impatto sulle opere d’arte create dalla maggior parte degli artisti, quindi in questo senso gli interni non sono necessariamente differenti da altre produzioni artistiche. Ciò che è distintivo, anche più che nella scenografia che è molto simile e in effetti è stata a volte praticata da interior designer, è il fatto che il professionista di talento crea un interno che esiste non solo nei suoi singoli elementi, i mobili o la tappezzeria o i colori o l’illuminazione, ma dipende anche dall’atmosfera. Tale atmosfera è prodotta dalla combinazione degli elementi del design e della decorazione con l’aggiunta di altri che sono meno evidenti, come gli odori, la sensazione di calore o frescura a seconda del clima, la convivialità o la seclusione dello spazio, e tutti coloro che sperimentano l’interno rispondono a questi fattori in un modo diverso, a seconda delle associazioni culturali ma anche delle reazioni subconsce.
Per inciso, l’alleanza di componenti così diverse non può essere catturata dalla fotografia (che è inevitabilmente uno dei mezzi principali per lo studio degli interni) ma può essere percepita solo nello spazio reale, come ammoniva Mongiardino nel testo che si riportava all’inizio. Ecco perché, quando alcune fotografie, come quelle di Horst P. Horst, catturano le variazioni della luce solare o il movimento delle tende nella brezza estiva, esse trasmettono per associazione qualcosa in più dello spirito e dell’atmosfera di un luogo rispetto alla sterile immobilità di una normale fotografia di una rivista specializzata. L’evanescenza del concetto di atmosfera conduce ad un’ultima riflessione: se si considerano da un lato le caratteristiche individuali e l’aura generale di un interno domestico riuscito, e dall’altro la necessità di sperimentarlo per comprenderlo, si potrebbe persino dire che ci sono somiglianze con la natura delle installazioni artistiche. La principale differenza è lo scopo di un interno, che viene necessariamente vissuto non attraverso un rituale codificato e spesso in modo non consapevole.
Mario Praz, nell’introduzione a La filosofia dell’arredamento, descrive l’esperienza traumatizzante della seconda guerra mondiale e le sue cicatrici sugli interni domestici, ricordando una visita a Viterbo:
A Porta Romana ti veniva brutalmente lacerato il magico scrigno della memoria e si insediavano in te la maceria, la rovina, l’orrore. Non si passava, o ci si faceva strada a stento su un incerto terreno alluvionale percorso dal binario impotente d’una piccola ferrovia Décauville. «Qui sotto ci sono ancora quattrocento morti», ti dicevano a Porta Fiorentina, e ovunque gettavi gli occhi, non eran che case sfondate, diroccate, orbite vuote di finestre e frammenti di mura, spaccati di case, col patetico spettacolo di qualche angolo ancora ammobiliato, sospeso tra la maceria, circoscritto dalla rovina: quadri alle pareti mozze, qualche cucina colle pentole ancora sui fornelli e proprio, in quello che dovette essere un salotto, un sofà. Come in un collagedi Max Ernst un letto in un’alcova è lambito dalle onde furiose d’un mare in tempesta; o un abisso vaneggia ai piedi del più convenzionale tinello borghese, così la realtà s’era incaricata di avverare la folle fantasia del surrealista.17
La straziante sovversione dell’intimità degli interni mette in evidenza, per contrasto, la loro naturale necessità. Praz teorizza di conseguenza la funzione della stanza ben arredata di un collezionista che, istintivamente, progetta un involucro per sé, nell’atto narcisistico di controllare lo spazio che lo circonda:
L’ambiente diviene un museo dell’anima, un archivio delle sue esperienze; essa vi rilegge la propria storia, è perennemente conscia di sé; l’ambiente è la sua cassa armonica dove, e soltanto, le sue corde rendono la loro autentica vibrazione. E come molti mobili sono calchi del corpo umano, forme vuote per accoglierlo: la sedia, la poltrona, il sofà sue basi, il letto un astuccio, la scrivania con l’incavo per contere le ginocchia un altro astuccio, lo specchio una maschera che attende il volto umano per animarsi […], così tutto l’ambiente finisce col diventare un calco dell’anima, l’involucro senza il quale l’anima si sentirebbe come una chiocciola priva della sua conchiglia.18
Questo bisogno intimamente personale, tuttavia, non si ritrova di necessità in ogni interno e, come riconosce lo stesso lo scrittore, ci sono molti che non sentono alcun bisogno di prendersi cura esteticamente di ciò che li circonda. Inoltre, può accadere che il cliente deleghi al professionista l’intera concezione di un ambiente, il quale può essere riuscito e apprezzabile anche se chi lo usa effettivamente è stato poco coinvolto nella progettazione di esso. Tuttavia la validità delle riflessioni di Praz risiede nel riconoscimento degli interni residenziali come una realtà degna di discussione estetica, una conchiglia creata come sfondo piacevole, funzionale e stimolante per le attività dei suoi abitanti, quasi Gesamtkunstwerkper la vita domestica.
1 R. Mongiardino, «Basta un frammento», in Architectural Digest. Edizione italiana, 155 (aprile 1994), pp. 167-169.
2 Oltre infatti alla ripubblicazione della monografia scritta da lui stesso (Architettura da camera, Officina Libraria, Milano 20162), due volumi sulla sua opera sono apparsi negli ultimi tempi: L. Verchère, Renzo Mongiardino: Renaissance Master of Style, Assouline, New York 2013; M. Mondadori Sartogo, The Interiors and Architecture of Renzo Mongiardino: A Painterly Vision, Rizzoli, New York 2017. Alcuni suoi disegni e bozzetti sono stati oggetto di una mostra nel 2016; cf. T. Tovaglieri (ed.), Omaggio a Renzo Mongiardino (1916-1998) architetto e scenografo. Catalogo della mostra (Milano, 28 settembre-11 dicembre 2016), I Lemuri, Milano 2016. Da segnalare anche che l’appartamento di cui parlava Mongiardino è stato recentemente ristrutturato per nuovi proprietari, preservandone integralmente l’apparato decorativo, dai suoi allievi dello Studio Peregalli e ripubblicato nel numero di aprile 2018 di Elle Decor USA.
3 Una riflessione introduttiva sui principî della filosofia degli interni e sulla necessità di stabilire un’etica dell’abitare in G. Randazzo, «Per una filosofia dell’interno architettonico», in Vita pensataII 13 (2011), pp. 5-10.
4 Interessante eccezione in ambito italiano è l’istituzione di un Dottorato internazionale in Filosofia dell’interno architettonico presso l’Università di Napoli Federico II.
5 Cf. per esempio R. Scruton, The Aesthetics of Architecture, Princeton University Press, Princeton 20132 e K. Smith, (ed.), Introducing Architectural Theory: Debating a Discipline, Routledge, New York 2012.
6 Sui molteplici modelli del godimento estetico, cf. H. Leder, B. Belke, A. Oeberst and D. Augustin, «A Model of Aesthetic Appreciation and Aesthetic Judgments», in British Journal of Psychology, 95,4 (2004), pp. 489–508. Si veda pure G. Iseminger, «Aesthetic Appreciation», in The Journal of Aesthetics and Art Criticism39, 4 (1981), pp. 389-397.
7 Cf. G. Parsons and A. Carlson, Functional Beauty, Oxford University Press, Oxford 2008.
8 M. Praz, La filosofia dell’arredamento. I mutamenti del gusto nella decorazione interna attraverso i secoli, Longanesi, Milano 1964.
9 Cf. R. Stecker, «The interaction of ethical and aesthetic value», in British Journal of Aesthetics, 45, 2 (2005), pp. 138-150.
10 Si veda R.G. Saisselin, «From Baudelaire to Christian Dior: The Poetics of Fashion», in The Journal of Aesthetics and Art Criticism18, 1 (1959), pp. 109-115, che inevitabilmente però risulta datato nella definizione di moda come poesia del femminile, in quanto tale definizione deve applicarsi ad entrambi i generi.
11 Cf. J. Young Cho and B. Schwarz, «Aesthetic Theory and Interior Design Pedagogy», in J.A. Asher Thompson and N. Blossom (edd.), The Handbook of Interior Design, Chichester 2015, pp. 478-496.
12 Sulla manipolazione dell’esperienza estetica negli spazi commerciali, cf. M. Sloane, «Tuning the Space: Investigating the Making of Atmospheres through Interior Design Practices», in Interiors. Design/ Architecture/ Culture5, 3 (2014), pp. 297-314.
13 Cf. N. Carroll, «Aesthetic Experience Revisited», in The British Journal of Aesthetics 42, 2 (2002), pp. 145–168.
14 Una diversa posizione in P. Hekkert, «Design aesthetics: principles of pleasure in design», in Psychology Science48, 2 (2006), pp. 157-172.
15 Si veda D. Freedberg and V. Gallese, «Motion, emotion and empathy in aesthetic experience trends», in Cognitive Sciences11, 5 (2007), pp. 197-203.
16 Cf. J.N. Howe, «Familiarity and no Pleasure. The Uncanny as an Aesthetic Emotion,» in Image & Narrative11, 3 (2010), pp. 42-63. Si veda pure D.A. Norman, Emotional Design: Why We Love (or Hate) Everyday Things, Perseus, New York 2004.
17 M. Praz, La filosofia dell’arredamento, cit., p. 15.
18 Ivi, pp. 22-3.
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