Notre Dame de Paris
Era il 2002 quando vidi per la prima volta Notre Dame de Paris. Il teatro era quello allestito nella Valle dei Templi, immerso in un paesaggio magico. Un musical: questo mi aspettavo. Null’altro. Magari piacevole e rilassante. E poi la visione, poi l’incanto, poi l’innamoramento e infine la decisione di seguirlo ancora e ancora e ancora. Corre il decimo anniversario di quest’opera e per la seconda volta la compagnia è approdata a Genova, in questa occasione nella magnifica cornice del Teatro Carlo Felice. Ed ero nuovamente tra il pubblico, calamitata dalle musiche, dalla coreografia, dalla scenografia, dalle spettacolari acrobazie e dalle parole. So ormai da tempo cosa mi attende quando vi assisto: un’archeologia delle emozioni radicate negli strati più fondi dell’animo umano. Dioniso e Apollo sono in questo spettacolo presenti insieme, a tiranneggiare lo spettatore senza dargli tregua, costringendolo a scavare fino al fondo in cui oltre non si può andare, nell’abisso della sua fragile umanità e nella gloria della sua ardente corporeità. Nello sfondo di una Parigi all’alba del Rinascimento si narra la storia della bella zingara Esmeralda, allevata alla morte della madre da Clopin, capo della Corte dei Miracoli -re degli zingari insomma- di cui fa parte la bella gitana, amata dal gobbo campanaro Quasimodo, fedele servitore di Frollo, l’arcidiacono di Notre-Dame, anch’egli in preda a un delirio d’amore per la donna. La zingara ama Febo, però, il capitano della guardia parigina, invaghitosi di lei e deciso a soddisfare la sua passione, ma già promesso sposo di Fiordaliso, ragazza agiata che accetta di perdonare il tradimento di Febo se questi non si opporrà all’impiccagione di Esmeralda. Morirà la zingara e insieme con lei si lascerà morire Quasimodo che cercherà fino all’ultimo di salvarla. Ma morirà anche Frollo, che incarna la lotta tra il vecchio e il nuovo. E il desiderio lo sbrana, avvinghiandolo nelle proprie spire, sincretizzandolo nella propria carne riunendo il diviso: sacro e profano. «La carne sa che il paradiso è lei. […] O Notre Dame, per una volta io vorrei per la sua porta come in chiesa entrare in lei» (da Bella).
Il poeta di strada Gringoire narra la storia e vi fa parte. Racconta di questo mondo monumentale che cede alle passioni monumentali.
È una storia che ha per luogo Parigi nell’anno del Signore. Millequattrocentottantadue. Storia d’amore e di passione. […] E questo è il tempo delle cattedrali. La pietra si fa: statua, musica e poesia. E tutto sale su verso le stelle, su mura e vetrate. La scrittura è architettura. Con tante pietre e tanti giorni, con le passioni secolari, l’uomo ha elevato le sue torri con le sue mani popolari. Con la musica e le parole, ha cantato cos’è l’amore e come vola un ideale nei cieli del domani. […] Qui crolla il tempo delle cattedrali. La pietra sarà dura come la realtà in mano a questi vandali e pagani che già sono qua. Questo è il giorno che verrà. Oggi è il giorno che verrà (da Il tempo delle cattedrali).
Non solo una storia d’amore, dunque, ma di passioni nude il cui seducente volto mortale non può che inorridire e stregare al contempo perché al contempo costruisce e distrugge. Passioni secolari che attraversano le costruzioni e sopravvivono alla prova del tempo abitando l’avvenire con la stessa potenza; che vergano le pagine glorificando la sacralità della follia originaria dell’uomo; che deflagrano nella musica traghettandoci in un paradiso in fiamme. È il desiderio che rende l’uomo creatore, che gli permette di superare la sua natura finita, incidendo nella pietra, liberando nella musica, raccontando nella poesia nient’altri che se stesso. E musica, scrittura e architettura sono i veri protagonisti di quest’opera. Sembra di sentire Socrate nell’Eupalinos di Valery: «L’atto fra tutti più completo è quello di costruire» (P. Valery, Eupalinos, Mondadori, Milano 1947, p. 160). E pensava alla musica e all’architettura, ma anche alla poesia, che muovono «gli uomini come li muove l’oggetto amato» (p. 84), poiché permettono all’uomo di superarsi continuando l’opera del demiurgo, riunendo ciò che è diviso, costruendo edifici che cantano: «“Eccomi”, dice il costruttore, “Io sono l’atto. E voi la materia, la forza, il desiderio; ma siete separati. Un ignoto lavorio vi ha isolati e apprestati secondo i propri mezzi. […] Ora è tempo del reciproco”» (P. Valery, cit., p. 163).
Nulla può l’uomo però contro l’ἀνάγκη -la Necessità- che muove e non è mossa, che è il burattinaio e non il burattino. Compare durante la rappresentazione come una grande scritta, metafora di un’incisione a fuoco sul capo di ogni individuo. E Gringoire la canta, avvertendo l’uomo che egli è un suo possesso -«Ha il tuo destino in mano. La trovi sulla tua via»-, ricordandogli che essa decide e spartisce identità e differenze -«Tu sei nessuno o sei un dio. Tu sei puttana o sei re», che la forma di chi siamo e la direzione del nostro vivere non l’ha determinata la nostra volontà ma la Necessità apparsa come pura fatalità -«La vita la devi a lei». L’essere umano scopre le sbarre della propria libertà quando l’ἀνάγκη si presenta sotto mentite spoglie: come Fatalità, come evento inaspettato e causato che avrebbe potuto non essere, mentre è invece nella sua casualità necessario. Qualunque azione è nient’altro che una conseguenza di quelle precedenti e così all’indietro sino all’alba del nostro vivere in una ragnatela di causalità casuali che gli uomini credono di poter controllare. Ognuno di noi è soltanto un nodo della rete, ma l’ἀνάγκη si diverte a darci l’illusione di essere il ragno.
Le musiche di Riccardo Cocciante, la traduzione italiana di Pasquale Panella, la regia di Gilles Maheu, le voci storiche e nuove, i ballerini e gli acrobati di sempre e quelli arrivati da poco rendono questo spettacolo semplicemente magnifico. L’unico appunto da fare alla serata genovese riguarda lo squilibrio tra base e cantato. Il volume troppo alto a tratti sembrava coprire le voci. Un vero peccato ma non tale da inficiare una serata magica.
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Notre Dame de Paris |
Musical |
Musiche di Riccardo Cocciante |
Regia di Gilles Maheu |
Libretto di Luc Plamondon |
Trad. it. Pasquale Panella |
Tratto da Notre-Dame de Paris di Victor Hugo |
Prima italiana nel 2002 |
Coreografia Martino Müller |
Scene di Pier Paolo Bisleri |
Con Federica Callori, Alessandra Ferrari, Lorenzo Campani, Angelo Del Vecchio, Marco Manca, Vincenzo Nizzardo, Emanuele Bernardeschi, Lorenzo Campani, Riccardo Maccaferri, Luca Marconi, Oscar Fini, Giacomo Salvietti, Federica Callori, Serena Rizzetto |
Teatro Carlo Felice di Genova |
Dal 5 al 9 luglio 2011 |
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