Fotografare il volo

Di: Tano Siracusa
12 Luglio 2011

 

 

Nel porto di Valparaiso, in Cile, un uomo immobile guarda verso il mare. Indossa un impermeabile, stringe in mano una borsa o forse una cartella, porta gli occhiali e sembra pendere leggermente in avanti. Nel controluce sembra il profilo di una statua. Magari dedicata al viaggiatore incongruo, quello che nel viaggio, nel suo sbaraglio, non smette né la pazienza né i vestiti della sua vita prudente e assennata. Che di notte nella cabina indossa il pigiama. Guarda verso il mare, dove è ormeggiata la nave, il destino che lo attende. Il sole è alle spalle dell’uomo, ma la luce che sbianca il cielo sulla sinistra si spegne dalla parte opposta, sopra i fabbricati del molo, fra le ombre che si ammassano sulle imbarcazione ormeggiate, che brilla sui tubi di una struttura in ferro in primo piano. Dentro il mirino del fotografo l’immagine è squilibrata. Troppa luce e troppo vuoto attorno alla figura del viaggiatore e troppo ingombro di elementi dalla parte opposta. Poi un uccello, un colombo, attraversa il cielo, e il suo volo modifica il sistema di relazioni fra tutti gli elementi dell’immagine dentro il mirino. L’uomo rimane immobile, come le linee orizzontali e verticali della ringhiera, delle strutture in ferro, e la diagonale dei fabbricati sul molo; l’unico elemento che si muove è il colombo, che dalla zona buia e costipata dello spazio vola verso la zona vuota, invasa dalla luce che disegna la sagoma scura del viaggiatore. Ma il suo movimento muove e sposta l’intera organizzazione dello spazio. Velocemente lo riequilibra. Il volo si abbassa e nello schiacciamento della prospettiva sembra sullo stesso piano dell’uomo in attesa, del suo volto, sembra puntarlo. Il clic del fotografo, il suo ‘quando’, decide del ‘dove’, di quella particolare distribuzione degli elementi nello spazio, della forma definitiva. E, certo, può anche decidere di sottrarre al naufragio nel nulla un frammento di realtà che apparirà saturo di ‘senso’ proprio per la sua elevata improbabilità, contenutistica e formale. Quel colombo che lo sta raggiungendo ha a che fare con l’immobilità dell’uomo, con il viaggio, con l’ignoto che lo attende, con il futuro che lo sta raggiungendo. Non è forse l’epifania, la rivelazione del senso, ma è questo prodigio che la decisione del fotografo persegue.

Il volo degli uccelli è un buon tema per ragionare di fotografia e, ad esempio, per saggiare uno dei versanti teorici e pratici legati all’avvento del digitale. Il volo degli uccelli non ha traiettorie predefinite: in cielo non ci sono strade né segnaletica e i percorsi degli uccelli in volo sono spesso imprevedibili. O molto difficilmente prevedibili. Dove sarebbe andato a finire il volo di quel colombo non era facile immaginarlo. E dove sia finito non lo sapremo mai. Ma la pre-visione, quel leggero scarto temporale che permette al fotografo di anticipare l’evento, è spesso decisivo in quella fotografia che, un po’ sbrigativamente, si può ricondurre alla poetica bressoniana e ai suoi presupposti teorici: la gerarchizzazione degli istanti nel flusso delle immagini, il rifiuto della loro equivalenza, la conseguente ricerca dell’’attimo privilegiato’. Un attimo, un atomo di tempo, che si degrada però subito nella permanenza dell’estensione, in una superficie bidimensionale che simula la spazialità tridimidensionale e dove gli elementi iconici appaiono sorprendentemente ordinati.

L’immagine bressoniana funziona perché presenta un elevato coefficiente di improbabilità, sia contenutistica -l’omino sospeso in aria sopra una pozza d’acqua- che formale -l’ordine è statisticamente improbabile e quella immagine è una fitta tessitura di corrispondenze e simmetrie. Funziona perché sorprende, e sorprende perché sembra ‘in posa’, quasi copia di quelle copie esteticamente attive che sono le immagini degli artisti.

Lo scatto bressoniano interviene sul flusso temporale proprio nell’istante in cui ogni elemento della scena ‘è andato al suo posto’. Un istante dopo la ‘forma’ sarà svanita e un istante prima non si era ancora mostrata. Proprio come le figure antropomorfe che formano e dissolvono le nuvole nelle giornate di vento.

Ma il fotografo bressoniano vede perché pre-vede, perché ha anticipato l’’ attimo decisivo’, quello in cui l’ordine si mostra, la bellezza accade, il caos si fa cosmo.

L’imprevedibilità del volo degli uccelli complica la ‘messa in ordine’, la sua pre-visione. O almeno la complicava quando si avevano a disposizione più o meno 36 scatti, quando si fotografava cioè con la pellicola.

La tensione anticipatrice aveva allora tempi lunghi, l’’attimo privilegiato’ era il premio dell’attesa, di una scommessa e di un azzardo giocati nella previsione del ‘non ancora’. Le camere digitali permettono adesso invece di infittire gli scatti fino ad approssimare la continuità del flusso temporale, fino a sfumare il confine fra la discontinuità dello scatto fotografico e la continuità della ripresa filmica, che instaura l’equivalenza degli istanti, dei fotogrammi.

Una fotografia è sempre frutto di un prelievo: di un frammento ‘ordinato’ dal disordine della nostra esperienza visiva. Con le camere analogiche il prelievo avveniva dal tessuto vivo del flusso temporale, sospeso fra il ‘non più’ e il ‘non ancora’. Il presente, l’attimo fotografato, irrompeva sul nulla del passato e del futuro: ‘una corrida contro il tempo’ l’ha definita una volta Ferdinando Scianna.

Con le camere digitali il prelievo può avvenire dopo la ripresa, cioè non sul tempo reale, ma su quel tempo trascorso e tutto presente, reversibile, che è poi il tempo reso disponibile da Internet e da dove si è congedato proprio quel ‘non’, quel nulla che ci separa dal presente e che separa anche il tempo reale dalla sua simulazione tecnologica.

Le immagini fotografiche stampate dal negativo tornavano dal passato, dal suo nulla, erano come riflessi persistenti su uno specchio che non li rifletteva più. Le immagini digitali sono -possono diventare- la permanente duplicazione del presente, il continuo e permanente riflesso speculare del tempo reale che, invece, non permane.

Ci si può chiedere: per chi guarda l’immagine fotografica, quel volo di uccello che concorre alla strutturazione geometrica dello spazio, che differenza fa sapere da dove viene, se dal passato reale -e perciò scomparso- o da un suo doppio tecnologico -e dunque sempre presente?

Infatti: due anni fa al World Press è stata premiata una fotografia ‘estratta’ da un video. Non risulta che molti si siano allora rammaricati per la scomparsa della fotografia. Tutto sommato testimone scomoda di quel nulla di passato e di futuro su cui siamo sospesi, e della fugacità del presente, così preziosa quando la sua improbabilità attesta che è ancora possibile sorprendersi. In fondo il volo degli uccelli sfida il fotografo a provare che la libertà esiste, che è possibile saltare fuori dagli automatismi, che qualcosa, come il sospetto di un ‘senso’, può ancora visitarci.

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