La donna che canta
Può il paradigma greco giungere pressoché intatto sin nel cuore della contemporaneità? Può la forza del mito/tragedia evocare gli eventi del presente sino a stendere su di essi il disvelamento più crudo e nello stesso tempo più poetico? Può Sofocle farsi ironia nella Morte della pizia di Dürrenmatt o violenza in un film come Incendies (Incendi), rimanendo in entrambi i casi esatto come un teorema matematico?
Cristiana libanese, la giovanissima Nawal Marwan disonora il suo clan avendo un figlio da un rifugiato palestinese musulmano. Bambino che è costretta a lasciare in orfanotrofio. Quando esplode la guerra civile, Nawal vi partecipa e viene tenuta per quindici anni in una prigione, subendo torture e violenze d’ogni tipo. Finito il conflitto, si trasferisce in Canada insieme ai figli. Nel suo testamento Nawal ha lasciato due lettere, una per il primo figlio abbandonato e l’altra per il padre dei due gemelli, a loro ignoto. La richiesta rivolta a Jeanne e a Simon è di cercare in Libano il fratello e il padre. Soltanto allora i figli potranno incidere il suo nome sulla tomba.
Il film alterna dunque due luoghi e due tempi, in un incastro che nel procedere si fa sempre più geometrico, inesorabile, necessario al pari dello scorrere di una sfera su un piano inclinato. Geometrico è il movimento della cinepresa che, in una delle scene iniziali, si avvicina sempre più al primissimo piano dello sguardo fiero, duro e struggente di un bambino in un orfanotrofio. Sguardo di cui soltanto alla fine comprenderemo il significato. Geometrica è la violenza che devasta il Libano e per la quale, dicono i suoi protagonisti, «ogni azione ha una reazione, ogni atto ha la sua rappresaglia» in un ciclo che sembra non finire e giungere al fondo delle pulsioni più distruttive dei singoli e delle collettività. Geometrica è la domanda che Simon rivolge alla gemella Jeanne, matematica di professione: «1 + 1 può fare 1?», formula che spiega l’accaduto. Geometrica è la sapienza delle immagini, capaci di alternare la fluidità dei corpi in una tranquilla piscina canadese e la loro solidità pronta a esplodere, morire, bruciare negli incendi della guerra libanese. Ovunque avvampano l’enigma, la nostalgia, il bisogno di verità, il suo terrore. La professione di Jeanne è la matematica pura, definita dal suo professore «un territorio di totale solitudine», la stessa solitudine delle aride colline libanesi, ammantate di ulivi che non offrono rifugio dal calore e dalle armi. In alcuni momenti una musica eccentrica sembra dare silenzio alle immagini, in altri momenti il canglore delle armi mostra istintivo gli umani per quello che sono.
Tratto da un testo teatrale dello scrittore libano-canadese Wajdi Mouawad, Incendies racconta la biografia di una donna eccezionale per determinazione e sensibilità, per la lucidità folle con la quale sa trasformare la sottomissione agli eventi più grandi di lei nel dominio sul destino e sugli altri umani. Una grande raffinatezza formale si intreccia a una vicenda estrema dispiegando il fascino che il cinema è quando perviene ai confini delle passioni e della loro rappresentazione. Un grande film, nel quale «i Greci risplendono più che mai» (Nietzsche, Frammenti postumi 1884, 26[43]) proprio perché con essi sembra non avere nulla a che fare.
Denis Villeneuve |
La donna che canta |
(Incendies) |
Canada, 2010 |
Con: Lubna Azabal (Nawal Marwan), Mélissa Désormeaux-Poulin (Jeanne Marwan), Maxim Gaudette (Simon Marwan), Remy Girard (Jean Nebel) |
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