Donne senza uomini
Shirin Neshat è una fotografa e filmaker di origini persiane, il cui impegno professionale è essenzialmente rivolto a mostrare l’altro lato della verità, quello meno noto o soltanto intuito, attraverso la potenza delle immagini. La video-mostra Women without men è tratta dall’omonimo film del 2009. Le cinque installazioni esposte a Palazzo Reale riprendono, però, liberamente dal lungometraggio o forse conservano la struttura originaria, in cui le storie erano cinque e non quattro. La Neshat, infatti, aveva lavorato sull’opera a cominciare dal 2004, ispirandosi al romanzo della scrittrice Shahmush Parsipur in cui si racconta della resistenza opposta da una parte del popolo persiano al colpo di stato del 1953 con il quale lo Shah Reza Pahlavi prese il potere, aiutato da americani e inglesi.
I cambiamenti e le aggiunte rispetto al film, nonché la disposizione spaziale delle video-istallazioni e la loro continuità temporalmente circolare, coinvolgono direttamente lo spettatore. Lo spronano a sentire l’esperienza emotiva dei personaggi e a divenire egli stesso il crocevia spazio-temporale delle loro vite, mentre cambia di posto per seguire e per aprirsi ogni volta non soltanto alle loro vicende ma alla loro Weltanschauung. E così come nel film le cinque donne con le loro vite alle spalle convergono in una villa isolata e immersa in un giardino dove il confronto è fatto di silenzi e ombre, durante la rappresentazione lo spettatore diviene quel luogo immaginifico: le incontra, le ascolta, le sente, le comprende.
Mahdokht, Zarin, Munis, Faezeh, Farokh Legha sono diverse le une dalle altre. Il desiderio di maternità della prima in contrasto con la sua ossessione per la verginità la spinge a divenire albero, madre feconda, forza della terra. Zarin è una prostituta anoressica, invece, che fugge terrorizzata dal postribolo perché d’un tratto gli uomini le appaiono senza volto. Munis si uccide per liberarsi dal fratello e dalla paura. Soltanto da morta trova il coraggio di unirsi alla lotta degli attivisti contro il colpo di stato e comincia a parlare, a capire, a rialzarsi, in una libertà che nessuno potrà più infrangere. Faezeh vuole soltanto sposarsi, ma uno stupro distrugge il suo sogno e la ricopre di vergogna. Fugge e va nella casa di Farokh Legha, una signora dell’alta società, già sposata, che decide di aprire la propria villa alle donne come rifugio. Il giardiniere che trova assieme a lei Mahdokht nello stagno e prendendola tra le braccia la trasporta dentro casa è l’unico elemento maschile accolto nel tessuto di questa narrazione come un segno di gentilezza e di scambio invece che di indifferenza o prevaricazione.
Una storia che attraverso le vite, i sogni, le tragedie di cinque donne segna una radicale differenza tra i sessi, la quale arriva al culmine nell’episodio di Zarin, prostituta e anoressica che comincia a vedere gli uomini senza volto, mostruosi, e cerca di fuggire da essi, di purificarsi dalla loro contaminazione.
Faezeh si confronta con se stessa nel giardino, si sdoppia, tentando la fuga impossibile da sé. Folle nell’animo e nella protesta del corpo, assiste in un flashback alla propria violenza carnale. I demoni della colpa, del disonore, della tristezza saranno però domati dall’amicizia delle altre donne in quel giardino lussureggiante e incantato dentro cui si svolge e si chiude anche l’ultimo episodio, nel quale Farohk Legha si oppone vanamente al sopruso politico, all’invasione della propria villa da parte dei militari. Ma la voce di un cantante riuscirà a conservare ancora una scintilla di bellezza.
L’intera opera vive sotto il segno formale di un’interiorità fatta di incanto e di terrori, trasportata nel mondo reale, in un giardino-foresta che sono i pensieri stessi e i corpi delle donne. Una magia che tocca il suo vertice nel suicidio di Munis, in quel cadere lento, a occhi aperti, con il corpo che davvero vola toccando terra soltanto col velo.
Shirin Neshat |
Women without Men. Donne senza uomini |
Milano – Sala delle cariatidi di Palazzo Reale |
Sino all’8 marzo 2011 |
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