Che fine ha fatto il futuro?
Amo conversare con persone anziane, che erano giovani appena finita la seconda guerra mondiale. Evocando i ricordi è fatale scivolare nella nostalgia, ma non è nostalgia di beni concreti (in realtà per molti italiani erano anni di miseria), ma è nostalgia del futuro, nostalgia delle speranze che fiorivano fra le macerie della tempesta appena trascorsa. Ogni giorno del presente era denso di futuro, ogni gesto era intriso della tensione verso un sicuro progresso. Oggi molti giovani (e non più giovani) vivono un presente immobile, c’è un provvisorio benessere, ma il futuro non è l’orizzonte della speranza, porta invece il cupo rimbombo della minaccia, dell’incertezza. Su questo tema del futuro afasico, bloccato, consiglierei il bel saggio di Marc Augé Che fine ha fatto il futuro? Dai non luoghi al non tempo.
In questo pianeta tutto interconnesso, in questo flusso globale di informazioni, in questo mercato unico, si affaccia la gelida prospettiva d’essere davvero, stavolta, alla fine della storia. Sembra che questo stato di cose, questo sistema globale non possa essere che l’ultimo, il compimento invalicabile dell’umana vicenda. Un quadro rassicurante? Per nulla, e molte sono le crepe dell’apparente compiutezza.
Innanzitutto c’è il problema che non tutti sono inclusi, ci sono tanti esclusi, ci sono quelli che non sono riusciti a entrare nel circuito. In una grande metropoli, accanto ai grattacieli, agli uffici telematici, ai luoghi dove si decide tutto, si estendono, vicini nello spazio, lontani nella gerarchia sociale, i quartieri degli esclusi. Ci sono sempre state la grandi diseguaglianze, ma le speranze, le utopie, tendevano al riscatto dell’umanità nella sua interezza, e quindi tutti potevano agganciarsi, almeno nella speranza, al treno del futuro. Da uno o due decenni il presente è diventato egemonico. Agli occhi dei comuni mortali esso non è più il frutto della lenta maturazione del passato, non lascia più trasparire i lineamenti di possibili futuri, ma si impone come un fatto compiuto, schiacciante, il cui improvviso sorgere fa sparire il passato e satura l’immaginazione del futuro. (p. 27)
Augé tenta anche di fornire una soluzione, un’idea per sboccare la situazione, per restituire una chance al futuro. La chiave, la soluzione è investire sul sapere, su un nuovo umanesimo. La diffusione della conoscenza a tutti è la nuova utopia, la nuova frontiera, la battaglia decisiva.
Il rischio da scongiurare è un mondo diviso in tre fasce sociali: un’élite che governa tutto, che possiede la tecnologia e i finanziamenti che essa richiede, poi una fascia intermedia di persone senza potere ma immersi in un bazar di consumo, in una vita di spreco e assenza di senso, e poi la moltitudine degli esclusi, fuori dal sapere e perfino dal consumo. Questo cupo orizzonte, nel quale a mio avviso siamo già nell’oggi, sarà evitato appunto con una grande battaglia per la conoscenza diffusa e la diffusa proprietà degli strumenti di conoscenza.
Se non si compiono cambiamenti rivoluzionari nel campo dell’istruzione, c’è il rischio che l’umanità di domani si divida tra un’aristocrazia del sapere e dell’intelligenza e una massa ogni giorno meno informata del valore della conoscenza. Questa disparità produrrà su scala più grande la diseguaglianza delle condizioni economiche. L’istruzione è la prima priorità. (p. 99)
Augé non vuole essere pessimista, ritiene che la partita non sia chiusa, ma vada giocata con decisione da tutti coloro che possono farlo.
Marc Augé |
Che fine ha fatto il futuro?
Dai nonluoghi al nontempo |
Trad. di Guido Lagomarsino |
Ou est passé l’avenir? (2008) |
Elèuthera, Milano 2009 |
Pagine 112 |
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