Antonia Pozzi

Di: Simone de Andreis Gerini
3 Dicembre 2010

È passato quasi un anno da quando ho “conosciuto” Antonia Pozzi e ascoltato questi suoi versi:

Ti do me stessa,/ le mie notti insonni,/ i lunghi sorsi/ di cielo e stelle – bevuti/ sulle montagne,/ la brezza dei mari percorsi/ verso albe remote./ Ti do me stessa,/ il sole vergine dei miei mattini/ su favolose rive/ tra superstiti colonne/ e ulivi e spighe/ […]/ E tu accogli la mia meraviglia/ di creatura,/ il mio tremito di stelo/ […]/ piegato al vento/ limpido – della bellezza/

La poetessa nasce a Milano il 13 febbraio 1912 in una famiglia dell’alta borghesia meneghina e cresce in un ambiente colto, raffinato e ricco di stimoli culturali. Nel 1927 Eros fa visita ad Antonia assumendo le sembianze del suo professore di latino e greco Antonio Maria Cervi più grande di tredici anni; inizia così una passione che avrà un’influenza notevole sull’esistenza e sull’arte della giovane. È uno scandalo, la famiglia è contraria e ostacola i due amanti.

Nel 1930 Antonia si iscrive all’università Statale di Milano, Facoltà di lettere e filosofia. Nell’Accademia la giovane conosce e diventa amica di alcuni nomi della futura intellighenzia quali Vittorio Sereni, Remo Cantoni, Dino Formaggio e si laurea con Antonio Banfi, suo professore di Estetica, discutendo una tesi sulla formazione letteraria di Flaubert. Ma Eros tiene ancora legati a sé Antonia e Antonio; la poetessa viaggia e visita l’Inghilterra e l’Austria, si imbarca alla volta della Sicilia, dell’Africa mediterranea e della Grecia ritrovando così le terre di elezione del suo Amore.

Scrive liriche sublimi, si dedica alla fotografia e all’insegnamento fino al tragico epilogo. Il tre dicembre 1938 Antonia Pozzi, braccata dal dolore e dalla mancanza di senso, sceglie, in un atto estremo di libertà, di abbracciare la via della morte togliendosi la vita.

E proprio questo sentimento nichilistico emerge nella lirica Grido

Non avere un Dio/ non avere una tomba/ non avere nulla di fermo/ ma solo cose vive che sfuggono -/essere senza ieri/ essere senza domani/ ed accecarsi nel nulla –/ – aiuto –/ per la miseria/che non ha fine –/ (10 febbraio 1932)

Poetessa misconosciuta ma grandissima, già Eugenio Montale ne aveva pubblicato la raccolta Parole nella collana mondadoriana Lo Specchio. È davvero opera difficile scegliere tra le innumerevoli poesie di Antonia, componimenti nei quali alla poetessa si fa dinnanzi l’esistere, la sua forza, il suo tormento e il suo mistero, nei più svariati luoghi e momenti della giornata. Tra le sue amate montagne, là dove l’aria si fa più rarefatta, i sensi si acuiscono e ad Antonia sono date visioni, immagini e sensazioni che a noi sono concesse solo attraverso le sue parole.

Abbandonati in braccio al buio/ monti/ m’insegnate l’attesa:/ all’alba –chiese/ diverranno i miei boschi./Arderò – cero sui fiori d’autunno/ tramortita nel sole./ (senza titolo e non datata)

Credo che molto di Antonia Pozzi si possa intendere sotto il concetto di Pedagogia della morte; infatti negli scritti della poetessa vi sono non solo echi della morte, ma anche una sorta di formazione alla morte. Non parlo di filosofia della morte dunque, ma di pedagogia della morte poiché in alcuni suoi versi c’è un’attenzione direi formativa e educativa al mistero forse più grande che l’Uomo ha di fronte a sé e dentro di sé.

La lettura dell’opera di Antonia Pozzi alla luce di una possibile pedagogia della morte, mi è stata suggerita dal testo di Friedrich Schelling Clara ovvero sulla connessione della natura con il mondo degli spiriti e in particolare da uno studio realizzato da Sara Nosari. In esso l’autrice rilegge le splendide pagine poeticamente filosofiche del pensatore tedesco e ne pone in evidenza le valenze formative, proprie di un’iniziazione alla vita. Hubert Beckers le paragona a una sorta di Magico Canto, in grado di placare ed esorcizzare socraticamente la paura di fronte alla nera signora. Paura che certamente anche la Pozzi aveva e che mitigava con le sue liriche proprio al pari di una incantata sinfonia.

La decisione di Antonia di porre fine alla sua esistenza ha dunque un alto senso formativo: non ne conosciamo i motivi, forse la poetessa amava al punto la vita da non sentirsi di vivere in un mondo che si avviava verso la catastrofe. Ricordiamo che muore nel 1938.

E poi – se accadrà ch’io me ne vada -/ resterà qualche cosa/ di me/ nel mio mondo –/ resterà un’esile scìa di silenzio/ in mezzo alle voci (tratta da Novembre, Milano 29 ottobre 1930)

Le leggi razziali, la guerra, i campi di concentramento, forse li ha sentiti nell’aria, un po’ come una veggente, una Cassandra inascoltata. Ciò che la sua deliberata morte ci può insegnare è che una sensibilità oltremisura è un dono, ma può essere anche una condanna a un senso di inadeguatezza nei riguardi di un mondo che sensibile lo è molto poco.

ed io sosto/ pensandomi ferma stasera/  in riva alla vita/ come un cespo di giunchi/ che tremi/ presso un’acqua in cammino […]/ (tratta da In riva alla vita, Milano 12 febbraio 1931)

Si può pensare a Sylvia Plath, altro mondo, altra esperienza, eppure anche lei pone fine alla sua vita, lei che si definiva “la ragazza che voleva essere dio”. Lei che nei Diari (1950) scrive Forse non sarò mai felice, ma questa sera sono contenta3; ed era sicura di divenire la più grande poetessa americana, più grande, a suo dire, anche di Emily Dickinson. Esperienze diverse, vite diverse e soprattutto ego diversi, ma una comune sensibilità infranta dalla vita e un amore smisurato per le nove sorelle, figlie di Mnemosine e di Zeus.

Poesia, poesia che rimani/ il mio profondo rimorso,/ oh aiutami tu a ritrovare/ il mio alto paese abbandonato–/ Poesia che ti doni soltanto/ a chi con occhi di pianto/ si cerca –/ oh rifammi tu degna di te,/ poesia che mi guardi (tratta da Preghiera alla poesia, Pasturo, 23 agosto 1934)

Nella poetica di Pozzi possiamo trovare anche echi di speranze, desideri di cose leggere,

Desiderio di cose leggere/ nel cuore che pesa/ come pietra/ dentro una barca – / Ma giungerà una sera/ a queste rive/ l’anima liberata: […] salperà – […] per un’alta scogliera/ di stelle – (tratta da Desiderio di cose leggere, 1° febbraio 1934)

Il cuore è pesante dunque, ma Antonia sente che, una dolce sera, la sua anima liberata potrà trovare pace, attraverso una tensione trascendente e il ritorno all’Origine

Questo non è esser morti,/ questo è tornare/ al paese, alla culla:/ chiaro è il giorno / come il sorriso di una madre/ che aspettava […]/ questo tornare degli umani,/ per aerei ponti/ di cielo,/ per candide creste di monti/ sognati,/ all’altra riva, ai prati/ del sole. (tratta da Funerale senza tristezza, 3 dicembre 1934)

Nichilismo, ma con alcune schegge di speranza. La giovane è alla ricerca di una serenità che non riesce a cogliere in questo mondo. E la cerca nella morte. Antonia viene ritrovata in un canale. Morta per annegamento. Altra morte, altro specchio d’acqua, una comune follia d’amore: Ophelia. Certo il suicidio dell’eroina shakesperiana è dettato da un impeto emotivo, sicuramente sono altre le ragioni che hanno condotto la Pozzi tra le braccia di Ade. Un profondo e meditato nichilismo venato però, come accennato in precedenza, dai rivoli di una lieve speranza di trovare finalmente pace. Una follia d’amore condivisa con Ophelia dunque; amore folle per Antonio Maria Cervi o per la vita dalla quale però non riceve in cambio la stessa intensità e sensibilità con la quale la poetessa affronta le sue vicende umane. O più probabilmente per entrambi.

Possiamo immaginare Antonia Pozzi “addormentata” come l’Ophelia di Dante Gabriel Rossetti. Tre donne dunque, Antonia, Sylvia e Ophelia, sei occhi che si chiudono su di un mondo che poco le ha comprese, poco si è sforzato per comprenderle e forse poco si è lasciato comprendere da loro.

Desidero concludere prendendo in prestito le parole di Laertes, riferite alla sorella Ophelia, e donarle alla memoria di Antonia

Lay her i’th’ earth,/ And from her fair and umpolluted flesh/ May violets spring4

Note

1 Sara Nosari, La favola di Clara. Paradigma schellinghiano e pedagogia della morte, Mursia, Milano 1998.

2 Cfr. H. Beckers, Die Unsterblichkeitslehre Schelling’s im ganzen Zusammenhange ihrer Entwicklung, München, Verlag der k. Akademie, 1865, pp. 24-25.

3 Sylvia Plath, I diari, Adelphi, Milano 1994, p. 7.

4 Hamlet, atto V, 232-234.

Bibliografia

Le informazioni sulla vita di Antonia Pozzi, che riporto in questo mio breve ritratto sono tratte dal sito web http://www.antoniapozzi.it/ al quale rimando per ogni approfondimento. Il sito è curato da un gruppo di studiosi interni ed esterni all’Università degli Studi di Milano.

Le poesie di Antonia Pozzi sono tratte da Parole, a cura di A. Cenni e O. Dino, II edizione ampliata, Garzanti, Milano 1998.

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