Simbiosi, informazione, postumano (I parte)

Di: Giuseppe O. Longo
1 Novembre 2010

Premessa: la simbiosi

La simbiosi (dal greco: vita in comune) è un’associazione stabile e strettamente integrata tra due organismi che porta vantaggi reciproci a entrambi. Pur con tutte le cautele, necessarie per la natura metaforica della proposta, anche il rapporto tra l’uomo e la tecnologia si può considerare una simbiosi, il cui risultato è il simbionte homo technologicus. Del resto l’uomo è in simbiosi, da sempre, non solo con i suoi strumenti, ma anche con i batteri, i cibi, i medicinali, le piante, gli animali domestici…

L’uomo costruisce gli strumenti e questi ultimi, retroagendo sull’uomo e incistandosi in esso, lo modificano. In passato l’esistenza e la perpetua trasformazione del simbionte homo technologicus erano poco visibili, tanto da autorizzare, in molte filosofie e in molte religioni, una visione fissista della natura umana. Oggi, per la velocità e il continuo potenziamento della tecnologia, il fenomeno è diventato piuttosto evidente. Da sempre il corpo umano è stato ampliato da strumenti e apparati che ne hanno esteso e moltiplicato le possibilità d’interazione col mondo, in senso sia conoscitivo sia operativo. Inoltre, dopo un lungo periodo di esplosione, in cui l’uomo si è circondato di vere e proprie estroflessioni satellitari, oggi la tecnologia implode: il nostro corpo è invaso da dispositivi miniaturizzati che interagiscono in modo fine con gli organi e financo con le cellule del corpo.

L’uso degli strumenti si configura non tanto come l’aggiunta di protesi, quanto come una vera e propria ibridazione: la protesi supplisce a un’abilità compromessa o perduta, mentre, innestandosi nell’uomo, ogni nuovo apparato dà luogo a un’unità evolutiva (un simbionte) di nuovo tipo, in cui possono emergere capacità -percettive, cognitive e attive- inedite e a volte del tutto impreviste, e di questa evoluzione ibridativa non è possibile indicare i limiti. Come l’uomo fa la tecnologia, così la tecnologia fa l’uomo. Molte delle capacità del simbionte uomo-computer, per esempio, erano affatto imprevedibili e non è improprio dire che l’unità cognitiva “uomo-col-computer” è essenzialmente diversa dall’unità cognitiva “uomo-senza-computer”.

Inoltre ciascuno di noi, più o meno circondato e invaso dalla tecnologia, sta diventando una cellula ibrida di una sorta di macroorganismo che invade tutto il globo e di cui Internet è il sistema nervoso embrionale. Ci avviamo a diventare gli elementi costitutivi, i neuroni, gli organi, le cellule, di una creatura planetaria che si sta sviluppando tramite i meccanismi tipici di ogni sistema complesso: l’autoorganizzazione, l’autocatalisi, la coevoluzione, la simbiosi, l’emergenza. Questa creatura potrebbe diventare sede di un’intelligenza collettiva e forse di una coscienza collettiva, e in essa si sta attuando una progressiva confusione tra naturale e artificiale, tra le caratteristiche tipiche dei sistemi viventi e quelle dei sistemi non viventi. In particolare non solo le macchine diventano sempre più simili agli umani, ma gli umani sono sempre più modificati dalle macchine, a livello fenotipico e alla lunga anche genotipico. La tecnologia invade il biologico, ma a sua volta il biologico offre modelli e materiali per la costruzione dell’artificiale. Questa sorta di “convergenza evolutiva” tra biologico e artificiale mette in discussione l’immagine tradizionale di un mondo del vivente ben separato dal mondo del non vivente artificiale.

1. Il postumano in codice

L’ibridazione biotecnologica e il profilarsi della creatura planetaria si possono assimilare all’avvento di un nuovo stadio evolutivo dell’umanità, caratterizzato dall’intreccio sempre più intimo di biologia e tecnologia e dall’interconnessione in rete dei simbionti. Si tratta ovviamente di uno scenario, ma sono molti i segni che ci inducono a considerarlo molto plausibile. Per indicare i protagonisti di questo nuovo stadio dell’evoluzione, e in generale le creature che abiteranno il mondo, si è coniato il termine “postumano”. Le forme in cui si declina questo concetto sono molte, alcune delle quali esotiche e inquietanti. Tutte pongono problemi concettuali, pratici ed etici: anche le tecniche di procreazione assistita, di cui tanto si discute anche oggi, dopo l’assegnazione a Robert Edwards del premio Nobel per la medicina, rientrano nella prospettiva del postumano, dal momento che non mirano alla “riproduzione” bensì alla “produzione” dell’uomo secondo specifiche più o meno precise.

Nonostante l’apparente bizzarria del concetto, il postumano richiede dunque con insistenza un’indagine analitica che ne prefiguri modi, possibilità e limiti. Speculiamo allora su una delle possibilità che si offrono al postumano, quella di diventare un’entità di solo codice, un postumano disincarnato. Questa possibilità, caratterizzata dalla prevalenza assoluta dell’informazione sul suo supporto materiale (il corpo), scaturisce dall’importanza preponderante che ha assunto l’informazione nella società odierna. Si tratta di una versione particolare ed estrema del postumano, all’insegna di un riduzionismo informazionale che sembra trovare molti sostenitori entusiasti.

Nel postumano in codice il corpo è divenuto superfluo, anzi è addirittura scomparso. O meglio: è diventato indifferente, è stato sostituito da un supporto arbitrario, che serve solo a contenere lo sciame di bit che ne descrivono la struttura. In questo postumano, insomma, ciò che conta non è la materia, l’hardware, bensì il software. Si postula che l’informazione contenuta nel mio corpo si possa estrarre e introdurre pari pari in un altro corpo, in una macchina, nella ferraglia e nel silicio di un robot. Se l’identità di un Sé consiste in una certa configurazione neuronale, in un insieme di forme d’onda, allora il corpo (biologico o biotecnologico) diventa una sede occasionale e trascurabile di quel Sé, che può essere trasferito in qualunque altro supporto. Il corpo cessa di essere ciò che è sempre stato: il segno distintivo ultimo dell’identità individuale.

Nella prospettiva del postumano in codice sembra attuarsi l’affrancamento da quell’ingombrante fardello che è il corpo: l’eliminazione di questo greve residuo di un’umanità primitiva e limitata è sempre stato il lucido sogno razionalistico della nostra civiltà. Con la sua riottosa propensione al peccato, con la sua imbarazzante capacità seduttiva, con la sua scandalosa attività copulatoria, con la sua miserabile caducità, il corpo si è sempre opposto all’aspirazione filosofica e scientifica di costruire un mondo puro, asettico, durevole, aspirazione che tocca il suo culmine nella seconda metà del Novecento con l’impresa dell’intelligenza artificiale (IA) funzionalistica. Scenario bizzarro, aberrante, ma non arbitrario, come cercherò di chiarire.

2. Informazione e supporto

Una tessera importante del mosaico concettuale che sostanzia il passaggio dall’umano al postumano disincarnato, cioè dal corpo biologico al corpo codificato, venne collocata da Claude Shannon nel 1948. La sua teoria matematica dell’informazione nacque all’insegna di un paradosso: da una parte l’informazione è un’entità sistemica, che ha senso, valore e significato solo nell’ambito di un contesto; dall’altro la formalizzazione shannoniana si ispirava a uno strumento acontestuale, rappresentato da una matematica che si era sviluppata in stretta interazione con la fisica riduzionistica.

Qui mi preme soprattutto mettere in luce il rapporto tra informazione e supporto. L’informazione consiste in differenze: differenze (di colore, forma, grana, peso…) tra oggetti, tra il prima e il dopo (cioè tra lo stato anteriore e lo stato successivo di un oggetto), tra le varie parti di uno stesso oggetto… La presenza dell’“oggetto” indica che l’informazione, per manifestarsi, per essere elaborata e trasmessa, ha bisogno di un supporto materiale. L’informazione non può essere ridotta al supporto, ma ne ha bisogno. Inoltre, almeno in prima approssimazione, l’informazione può essere estratta da un supporto e trasferita in un altro senza alcuna perdita o distorsione. L’informazione sarebbe dunque invariante rispetto all’operazione di codifica.

Ma questa invarianza, evidente nella formalizzazione di Shannon, sussiste (e anche qui con certe limitazioni) solo in un caso particolare, molto semplice anche se importantissimo, che è il caso digitale, in particolare il caso binario, dove ciò che importa è distinguere un oggetto o segnale o messaggio dagli altri, e dove la forma specifica di ciascun segnale non ha alcuna importanza. La differenza tra “0” e “1” è codificabile senza residui nella differenza tra “nero” e “bianco”, tra “aperto” e “chiuso”, tra “sole” e “pioggia” e così via. Il fatto che la forma di “1” sia diversa dalla forma di “nero” e di “sole” non ha alcuna importanza.

In generale tuttavia l’informazione non è invariante rispetto alla codifica e il passaggio da un supporto a un altro non è senza conseguenze. Nel caso analogico, dove non basta distinguere un messaggio dall’altro, ma si deve riprodurre con buona approssimazione la loro forma, la codifica può distorcere l’informazione e comprometterla. Un concerto scritto per violino non può essere eseguito col trombone senza gravi distorsioni. Non tutti i supporti si lasciano modulare allo stesso modo: ogni supporto oppone una resistenza specifica all’inserimento delle differenze che rappresentano l’informazione e questa resistenza rivela che informazione e supporto intrattengono una relazione molto intima. Come l’informazione condiziona il supporto, così il supporto condiziona l’informazione.

Da questa ineludibile interazione scaturisce l’obiezione principale all’IA funzionalistica, secondo la quale basta individuare e descrivere con precisione le funzioni della mente umana e poi trasferire questa descrizione in un calcolatore perché questo si comporti come la mente. Secondo alcuni, invece, le funzioni che si svolgono in un certo supporto sono legate profondamente e intimamente a quel supporto, e non si possono trasferire altrove senza perdite, modifiche e distorsioni.

Anzi, il funzionalismo opera un passaggio intermedio ancora più sottile: le funzioni della mente sono assimilabili a certe operazioni logiche (che si svolgono fuori di ogni tempo e materialità) e queste operazioni logiche, che sono la vera essenza del mentale, possono essere proiettate su svariati supporti (cervello, computer…) in modo assolutamente isomorfo. Il funzionalismo ignora cioè la natura materiale non solo della macchina, ma anche della mente. Quando si afferma che il calcolatore funziona secondo i principi della logica, si commette un errore: il calcolatore non è una macchina logica, bensì una macchina materiale, dunque lavora per causa-effetto e tra causa ed effetto c’è sempre un ritardo temporale. Nella logica classica il tempo non esiste, mentre nel calcolatore esiste: ci sono i ritardi, e i ritardi si accumulano. La proiezione o mappatura della logica sul calcolatore è una mappatura imperfetta, tanto che, se le operazioni per unità di tempo diventano troppe, si presentano effetti di saturazione e la macchina funziona male. Allo stesso modo, neppure la mente funziona secondo i principi della logica, ma è condizionata dal funzionamento (fisico-causale) del suo supporto, il cervello.

3. Il riduzionismo informazionale

Il parziale fallimento dell’IA funzionalistica ha portato a due reazioni molto diverse, entrambe tuttavia imperniate sul corpo: da una parte alcuni si sono convinti che per simulare un’intelligenza che abbia caratteristiche non troppo lontane da quella umana si debba adottare una prospettiva sistemica, cioè si debba dotare il cervello artificiale di un corpo artificiale in interazione con l’ambiente e magari anche adottare un’impostazione di tipo evolutivo, che simuli quanto è accaduto nella storia della biologia: questa è la via intrapresa dalla robotica. Altri non hanno accettato la sconfitta e hanno, all’opposto, radicalizzato il tentativo, codificando non solo la mente ma anche il corpo. Questa è la strada che conduce al postumano in codice.

Se fosse possibile parlare di informazione in sé, se fosse possibile ridurre la musica a codice, o la macchina a progetto, se – per fare un esempio ancora più estremo – se l’uomo si potesse ridurre alla sua sequenza genomica, allora perché eseguire la musica, perché costruire veramente le macchine, perché fare i figli? L’attuazione materiale sarebbe solo un pleonasmo ridondante, che non dimostrerebbe nulla e che anzi, con la sua imperfezione attuativa rispetto alla perfezione del modello astratto, segnerebbe uno scadimento intollerabile.

Ciò ricorda la filosofia platonica, che assegnava preminenza alle idee rispetto alla loro attuazione materiale. Ma noi sappiamo, perché lo intuiamo al di là di ogni ragionamento e argomentazione (e soprattutto perché lo esperiamo nel corso della nostra esistenza), che la vita non è puro codice, che il corpo in cui il codice s’incarna ha una sua collocazione centrale in questo vasto e inafferrabile fenomeno. Del resto anche un’attività come la matematica, che sembra puramente formale, rivela un profondo legame con la materialità del suo supporto.

Come ha mostrato la storia, già il tentativo dell’IA di codificare la mente per trasferirla dal supporto originario in un altro comporta semplificazioni e distorsioni essenziali che rendono il risultato molto discutibile. Eppure molte attività della mente sono formali, appartengono cioè al mondo dell’informazione, ed è su questo che si è basata l’intelligenza artificiale funzionalistica. Ma il corpo, per la sua natura fisica e biologica, appartiene anche al mondo della materia, perciò quando se ne estrae l’informazione per incarnarla in un altro supporto, molte sue caratteristiche originarie vanno perdute. Queste caratteristiche potrebbero comprendere la possibilità di nuotare, di mangiare, di far l’amore… e tutto sta a vedere se vogliamo considerarle essenziali oppure no per la definizione di corpo, o meglio per considerare il nuovo supporto un sostituto accettabile del corpo.

Per alcuni il corpo codificato sarebbe solo un simulacro di corpo, che non ne conterrebbe tutta l’essenza. Insomma se volessimo dissolvere il corpo trasformandolo in uno sciame di bit, sospesi in aria (o nel ciberspazio) in attesa di nuova destinazione non potremmo farlo fino in fondo: non potremmo travasare nel software tutta la resistenza e la sodezza e la ricchezza della materia e quindi la reincarnazione sarebbe incompleta. Il corpo continuerebbe dunque a essere l’orizzonte assoluto della nostra esistenza, l’ultimo ostacolo all’immersione totale nella virtualità. Il corpo reale non si potrebbe ridurre a un fantasma etereo e imponderabile, angelico o demoniaco, da registrare, trasmettere e manipolare come un segnale. Nella costruzione del simulacro la mediazione filtrante del codice sarebbe cruciale e questa mediazione sottrarrebbe al corpo la sua caratteristica più importante, quella di essere immerso in un contesto e in una storia in cui la materialità, l’esperienza del mondo e la sostanzialità del cibo sono fondamentali. Insomma, come l’informazione è irriducibile alla materia, anche la materia non si può ridurre del tutto all’informazione.

Supponiamo comunque di accettare questa prospettiva postumana, che ci farebbe approdare a un essere di pura informazione, privo di supporto. Come potrebbe questo essere interagire con il mondo? L’interazione tra materia e informazione richiede la presenza di un supporto materiale o energetico su cui l’informazione si possa adagiare, o meglio si possa incorporare, quindi un essere di pura informazione è un’astrazione mistica: anche le nostre idee più astratte possono spingerci ad azioni materialissime, e questo perché sono incarnate nella configurazione dei nostri neuroni e si incanalano poi nelle strutture energetiche e materiali del corpo. Se così non fosse, si riproporrebbe il problema dell’interazione tra res cogitans e res extensa affrontato senza successo da Cartesio. Detto altrimenti: un essere di pura informazione come potrebbe essere percepito, e da chi? E se non fosse percepito, come potremmo verificarne l’esistenza se non con un atto di fede? Rischierebbe, il nostro post-uomo incorporeo, di essere l’unico osservatore e interlocutore di sé stesso, una sorta di monade autoreferenziale incapace di comunicare con altri.

Un altro problema: che ne sarebbe dell’identità e del Sé, che non sarebbero più legati al corpo e alla sua immersione contestuale, bensì all’informazione trasferibile, in una prospettiva analoga a quella dell’intelligenza artificiale funzionalistica? Non si tratta di una questione tanto peregrina, perché già quel processo di decodifica (parziale) dell’essere umano che è la mappatura del genoma ci pone di fronte alla domanda “chi siamo?” in termini nuovi e radicali. Se (il codice di) un essere umano può essere compresso e stare tutto su un libro o su un disco, che ne è della sua coscienza, intelligenza, sensibilità? Che cosa diventa l’“io” per effetto di questo riduzionismo informazionale?

[Continua nella II parte]

Bibliografia

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Negroponte N., Essere digitali, Sperling & Kupfer, Milano, 1995

Waldrop M. M., Complessità, Instar Libri, Torino, 1995

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