Otto poesie

Di: Pasquale Indulgenza
1 Novembre 2010

Forme di vita

Forme di vita

sono i miei dubbi

come queste piantine

senza radici

che vivono d’aria e di smog.

Sono i piccoli tritoni

dei laghi alpini

accostati ai sassi

e i guizzi improvvisi

nell’austera maestà

delle montagne a corona.

Sono le scelte possibili

per dare parola

ai dubbi

come alle rinunce

sopravvenute in silenzio.

Sono gli esotici frutti,

gli strani semini e le erbe selvatiche

che nelle mani

antiche e svelte

di Libereso Guglielmi

divengono beni comuni.

Sono i suoi passi

lenti e sicuri

nel giardino

di Baragallo

intrisa di cemento

e i segni che fa

camminando

per dirci in terra

di noi e di altro.

San Bernardo di Conio

Apre alla valle il crinale

e curvo accompagna

ad una superiore radura

il pensiero

d’un moto improvviso e solitario.

Nel vuoto si arrischiano

le felci e

ondeggiano come ciglia.

Sono i nembi di un solo sguardo,

di tutte le voci

mute,

dell’unico abbraccio

che al colle risale.

Il volto

Guardo questa maschera nuda:

la morte sa ricomporsi da sola

immemore di mille sventure,

persino dell’ultimo istante,

e ancor capace di un segno,

sudario di un’altra parola,

l’ultima che tu pronunci,

quella con cui interamente

ti esprimi

(dice Feuerbach),

originaria ostensione,

intaglio radice, aura muta.

Settembre

Oggi il mare

è argento vivo

e amico.

Seguitano le vele bianche

a danzare al largo,

ma a me basta

sentire della brezza il garbo

scarno e lieve,

lo sbuffo salino

annunciarsi

al solo bisogno d’una sosta.

Non è indicibile

la secca verità

ma indecidibile la prova

se non fa mistero

la parola

del suo limite grandioso

di trasognata nudità.

“In queste cose”

– dice Wang Wei –

“sta il senso del vero

a parlarne, la voce vien meno”.

Auschwitz-Birkenau

I pensieri si estinguono

nell’illusione smisurata

di un attimo

colto da due caprioli.

Svaniscono

nella brughiera

già che nella luce del giorno

ci hanno fissati

sprofondati

nella neve di Auschwitz-Birkenau

al cospetto delle tre tombe simboliche.

Passeggiata al Granatello

La scia arancio sfuma

e da nessun luogo

nei vetri il mio volto

si rivolge.

La scia sfuma

e dal treno appena desto

il giorno

va sospeso

mi scivola di fianco

ignoto serpente familiare

quando rivedo la stazione

e il fico che s’inerpica.

S’annega il cormorano

nel lago del Granatello

ospite di rari pesci

di tuffi fondi

segreti e opachi.

Sbianca Capri

di foschia

spreco di luce e fasti

strabico taglio lento

curva indifferente

al Vulcano

d’un mercantile

che su Napoli fa rotta.

Alle Mortelle ritrovo

la mia icona

d’Irlanda

rado prato in fiore

conca ghirlanda

del mio cuore

messo a nudo

e la scogliera di lava

guardata a vista

dalla torretta.

Calpesto la rena

che sfarina

tavola immota

brulicante

come l’indugiare di questo mattino

tra un rimbrotto del mare

e spume di fuga.

L’Italia dall’aereo

L’ala sopra le nuvole

ne incide la coltre

e addita la linea nuda

della penisola

la ferita

d’un Paese stretto nei suoi dilemmi

lasciati al mare

mentre l’aeroplano

già si torce

e cala su Napoli.

Le meduse blu

S’infiltrano nella risacca

mosse da un ordine vuoto.

Aliene, piccole meduse morte.

Fantasiosi anelli caduti da Marte,

barchette di Sant’Antonio

di un esercito elettrico e blu

a fine processione.

Cosmici batteri

risucchiati

in un fluido attacco

nell’universo che qui, alla Galeazza

amata al plenilunio

da Angiolo Silvio Novaro,

in questo crudele ondeggiare

su una peluria di alghe,

in un istante trapassa

e sprofonda lo sguardo

alla sconfinata ferita,

la fistola inattesa che s’apre

nel raggio

di un solo orizzonte.

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