Giornale di Metafisica 1/2010
Il Giornale di Metafisica venne fondato da Michele Federico Sciacca nel 1946 e, seppur con alterne vicende, costituisce una delle più costanti e rigorose voci della cultura filosofica italiana ed europea. Al di là dell’ispirazione, pur sempre presente, del suo fondatore, il GdM ospita infatti saggi e dibattiti che toccano i temi più attuali della vita e del pensiero e dà spazio a una grande pluralità di voci, posizioni, studiosi. La Rivista alterna numeri monografici con delle miscellanee. Tra queste, il numero 1/2010 è certamente significativo di un approccio che parte, sì, dalla metafisica ma la declina in modalità che si confrontano con le posizioni più critiche e più diverse.
Il cammino della metafisica e la stessa parola che la designa costituiscono infatti un plesso storico e semantico talmente ricco e differenziato da rischiare spesso l’incomprensione e l’equivoco. Ma queste medesime ragioni rendono la metafisica un punto di riferimento che si può, certo, oltrepassare ma che deve sempre essere tenuto presente per capire filosofie e mondo, per comprendere la complessità del reale. «L’originario “progetto” della filosofia» rimane infatti quello di «spezzare la catena del senso comune e, parallelamente, abbandonare contenuti e modalità della doxa» (F. Treppiedi, p. 136).
Anche in Husserl si può trovare «la necessità di una metafisica fenomenologica» il cui senso sarebbe questo: «in opposizione ad una metafisica che pensa sia possibile oltrepassare il campo del sensibile e dell’esperienza per cogliere la struttura del vero essere attraverso l’uso della logica, la metafisica fenomenologica deve permetterci di accedere all’invisibile e all’essere seguendo il modo in cui l’essere si manifesta nel visibile e nell’esperienza. L’essere non va cercato dietro il fenomeno, ma nel suo modo di darsi nel fenomeno» (V. Costa, pp. 11-12). E poiché il fenomeno è tale per la soggettività che lo esperisce, «la metafisica fenomenologico-trascendentale viene a coincidere con un’analisi della genesi stessa del soggetto» (Id., p. 19). La soggettività rimane il nucleo della fenomenologia husserliana; qui sta la sua forza come anche il suo limite. La forza di una soggettività che supera senz’altro qualunque solipsismo, antropocentrismo, idealismo; il limite di una sempre possibile ricaduta in questi territori. Ma, intesa come Husserl voleva che si intendesse, la soggettività husserliana è l’analogo dell’analitica esistenziale, una via verso il coglimento della struttura fondamentale del mondo. Questa struttura è il tempo.
Infatti, «il movimento ultimo della temporalità non è qualcosa che può stare davanti ad un soggetto. È il movimento che genera lo stesso soggetto. Vorremmo dire: proprio perché il fine non può essere raggiunto vi è vita. Vi è vita perché l’evidenza fa difetto» (Id., p. 28). L’evidenza di una stasi senza tempo, di una soggettività già costituita, che confligge con un’evidenza ancora più grande, col fenomeno del «dinamismo presente nel vivente in quanto tale e che Husserl chiama volontà di vita» (Id., p. 22). L’io originario, il Vor-Ich (simile al Sé nucleare di cui parla Damasio), diventa coscienza/mondo quando inizia a costruire il proprio rapporto con la realtà di cui è parte e fuori dalla quale è soltanto un nulla d’astrazione; quando dunque la vita del soggetto/mondo «ulteriorizza se stessa» in «un processo teleologico lungo il quale si traccia e prende forma ciò che non ha forma: cioè il tempo» (Id., p. 25). La teleologia del soggetto husserliano non ha, pertanto, nulla di soggettivistico e prometeico ma è la forma del tempo che diventa consapevole di sé in una coscienza che lo sa. Un processo che, col suo linguaggio e in modo diversi, venne ripreso anche da Deleuze, come si vede dal saggio che Fabio Treppiedi dedica a Deleuze lettore di Husserl.
La realtà con la quale è necessario che la filosofia sempre si confronti e, di più, in cui si immerga, è la struttura finita di ogni cosa e quindi anche dell’umano. Nella Prefazione alla Fenomenologia Hegel scrive:
Ma non quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiva della distruzione; anzi quella che sopporta la morte e in essa si mantiene, è la vita dello spirito. Esso guadagna la sua verità solo a patto di ritrovare sé nell’assoluta devastazione. […] anzi lo spirito è questa forza sol perché sa guardare in faccia il negativo e soffermarsi presso di lui. Questo soffermarsi è la magica forza che volge il negativo nell’essere1.
Jean-Luc Nancy coglie esattamente il luogo di questo soffermarsi e ritrovarsi dello spirito. Tale luogo è la corporeità che dando «all’animale una forma vivente, gli ricorda una verità essenziale, e cioè la difettività di questa forma vivente. O, meglio, l’infinita incorporazione della morte nella vita, la morte al cuore della vita […], quell’incorporazione del non nell’essere che fa dire a Nancy la vita/la morte senza contrarietà» (R. Calderone, p. 124).
Interessante è, infine, il confronto istituito da Marco Buzzoni tra Kuhn e Wittgenstein, attraverso il quale l’autore perviene alla conferma della radicalità dell’epistemologia kuhniana lungo tutto il suo percorso: «le modifiche operate da Kuhn alla tesi dell’incommensurabilità non hanno in alcun modo attenuato le più radicali conseguenze relativistiche contenute nella Struttura […] per la semplice ma decisiva ragione che anche La struttura delle rivoluzioni scientifiche conteneva, accanto all’impianto fondamentale relativistico, alcuni elementi realistici» (p. 98). In effetti, Kuhn afferma che «i sostenitori di paradigmi opposti praticano i loro affari in mondi differenti. […] Ciò però -vale la pena ripeterlo- non significa che essi possono vedere qualunque cosa piaccia loro. Entrambi guardano il mondo, e ciò che guardano non cambia»2. Lo sguardo ermeneutico è il modo e il come della filosofia e, in generale, di qualunque approccio umano agli enti e agli eventi. Anche per questo tutta la filosofia è fenomenologia.
Note
1 G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito [Die Phänomenologie des Geistes, 1807], trad. di E. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1985, vol. I, p. 26.
2 T. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche [The Structure of Scientific Revolutions, 1962 e 1970], trad. di A. Carugo, Einaudi, Torino 1980, p. 182.
GIORNALE DI METAFISICA |
Anno XXXII-Numero 1/2010 Gennaio/Aprile 2010 |
Tilgher, Genova 2010 |
Pagine 204 |
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