The Man from Earth
Una storia sorprendente non è quella inventata dal nulla, ma quella che spinge i confini del reale sin dove non sfiorano asintoticamente il nulla stesso. Non è la creazione che sorprende –perché la creazione è mistero- ma la possibilità dell’impossibile che la ragione umana -reale divinità- dimostra possibile. La storia sorprendente è quella che rende il massimamente estraneo familiare, nel significato inglese, però, che non permette l’accezione di amichevole, ma soltanto di conosciuto. The man from Earth è un film indipendente del 2007, scritto da Jerome Bixby e diretto da Richard Schenkman. mai approdato nelle sale italiane. Inizia e si conclude all’interno di una stanza, una living room -di una piccola casa, isolata dal resto del mondo e immersa nella natura- dove c’è soltanto un divano, un camino e otto uomini: una studentessa, un biologo, una storica del cristianesimo, un antropologo, un archeologo, uno psichiatra e due storici, Sandy e John.
Il protagonista, John Oldman, ha dato inaspettatamente le dimissioni e sta preparando i bagagli per andare via, ma gli amici invadono la sua casa con un party a sorpresa, un addio che richiede anche una ragione dell’evento inaspettato. E John decide di spiegar loro perché è costretto ad abbandonare ogni dieci anni il posto in cui vive: presto tutti si accorgerebbero che non invecchia, perché John ha quattordicimila anni. Non cento, non duecento e neanche 1400, ma 14000 anni. John è un Cro-Magnon. John è il tempo incarnato. Non è un film di fantascienza, ma la storia della ragione umana e delle deviazioni che ha subito, dei punti di vista che ha perso, delle possibilità che non ha colto, lasciando la Terra per vivere nel Mondo. Non si tratta esclusivamente del Mondo organizzato, ordinato, evoluto, tecnologizzato, estetizzato che ci siamo costruiti, ma dei significati che abbiamo dato al nostro starci, dimentichi di quel fondo originario che abbiamo abitato e creduto di controllare relegandolo in un sacro troppo spesso mortificante nel senso etimologico del termine e in una soggettività troppo confinata per dar spazio, al respiro che ci attraversa, di aprirsi alla vita.
John è stato un cavernicolo, un uomo che ha imparato il linguaggio; che ha cercato gli dèi tra le stelle; che ha creduto in una terra piatta e poi rotonda; che è stato etrusco, sumero, babilonese, romano, ebreo, nomade e stanziale; che ha conosciuto Buddha e fatto propri i suoi insegnamenti; che ha avuto la presunzione di credere di poterli trasferire altrove -in Palestina, dove John è stato anche Gesù- nella loro purezza, nella loro sensatezza, nella loro giustezza, seguito non da apostoli che insegnavano, ma da discepoli che imparavano. Una scuola, nient’altro che una scuola, non un tempio su cui edificare la colpa, sacrificare la vita e condannare “la gioia come peccato”.
The truth is so, so simple. […] Guy met the Buddha, liked what heard, thought about it for a while –say 500 years, while he returned to the Mediterranean, became Etruscan. Seeped into Roman empire. He didn’t like what they became: a giant machine. He went to Near East thinking: “Why not pass the Buddha’s teaching in a modern form”. So he tried. […] “I am what I am becoming”. That’s what the Buddha brought in. And that’s what I taught. […] Heaven and hell were peddled, so priest could rule through seduction and terror, save our souls that we never lost in the first place. […] I see ceremony, ritual, processions, genuflecting, moaning, intoning, venerating cookies and wine and I think… It’s not what I had in mind.
Non è stato capito allora, John, e neanche adesso lo è. Questo cristo umano, troppo umano, che ammalia nella semplicità dei suoi sguardi, nel candore delle sue spiegazioni, nel rigenerarsi continuo e senza sosta delle sue cellule. È di nuovo un cristo che sconvolge nel «suo spietato realismo che descrive la vita nel suo reale svolgimento sulla Terra, qui e ora»; che scuote facendo cadere nell’abisso del non senso ogni certezza, ogni fede acquisita, lasciando che l’uomo comune si confronti con la propria finitezza e per l’ennesima volta non sappia che farsene di un Regno di Dio nel mondo, preferendo l’inumana felicità paradisiaca all’accettazione gioiosa della tragicità terrestre: «The Kingdom of God, meaning goodness, is right here, where it should be».
Meglio che John menta, perché altrimenti ogni pilastro su cui si regge l’intero Mondo cadrebbe in rovina lasciandoci primitivi in una grande caverna insensata e inospitale.
Un film da vedere, nient’affatto noioso, ricco di colpi di scena fin negli ultimi minuti quando verità e menzogna si passano il testimone per lasciarci a bocca aperta e con un sapore -strano- di liberazione addosso. John vivrà ancora, fino alla notte dei tempi, ma Sandy per dieci anni sarà sua compagna, perché John è un uomo che sa come trovare il paradiso a casa sua: sulla Terra.
L’enigma che la vita, il tempo, la storia rappresentano per gli umani viene restituito da questo film con profonda intelligenza. Un soggetto come questo avrebbe potuto dare la stura alle più fantasiose ed estreme “rivelazioni” e invece la splendida sceneggiatura di Jerome Bixby si mantiene sempre plausibile, misurata, sobria. I temi più ardui vengono affrontati con semplicità e senza mai cedere all’esoterismo o al bizzarro. I volti degli attori -fondamentali in un film così teatrale, girato quasi per intero in una stanza- accompagnano le parole con una partecipazione che esprime per intero lo sconcerto, l’emozione, l’incredulità, il disagio, la commozione. Su tutto aleggia una sensazione di disvelamento e quindi di serenità. I mezzi registici per rendere dinamico il lungo conversare sono semplici ma efficaci. Si esce da questo film con profonda pace, con la speranza che la vicenda di un uomo che è stato tanti nomi della storia possa essere vera ma con la certezza che in ogni caso la scintilla di vita che si è abbia un senso in questo accadere di eventi, di incontri, di tragedie e di risposte che è l’itinerario degli umani nel tempo.
The Man from Earth |
Richard Schenkman |
USA, 2007 |
Con David Lee Smith (John Oldman), Tony Todd (Dan), John Billingsley (Harry), Ellen Crawford (Edith), Annika Peterson (Sandy), William Katt (Art Jenkins), Alexis Thorpe (Linda Murphy), Richard Riehle (Dr. Will Gruber) |
Sceneggiatura di Jerome Bixby |
Trailer del film |
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