Per arrivare al Caos che caos!
Se qualcuno nutrisse il desiderio di sapere quale sia stata la ventura delle ceneri di Pirandello, bisognerà che legga l’agile libretto di Roberto Alajmo. Intitolato per l’appunto Le ceneri di Pirandello, il breve testo è ben illustrato da Mimmo Paladino come si trattasse di una favola per adulti consapevoli del potenziale destino tragicomico che sta in agguato alla morte di ciascuno. E in effetti era proprio l’obiettivo originario dell’autore quello di scrivere un libro più vasto per indagare «su quel che ci aspetta dopo la morte» (p. 7)
«L’anima, per quanto mi riguarda, è libera di fare quello che vuole; la conosco, si arrangia in tutte le situazioni e di sicuro troverà modo di cavarsela: è il corpo quello che di sicuro smette di divertirsi. E’ il corpo che mi preoccupa» (Ibidem)
Ovviamente qualunque agrigentino vi dirà che non è necessaria una tale lettura per saper dove, dal 1962, si trovino le ceneri di Pirandello. Con sicurezza vi potrà indicare sia la via sia il numero civico del luogo dove riposa quel po’ di Pirandello che è avanzato. Probabilmente pochi di loro, pur sapendo che quel luogo è il Caos -tra Agrigento e Porto Empedocle-, sanno quale caos –in questo caso non da Nobel ma da Oscar- seguì alla morte di Pirandello, prima che le sue ceneri venissero murate “in qualche rozza pietra nella campagna di Girgenti” (p. 18). L’ultima commedia pirandelliana fu rappresentata dallo stesso drammaturgo, per quell’occasione protagonista principale e reale seppur ignaro e passivo.
Pirandello aveva una certa considerazione di sé, e tutt’altra delle persone che lo circondavano. Doveva certo dispiacergli morire, specialmente per poi essere costretto a lasciare la gestione drammaturgica della propria morte a persone incompetenti (p. 17)
Eh sì, perché in realtà la vicenda che riguarda le ceneri di Pirandello ha dell’inverosimile a un punto tale che lo stesso Pirandello non avrebbe potuto inventarsi nulla di simile.
Morì, Pirandello, il dieci dicembre del trentasei, e malgrado le raccomandazioni che si era premurato di lasciare, venne sepolto invece a Roma. Delle sue volontà solo la cremazione ebbe luogo (p. 18)
Da Roma ad Agrigento, da un aereo a un treno, da un’anfora greca del V secolo a un «contenitore di moderna fattura» (p. 38), dal cimitero del Verano a un «macigno sbozzato alla meno peggio» (p. 36) -che l’artista però aveva impiegato 15 anni a realizzare-, da un mucchio ben sistemato a un mucchietto volato al vento, dall’irriducibilità del grande artista a una cremazione condominiale, in questo libretto c’è tutto quel che serve per capire che la Girgenti di Pirandello, dopotutto era soltanto per caso Girgenti. Il paradigma di certe vicende umane, che scivola nel paradosso, per rimanervi impigliato senza possibilità di superamento, va su e giù per l’Italia e in alcuni casi perfino per il mondo.
Al professor Ambrosini i piloti americani spiegarono, sempre in inglese gestuale, che di guasto si trattava. […] Ambrosini veramente avrebbe giurato che un minuto prima i motori giravano al meglio, e la scusa lo convinceva poco. Non era degno di un popolo moderno credere in certe superstizioni. […] magari i due piloti avevano qualche antenato di origini proprio siciliane (p. 26).
Roberto Alajmo e Mimmo Paladino |
Le ceneri di Pirandello |
Drago Edizioni |
Bagheria 2008 |
Pagine 43 |
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