Meraviglie del Barocco

Di: Andrea Ferroni
1 Settembre 2010

Il Barocco è un nome ambiguo. Giunge a noi come perla rara e irregolare (da “barrueco”) o come una figura di sillogismo (da “baroco”). La logica e la fantasia si intrecciano fin dall’etimologia, così incerta che qualcuno risale perfino a remote origini libanesi.

E ambigua era anche l’epoca in cui esso trionfò. Il ‘600 era un insieme disomogeneo di policromie, con i suoi fermenti vitalistici pur nel declino economico, le guerre di religione e i papi innamorati dell’arte (tra tutti, Urbano VIII), il purismo giansenista di Pascal e la ritrovata fiducia del cattolicesimo, rappresentato specialmente dall’ottimismo mondano dei gesuiti.

Il Barocco racchiude la compresenza inquieta di controllo e libertà. Il secolo si era aperto con il terribile rogo di Giordano Bruno: in Campo dei Fiori a Roma, il 17 febbraio 1600, abbiamo saputo che il libero pensiero era ancora e resterà sempre in pericolo di fronte al dogmatismo. Il vecchio ordine permane. Ma l’emblema dell’epoca è forse il 1633, l’anno del processo a Galileo Galilei. Grazie a lui soprattutto, nonostante l’imposizione dell’abiura, la scienza ha cominciato a parlare agli uomini di buona volontà. Un nuovo ordine spiccava il volo.

E, guardando in alto questo volo (ma già la notizia era nota a molti), tutti gli uomini seppero, non senza angoscia, che l’universo non era quello di prima. L’astronomia era stata rivoluzionata. I pittori lo avevano capito subito ed era nato, anche nelle loro tele, un nuovo spazio, dilatato, espandibile quasi all’infinito, tutto da immaginare. Ecco: se c’è una cosa che il Barocco ha recepito dalla filosofia è che occorre ripensare lo spazio e, per farlo, in mancanza del cannocchiale, si poteva ricorrere all’immaginazione, da tradurre, al limite, anche in illusionismo.

Lo spazio degli artisti diventa un continuum indefinitamente popolabile di figure, uno spazio che improvvisamente assume toni anche spettacolari, con spirali inimmaginabili nell’universo tolemaico.

E poi ci sono le sensazioni liberate dall’immaginazione. L’invisibile si trasforma in spettacolo sensibile. Le idee di Galileo diventano emozioni.

Non trascuro affatto, come antecedente imprescindibile del Barocco, la rivoluzione naturalistica di Caravaggio e il suo modo di usare la luce fenomenica come strumento di rivelazione della realtà nel suo darsi fisico, perfino nelle piaghe della pelle dei santi. Caravaggio è essenziale per capire come improvvisamente il decoro classico diventi meno importante della verità di natura.

In tale ambito storico-estetico si colloca la mostra di San Severino. Non vi si trova (solo) il Barocco della Roma dei Barberini, con Bernini (di cui pure nella mostra marchigiana è presente un busto in bronzo) a fare da portavoce. Ogni cosa è relazione e risente dello spazio e del tempo in cui si presenta: impossibile dunque pensare un Barocco prettamente romano nelle Marche. La relazione trasforma tutto, le categorie si negoziano, la sintesi è inevitabile e, a volte, felice.

A San Severino c’è comunque Caravaggio, di cui si ammira una replica del San Francesco che riceve le stimmate. E ci sono anche altri grandi maestri nazionali come il Pomarancio, nel ruolo di traghettatore dei marchigiani verso il nuovo gusto del Barocco. Vi si ammira la meravigliosa opera Santa Francesca Romana che riceve il bambino dalla Madonna di Orazio Gentileschi, capitato nelle Marche forse durante il difficile periodo del famoso processo romano che vedeva coinvolta la figlia Artemisia, anche lei pittrice, stuprata da Agostino Tassi (un artista frequentatore della bottega di Orazio). La Santa Francesca Romana è davvero un’opera affascinante, aperta tra due fuochi di luce, uno laterale e uno celeste,  che delimitano l’incontro dello spazio divino e del tempo terreno. Il cannocchiale formato dalle nubi alle spalle delle figure non può non farmi pensare che Orazio Gentileschi abbia voluto citare Galilei, di cui era amico ed estimatore. La straordinaria libertà espressiva della composizione, pur nella sua essenzialità, mi fa pensare che l’ambiente provinciale marchigiano potesse essere un laboratorio ideale per favorire gli esperimenti degli artisti affermati.

Accanto a questi giganti della pittura, in cui sono da annoverare anche Baciccio, Guercino, Salvator Rosa, Spagnoletto e altri, ci sono i pittori locali, che osservano, introiettano e trasformano il linguaggio nazionale in opere “dialettali” ma di grande spessore. Tra questi i pesaresi Simone Cantarini e Giovan Francesco Guerrieri una cui tela, San Sebastiano Curato, colpisce per i drammatici contrasti chiaroscurali ottenuti con una luce che è nello stesso tempo fisica (caravaggesca) e metafisica, immaginifica, quasi violenta.

Notevole è anche l’opera Santa Francesca Romana dell’anconetano (per la precisione cameranese) Carlo Maratti, artista davvero raffinato, che sa restare sospeso tra severo classicismo e nuove aperture barocche.

Ogni mostra, solitamente, ha una sua proposta da valorizzare. In questo caso il nome “nuovo” è Giacomo Giorgetti, artista umbro, ma attivo anche nelle Marche. Si scopre un pittore non facilmente inquadrabile, a metà tra Manierismo e naturalismo, con una tendenza quasi berniniana ad andare al di fuori della forma obbligata dalla tela, fino ad espandersi nello spazio circostante. Giorgetti è abile nella descrizione della scena, quasi espressionista nel disegnare i personaggi, spesso caratterizzati da macchie di colore. In lui la componente teatrale tipica del Barocco, pur senza arrivare all’ostentazione, è particolarmente evidente, soprattutto nei gesti e nelle vesti oltreché, come detto, nell’uso dello spazio.

La mostra di San Severino, in conclusione, con l’esposizione di oltre 80 opere, mette bene in luce, pur con le peculiarità di una realtà provinciale, la tendenza del Barocco al contrasto tra idea e natura, tra misura e libertà, tra disegno e colore. Un contrasto non risolto, ma spesso semplicemente mostrato. Ma, al contrario di ciò che ci si potrebbe aspettare, senza un particolare gusto per l’effimero: la terra marchigiana deve aver offerto un terreno ideale per gli esperimenti (ancora Galilei che torna) dei grandi artisti e per lo sviluppo delle curiosità dei locali.

Le oltre 80 opere della mostra resteranno visibili fino al 12 dicembre 2010.

Il sito ufficiale: www.meravigliedelbarocconellemarche.it

Meraviglie del Barocco nelle Marche
A cura di Vittorio Sgarbi
San Severino Marche (Macerata)
Sino al 12 dicembre 2010

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