L’onestà di Pirandello

Di: agb & gr
1 Luglio 2010

Il protagonista, Angelo Baldovino, è disposto a sposare una ragazza messa incinta da un nobiluomo che non può farla sua moglie perché già maritato. In questo modo, il compagno e la madre della ragazza pensano di evitare lo scandalo e consentire al marchese di continuare a frequentare la casa. Baldovino è tuttavia persona capace di analizzare la realtà, le relazioni, i sentimenti con estrema lucidità. Il suo comportamento attento e rigoroso evidenzia la disonestà interiore degli altri personaggi e gli conquista l’affetto della ragazza.

È, questa, una delle commedie più profonde di Pirandello, colma di una comprensione dell’umano spietata e insieme dolente. Al di là della descrizione dell’ipocrisia perbenista e borghese, il testo è intriso di una tensione profonda tra la verità -che è il vero nome dell’onestà di cui qui si parla- e la sua impossibile incarnazione nel mondo. Perché una reale e costante trasparenza ucciderebbe le relazioni umane. È a questo che forse alludono le scene di Luigi Perego, imperniate su una casa le cui pareti sono di vetro. Il sogno rousseauviano di totale trasparenza è sempre destinato a trasformarsi in un incubo. Abbiamo tutti bisogno di uno spazio segreto nel quale conservare la nostra disonestà per continuare ad accettare quella degli altri.

Leo Gullotta è molto bravo nel dare corpo a questa maschera, pur non corrispondendo certo alle indicazioni di regia di Pirandello, che aveva immaginato Baldovino come assai più giovane.

«Angelo Baldovino: sui quaranta; grave; capelli fulvi, non curati affatto; corta barba, un po’ ispida rossiccia; occhi penetranti; parola piuttosto lenta, profonda» (L. Pirandello, Il piacere dell’onestà, in Maschere nude, Newton Compton, Roma 1993, p. 287)

Pirandello era assai preciso nelle didascalie. Sebbene Fabio Grossi abbia rispettato il testo, c’è da chiedersi se la scenografia, per quanto ben riuscita, come la casetta di cristallo immersa nel bosco –immagine concreta di un’apparenza ingannatrice- rimanga davvero aderente alla volontà dell’autore. Non siamo del tutto convinti che il tentativo, tipico del teatro contemporaneo, di attribuire alla regia una funzione a tal punto creativa da aggiungersi al testo, per mediare con l’immagine il senso latente, sia una scelta sempre accettabile e apprezzabile.

Il drammaturgo siciliano era stato capocomico. E dei capocomici, che avevano travisato i suoi testi, ebbe spesso a lamentarsi. Alla regia pensava lui. E di certo amava gli interni. Di certo non mancava mai di dare precise indicazioni, persino sul movimento delle mani o degli occhi. Di certo non lasciava nulla al caso, né all’immagine il compito proprio della parola, in lui iconica e pregna, né al silenzio la vacuità di senso.

«Gli attori non abbiano timore di protrarre lungamente questa scena muta» (Ivi, p. 303)

Di certo, il testo completo comprende anche questo.

La scena finale in cui Leo Gullotta piange disperatamente non tiene fede, ancora una volta, al testo. Forse è davvero troppo quel piegarsi e quel lasciarsi andare, quei movimenti enfatici e ridondanti di chi si sta per accomiatare dalle idee e dal pubblico. Forse, in questo caso, proprio nel momento in cui lo spettatore doveva portarsi a casa il ricordo dell’onestà, non sarebbe stata una cattiva idea ritornare a Pirandello.

«Cercherà di rattenere il pianto; di ricomporsi; non troverà il fazzoletto. Agata subito gli porgerà il suo. Egli intenderà l’atto che li accomuna, in quel pianto, per la prima volta; bacerà il fazzoletto; poi se lo porterà agli occhi tendendo a lei una mano. Si riprenderà in un sospiro che lo gonfierà di commossa gioja, e dirà: So bene ora, come debbo dir loro!» (Ivi, p. 317)

C’è da aggiungere però, ancora una volta per onestà, ma intellettuale, che non si sarebbe notata nessuna sbavatura in questo spettacolo se non avessimo sempre presente nella memoria le rappresentazioni del Piccolo Teatro Pirandelliano della città di Agrigento; dal 1973 le interpretazioni di Pippo Montalbano, purtroppo scomparso nel 2009, hanno dato voce ai personaggi pirandelliani, oggi più che mai non più in cerca di autore ma di vita.

Il piacere dell’onestà di Luigi Pirandello
Anno: 2010
Teatro della Corte – Genova
Regia: Fabio Grossi
Scene e costumi: Luigi Perego
Produzione: Teatro Eliseo
Con: Leo Gullotta (Angelo Baldovino), Martino Duane (Fabio Colli), Paolo Lorimer (Maurizio Setti), Mirella Mazzeranghi (Maddalena), Valentina Beotti (Agata Renni)

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