Agorà
Le statue degli dèi cadono, le biblioteche vengono saccheggiate, la comunità ebraica è costretta a lasciare la città, la scuola dove Ipazia -filosofa e astronoma- insegnava a giovani pagani, cristiani, ebrei, neri, bianchi viene chiusa e distrutta. Il vescovo Cirillo (poi santo e dottore della Chiesa) impone all’antica città cosmopolita una sola fede -quella dei vincitori- e costringe Alessandria, il luogo in cui la ricchezza delle differenze aveva sino ad allora trionfato, a precipitare nella miseria dell’identità. Dal pulpito, Cirillo scaglia accuse contro le donne che insegnano. Spinge così i gruppi cristiani più fanatici -i Parabolani- a massacrare Ipazia in un modo orribile. È il 415, è il crepuscolo del paganesimo.
Rachel Weisz, attrice protagonista, presta se stessa a Ipazia, riuscendo a far trapelare l’intelligenza arguta, il fascino misterico, la passione teoretica della filosofa. Il film è stato preceduto da aspre polemiche e c’è chi le considera una trovata della produzione per preparare l’approdo in territorio italiano. Non è chiaro se la Santa Sede abbia o meno fatto pressioni per evitare l’uscita della pellicola nelle sale italiane. Lo stesso regista sembra affermare, in un’intervista, che in realtà il Vaticano non c’entra nulla. Non sono mancati i denigratori del film, che invece lascia incantati e sconcertati.
Un film nel quale scienza e filosofia diventano il corpo di Ipazia, gli sguardi dei suoi allievi, il movimento delle sfere sulla sabbia a simulare i sistemi celesti, lo spazio della biblioteca amata e distrutta. I colori chiari degli abiti pagani si contrappongono a quelli scuri dei cristiani, a esprimere anche cromaticamente la diversa tolleranza di un mondo che tutti accoglieva rispetto a una fede esclusiva e ai suoi atroci effetti. Amenábar inventa la figura chiave dello schiavo Davus, devoto a Ipazia ma attratto dalla nuova fede, alla quale aderisce rinnegando la filosofia ma che poi abbandona disgustato dalla violenza dei suoi correligionari. Mentre, infatti, Ipazia si appassiona alle forme circolari dei moti celesti sino a intuire (ma su questo non ci sono documenti certi) l’ellissi come probabile soluzione delle incongruenze dell’ipotesi eliocentrica di Aristarco, i cristiani si sbranano a vicenda e azzannano tutti gli altri. Il film inizia e si conclude con le immagini del pianeta nel cosmo infinito, quel luogo mentale e fisico al quale la filosofa neoplatonica dedicò la vita sino al martirio.
«And when they learnt the place where she was, they proceeded to her and found her seated on a (lofty) chair; and having made her descend they dragged her (…) And they tore off her clothing and dragged her [till they brought her] through the streets of the city till she died. And they carried her to a place named Cinaron, and they burned her body with fire. And all people surrounded the patriarch Cyril and named him ‘the new Theophilus’; for he destroyed the last remains of idolatry in the city»
(The Chronicle of John, Bishop of Nikiou, translated from Zotenberg’s ethiopic text [1916]. Traduzione a cura di R.A.Charles, Christian Roman Empire series, Vol. 4, Evolution Publishing Merchantville, New Jersey 2007, p. 102).
Cirillo (370-444), patriarca di Alessandria, fu il mandante dell’assassinio della filosofa. E tuttavia venne proclamato santo dalla Chiesa cattolica. Il coinvolgimento diretto di Cirillo nell’omicidio è messo in dubbio appellandosi a una presunta assenza di prove. Socrate Scolastico e Filostorgio -suoi contemporanei- sostengono la sua responsabilità, pur se in modo velato. Decenni dopo sia Damascio sia il cattolico Giovanni di Nikiu ne ammettono in modo indiretto la colpevolezza. Ultima fonte è Ioannis Malalas (Antiochia, 491-578), storico bizantino: «L’imperatore Teodosio, in quello stesso periodo, ricostruì la grande chiesa che sta in Alessandria; che da allora è chiamata chiesa di Teodosio: fu infatti amico di Cirillo, il vescovo di Alessandria. Gli Alessandrini, in quel periodo, autorizzati ad agire liberamente dal vescovo, uccisero, gettandola poi nel fuoco, Ipazia, l’insigne filosofa, da tutti celebrata. Era donna di antico valore» (Ioannis Malalas, Chronographia, in “Corpus scriptorum Historiae Byzantinae”, L XIV V23 10-15 p. 35).
Amenábar ricostruisce laddove la storia tace, compreso Cirillo che legge la Prima Lettera a Timoteo (2, 9-15) di Paolo di Tarso: «Alla stessa maniera facciano le donne, con abiti decenti, adornandosi di pudore e riservatezza, non di trecce e ornamenti d’oro, di perle o di vesti sontuose, ma di opere buone, come conviene a donne che fanno professione di pietà. La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia».
Ricostruisce, sì. Forse, però, non distante dalla verità. Come Lutero, che per il massacro dei contadini troverà spunto concreto in Paolo di Tarso, non è arbitrario pensare che, secoli prima, Cirillo abbia bevuto dalla stessa fonte per l’assassinio di Ipazia e non soltanto. D’altronde, i testi del vero -anche se secondo- fondatore del cristianesimo, per onor di verità, sono ricchissimi di appigli di tal sorta.
Paese: Spagna |
Anno: 2009 |
Regia: Alejandro Amenábar |
Sceneggiatura: Alejandro Amenábar |
Produzione: Mod Producciones |
Con: Rachel Weisz (Ipazia), Max Minghella (Davus), Oscar Isaac (Oreste), Ashraf Barhom (Ammonius), Michael Lonsdale (Teone), Rupert Evans (Sinesio), Sami Samir (Cirillo) |
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